Fermenti culturali. Intervista a Filippo Tognazzo


La contaminazione artistica è il filo conduttore dell'intervista di questa settimana. Ce ne parla l'attore Filippo Tognazzo, ideatore di Tozu, ditta-gruppo che riunisce personalità  artistiche differenti, e che ha realizzato con l'associazione Experimenta "Le Affinità  elettive", spettacolo che unisce diversi linguaggi espressivi: racconto, musica, video, immagini. Un ottimo esempio di collaborazione tra giovani artisti.



Chi è
Intervista




Chi è



Filippo Tognazzo nasce a Padova nel 1976. Si laurea al DAMS di Bologna con una tesi in strutture della figurazione dal titolo I M.U.D.: fra gioco e crisi dell'€™identità . Ha seguito diversi laboratori e stage di commedia dell'arte, recitazione, narrazione. Lavora come attore e formatore. Nel 2001 crea Tozu, con la quale realizza diversi progetti in ambito teatrale. Nell'ambito del Carnevale di Venezia 2005 Filippo Tognazzo va in scena al Teatro Piccolo Arsenale con Arlecchino Bohémien della compagnia Pantakin da Venezia.

In collaborazione con Experimenta, un'associazione di giovani musicisti di Limena, realizza lo spettacolo "Le affinità  elettive", che di recente si è potuto vedere a Padova. "Le affinità  elettive" nasce come un progetto di creazione collettiva, di confronto non solo artistico, ma personale fra diverse attitudini e sistemi di relazione con il mondo. Ognuno degli artisti coinvolti offre una propria personale interpretazione del romanzo di Goethe, usando un linguaggio che gli è proprio. Il risultato è uno spettacolo emozionante.



Il gruppo di artisti che hanno lavorato a Le affinità  elettive è formato da:

Andrea Fabris: voce, chitarra
Andrea Signori: chitarra ritmica
Filippo Ferrari: percussioni, batteria
Roberto Marcon: basso acustico, voce
Filippo Tognazzo: racconto
Marco Zuin: videoproiezioni
Tecnico del suono: Alessio Ometto, Mirko Visentin

LA TRAMA: L"€™amore coniugale fra Edoardo e Carlotta viene sconvolto dall'€™arrivo del Capitano, amico di Edoardo e di Ottilia, nipote di Carlotta. Il nuovo equilibrio viene turbato dalla nascita del figlio di Carlotta e di Edoardo e dallo scoppio della guerra. Sopravvissuto al conflitto, Edoardo ritorna per sposare Ottilia; ma durante la traversata di un lago la giovane cade in acqua assieme al bimbo di Carlotta, che annega. Per espiare la sua colpa, Ottilia si lascia morire d"€™inedia. Edoardo poco dopo muore consumato dall'€™amore.

NOTE DI REGIA
Nelle Affinità  Elettive racconto, musica e immagini si alternano e si mescolano offrendo una lettura del romanzo al tempo stesso poetica, emotiva e intellettuale. Lo stesso Goethe sembra voler stabilire una connessione fra le relazioni personali, regolate dai sentimenti, e le affinità  chimiche che regolano l"€™universo. Perciò parole, suoni e immagini si contaminano e si sovrappongono, cercando affinità  reciproche e prendendo coscienza delle differenze.

Il prossimo progetto comune del gruppo è uno spettacolo sulla storia dei minatori di Marcinelle fino al tragico incidente dell'€™8 agosto del "€™56.


Intervista



Tozu
Fare teatro a Padova
Le affinità  elettive
Musi Neri
Commedia dell'arte e teatro di narrazione


Mi parli di Tozu? E' un'associazione, un progetto, un gruppo?

La Tozu in realtà  non è un'associazione, ma una ditta individuale. Ho cominciato circa tre anni fa. Fatti gli studi mi sono reso conto che avevo bisogno di un bagaglio tecnico, pratico. Mi sono messo a fare un po' di formazione. Nei vari incontri ho conosciuto una serie di ragazzi di Padova con i quali è nata una collaborazione. Loro erano più giovani di me, facevano ancora l'università , sai non sapevano ancora bene cosa volevano fare... io invece ho detto "io intanto comincio, provo" e ho fatto questa ditta individuale. L'ho chiamata Tozu. Il nome viene da Tognazzo-Zuin che era un mio collaboratore del tempo, anche attuale in realtà , solo che adesso lui lavora sul video e io più sul teatro. L'idea qual era? io faccio da capocordata, propongo dei progetti e poi di volta in volta si crea un équipe che risponda al meglio a quello che può essere il progetto. Ad esempio per l'Ubu Re, che è un progetto piuttosto ampio, sono io che lo coordino. E' un progetto di circa 110 ore di formazione. Io ne faccio circa la metà , poi c'è un insegnante di danza che è Sandra Zabeo, che fa un lavoro a terra sul movimento; Sara Celeghin, che frequenta la Scuola di Circo Teatro di Bologna, fa la parte di acrobatica e giocoleria; Giorgio Sangati, che si sta diplomando al Piccolo di Milano, fa una parte sulla pantomima, movimento espressivo (più drammatizzato rispetto a Sandra, che fa una parte più libera); Alberto Ferraro, che studia a Roma, fa un lavoro sulla voce, canto popolare, respirazione. Mettiamo insieme competenze diverse anche per dare un approccio piacevole agli allievi. In questo caso l'équipe formata è questa, per altri progetti, tipo quello con le scuole, lavoro sempre con Sara, con Antonio, un ragazzo del
Conservatorio di Venezia che fa un lavoro su musica e ritmo, e poi dipende. E' struttura mobile, ma ci piaceva l'idea di riconoscerci sotto un nome ben identificabile. Anche per ragioni di mercato, per essere ben identificabili.
Siamo tutti giovani, ma con percorsi solidi alle spalle. Abbiamo la volontà  di lavorare sul territorio, con un occhio di riguardo alla qualità , l'argomentazione, lo studio di quello che proponi. Oggi per esempio è il giorno della memoria. A volte
per celebrare si fanno tanti spettacoli un po' tirati via...
La speranza grande è quella di creare una vicinanza tra il pubblico di Padova e il teatro, anche quello giovane. Anche con i laboratori, cerchiamo sempre di andare fuori. Tre mesi prima della fine cominciamo già  a fare le uscite, perchè comunque lo spettacolo si costruisce con il pubblico, c'è un contatto. Non importa se non porti lo spettacolo completo, lo dici prima "non è uno spettacolo completo, abbiamo dei pezzi, lo stiamo valutando". Solo così si crea un dialogo, sennò è come se la gente guardasse la televisione, sì no, cambio canale...invece così si sente partecipe di un momento creativo. Questo è importante.
Poi la speranza è che man mano si riesca a creare anche un movimento economico, che si riesca ad avere un minimo di finanziamenti, un minimo di respiro, perchè sennò l'unica alternativa è andare via. Fusetti della Kiklos ha chiuso la scuola e deve andare via, perchè è diventato difficile gestire una scuola a Padova. Può piacere o no, ma se ne sente la mancanza perchè comunque Kiklos aveva segnato un innesto di qualità  a Padova, era qualcosa di più internazionale. Ci sono le personalità  a Padova, ma lavorano tutte fuori. E per una città  come Padova, che comunque è una città  di cultura, è una città 
che ha studenti, una città  che ha un passato, perdere la cultura, la vitalità  dei suoi cittadini significa perdere la propria identità , perdere un senso che invece deve avere.



E' così difficile la situazione per un giovane che vuole fare teatro a Padova?

Il problema di Padova secondo me è che per i ragazzi giovani e per chi vuole fare teatro professionalmente manca la continuità  di lavorare, di fare esclusivamente quello. Non c'è la possibilità  di farlo come attore non c'è la continuità  lavorativa per dire "ho un tot d'entrata mensile per cui riesco a pagarmi l'affitto ". Chiaramente devi trovare altre strategie, una è la formazione, si lavora tanto con le animazioni, si lavora con i piccoli spettacoli, ci sono varie cooperative magari di teatro ragazzi. Il teatro ragazzi sopravvive come realtà , ti permette di fare delle produzioni, di avere comunque un pubblico, puoi venderlo alle scuole, alle piazze, alle manifestazioni, quindi diventa un po' più semplice.
Però francamente lavorando all'interno di un ambiente più professionalizzato se vuoi ti accorgi che c'è un salto qualitativo importante. Perciò se tu decidi di fare l'attore a Padova è davvero difficile se non riesci ad entrare in uno di quei
percorsi, di quelle reti che sono già  presenti.

Ad esempio?

So che Abracalam lavora abbastanza bene, ha una serie di contatti nel territorio. Lì c'è Caruso, e c'era anche Beppe Casales, ma adesso so che Casales ha creato "Via" quindi comunque si è scorporato. Qualcosa a Padova effettivamente si sta muovendo. Anche dal TPR se n'è andato Andrea Pennacchi, è andato a Piove di Sacco, ha aperto anche in quella direzione una strada. C'è Bel Teatro che comunque fa una produzione e lavora con continuità . Però anche lì hanno degli attori che ogni tanto entrano, ma un attore non è che può stare semplicemente a Bel Teatro a lavorare. Quelli dello Stabile francamente non so quanto riescono a lavorare, come siano composti, se ci sono attori padovani o meno, questo non te lo so dire... Tutte le altre associazioni e piccoli gruppi hanno le loro dinamiche interne, chiaramente mantengono quelli che stanno dentro e hanno difficoltà  a poter pagare qualcuno che venga da fuori o a prendere altra gente. Questo ti obbliga ad andare fuori. Io sono stato fortunato perchè avendo fatto un percorso sulla commedia dell'arte avevo una strada preferenziale. Mi sono iscritto a Venezia alla Pantakin, e lì ti danno una disponibilità  di lavoro abbastanza buona. Tieni presente che il lavoro teatrale è un lavoro lento. Hai la necessità  di fermarti, lavorare, continuare...lo puoi fare se hai una struttura che ti permette di farlo. Allo stato attuale è difficile: gli spettacoli li vendi difficilmente perchè la disponibilità  economica è quella che è, teatri a Padova al di là  del Verdi, che ha un suo percorso, ci sono Antonianum e Piccolo, ma anche questi vanno su un livello abbastanza alto, perchè chiaramente vogliono avere garanzie i teatri. Già  c'è poca gente che va a teatro, se non in più non garantisci delle entrate diventa estremamente difficile. Per questo una realtà  come i Carichi Sospesi è estremamente importante, perchè comunque ti permette di prendere visione di alcune realtà , sia teatrali sia musicali, che stanno emergendo, sai che ci sono... Anche la corsistica è importante: crea attraverso la formazione un pubblico, crea sensibilità ... è quello che ti permette di creare un movimento attorno per cui poi ti permette di far emergere se ci sono delle personalità , anche piccole, che possono spiccare. Però per il resto non hai altre piazze, è difficilissimo. I comuni non ti comprano gli spettacoli, anche se magari costano poco, perchè non ti fanno pubblico. Comprano preferibilmente spettacoli dialettali, Capovilla, cose così...giustamente dal loro punto di vista, investono tot e incassano quello che hanno
investito. Se vogliamo fare uno spettacolo come Le Affinità  Elettive arriviamo anche a fare le 100- 150 persone, che non è male per noi, ma in un'ottica di investimento, di ritorno, è poco. Quindi la situazione in questo senso è piuttosto difficile. Fortunatamente Progetto Giovani ci ha dato una mano. Stiamo facendo un laboratorio sull'Ubu Re con l'ASU e ci ha dato la disponibilità  della sala, ci darà  forse la disponibilità  di uscire nelle piazze con il patrocinio loro o all'interno di loro manifestazioni. Questo ti permette di avere visibilità , avere visibilità  vuol dire che la gente ti vede, vuol dire già  valorizzare il tuo lavoro. La parte produttiva, la parte creativa dev'essere quella che tiene, mentre adesso nel mio caso è la formazione che supporta tutto, perchè è quella che ti permette nell'arco di un anno di avere delle entrate, di guadagnare per poi investire nelle produzioni. Direi che c'è un salto rispetto ad altre regioni, come l'Emilia, l'Umbria...


Parliamo dello spettacolo "Le affinità  elettive". Mi racconti com'è nato?

Tutto è nato da Andrea Fabris, il cantante autore delle musiche. Ha letto Le affinità  elettive e ha cominciato un suo ragionamento. "Le affinità  elettive" ragiona in termini un po' chimici-scientifici sulle relazioni personali. E' un po' un
gioco se vuoi, un'interpretazione che fa Goethe. Andrea l'ha letto e da lì è partita tutta una considerazione sulla contaminazione, la contaminazione tollerante come la chiama lui: quando realtà  diverse si incontrano possono o allontanarsi,
scindersi, oppure cercare una sorta di compromesso. Questa è un po' una sua libera interpretazione del romanzo. Ha scritto le canzoni, le abbiamo ascoltate, a me piacevano. Mi ha detto "io vorrei costruire uno spettacolo in cui ci sia una parte teatrale, di racconto, e una parte video". Quindi non siamo partiti tutti assieme, c'erano già  delle canzoni pronte su cui inserire altre due cose ex novo. All'inizio, almeno i primi nove mesi di lavoro, sono stati un po' un brancolare nel buio. Poi abbiamo cominciato a improvvisare, così come se fosse una jam session, ovvero io ho cominciato a raccontare e su piccole intuizioni ritmiche mie, piccole intuizioni ritmiche dei ragazzi, abbiamo cominciato a costruire qualcosa. Da lì abbiamo individuato i sei pezzi che compongono la struttura dello spettacolo. Abbiamo poi cercato di fare un lavoro di commistione fra musica e racconto in modo che riuscissero a sostenersi l'uno con l'altro. I video hanno preso un'altra strada ancora. Li ha realizzati Marco. Li abbiamo rifatti parecchie volte prima di arrivare agli ultimi. I disegni facevano parte di un lavoro ancora precedente, risale ancora agli anni di Bologna, che era un Adam Kadmon, un fumetto che stavamo scrivendo a Bologna sul personaggio di un androide che nasceva con una mancanza e andava in cerca, era una storia d'amore... abbiamo recuperato quel materiale e l'abbiamo sistemato.

Pregi e difetti dello spettacolo?

Il pregio principale penso sia quello di essere riusciti a lavorare assieme. Tra l'altro noi per esigenze pratiche abbiamo lavorato su un piano davvero paritario.


Perchè?

Beh, intanto mancava una regia. Ognuno nel suo ambito, io per il racconto, Marco per i video e gli altri ragazzi per l'arrangiamento musicale, ha mantenuto la propria autonomia. Lavoriamo insieme da due anni e non ci siamo scornati, quindi già  questo è un risultato, anche perchè era la prima esperienza insieme. Difetti... Proprio per come è nato il progetto, lo spettacolo presenta delle difficoltà  per chi non ha letto il libro. Ti dà  sei frammenti di una storia che difficilmente riesci a ricomporre, tant'è che il piccolo riassunto che facciamo all'inizio serve solo per capire l'abc della storia.
Nel romanzo la storia è molto più articolata. L'idea però, quella iniziale, era di fare uno spettacolo che avesse un linguaggio musicale che per i ragazzi giovani è più facilmente fruibile. La gente va volentieri al pub a sentirsi il gruppo,
più difficilmente va a teatro. Allora abbiamo detto: proviamo a trovare una formula per la quale noi possiamo andare in un locale in cui la gente si aspetta della musica e invece in qualche modo infiliamo qualcosina di teatrale, in modo che la gente magari possa dire "ho visto questa cosa un po' particolare, magari vado a vedermi anche uno spettacolo". Il linguaggio musicale è qualcosa che per i ragazzi diventa più facilmente comprensibile, anche emotivamente, per cui abbiamo fatto questo tentativo.


Il pubblico come risponde?

C'è un impatto emotivo abbastanza forte, dovuto anche all'incipit dello spettacolo. Il primo pezzo colpisce duro, quindi c'è una sorta di emotività , di energia che bene o male ti arriva. Sei abituato magari a forme teatrali più dimesse, quindi certe cose ti passano. Di solito a chi ha letto il libro piace. Certo, tante cose sono condensate, ma trovano che il respiro è quello giusto. Le critiche quali sono...mah, qualcuno ci dice "non ho capito, non mi è chiaro...", lì stiamo cercando di ovviare con il riassunto iniziale, l'inserimento degli oggetti. Questa è la critica più giusta che ci arriva, ma purtroppo non è che lo spettacolo si può riprendere in mano del tutto.


State lavorando a un nuovo spettacolo, di cosa parlerà ?

"Musi neri" ha un taglio completamente diverso. Sempre struttura musica e racconto, ma io sto cercando di spingerla più sulla parte teatrale, con dei personaggi, degli elementi in scena in più, e ci sarà  proprio una storia. Anche i pezzi cantati da Andrea faranno parte della storia. Partiamo da un libro che ha procurato Andrea sullo scoppio della miniera di Marcinelle nel 1956. Non vogliamo fare un lavoro d'inchiesta, anche perchè non siamo in grado di raccogliere tutte le informazioni.

Quindi vi basate solo su fonti scritte, non su testimonianze orali?

Sì, su fonti scritte. Racconti, lettere, ricostruzioni. E' la storia -questo è quello che ci piaceva- dei nostri nonni, dei nostri parenti, che sono partiti con una speranza, che era quella di cambiare la qualità  della vita, non loro ma dei loro
figli e dei loro nipoti. Si sono trovati anche a morire nella miniera, ma con questa idea di "lo faccio per permetterti di avere qualcosa di meglio di quello che ho avuto io". Questo ci piaceva, comunque è un segnale positivo, e ciò ci permette di raccontare la tragedia senza dare solamente il taglio tragico, ma anche la semplicità  di queste persone. Erano contadini, persone tranquille, che si sono trovate ad andare lì...loro pensavano di andare in un posto tutelati, con contratti di lavoro regolari, si sono trovati invece a lavorare in condizioni estremamente disagiate, dormivano in un ex campo di sterminio, non
conoscevano la lingua... Pare addirittura che l'incidente sia da imputare proprio ad una incomprensione dovuta alla lingua. Ci interessava parlare di questo. La storia sarà  quella di un ragazzo che parte, all'inizio è lui che arringa la
gente del paese, dice "dai partiamo, forza, c'è la possibilità  in Belgio di uscire dalla miseria". Parte, lascia la famiglia, un po'ha nostalgia perchè da buon veneto è legato al suo Brenta, alle sue cose. Arriva su, all'inzio gli sembra tutto un po' strano ma dice "vabbè, se c'è da lavorare lavoriamo". Viene fatto scendere in questa miniera e lì c'è il pezzo della città  sotterranea nella quale c'è qualcosa che è già  futuristico, qualcosa che pompa, polmone futuro dell'Europa mineraria, qualcosa che tira fuori... prima era carbone, adesso è petrolio. però è questo: tiriamo fuori, tiriamo fuori. Cominciano a lavorare, il lavoro si presenta difficile, lui è indeciso "torno, non torno", alla fine decide di rimanere, conosce altri personaggi che lavorano lì. Alla fine succede la tragedia e rimane chiuso sotto. Lì finisce la storia, ma la fine dello spettacolo è già  con l'idea di questa passione per il lavoro per andare più in là . E' un po' un dire... beh, noi abbiamo
quasi trent'anni, se ci guardiamo indietro diciamo "siamo qui perchè prima qualcuno ha costruito qualcosa". E' un po' un recuperarsi una propria nostra memoria.

Anche in questo spettacolo sarai l'unico narratore in scena?

Sì, questo per esigenze tecniche in realtà .

A che punto siete del lavoro?

Adesso siamo fermi da un mese perchè io lavoro a Venezia. Ci siamo dati il primo maggio come prima uscita. A febbraio ricominciamo le prove e da marzo prendiamo i primi contatti.Al solito come Le Affinità  Elettive lo facciamo come volontari, cioè perchè ci piace farlo, nella speranza comunque di portarlo fuori. Con questi progetti infatti la cosa che ci interessa di più è uscire. Abbiamo fatto lo spettacolo, vogliamo confrontarci con la gente, portarlo fuori perchè la gente lo veda.

Come entra il video nei vostri spettacoli?

Beh, in "Le affinità  elettive" non c'è un vero dialogo, il video è qualcosa che si mette sopra come un cappello rispetto al resto. Nel prossimo spettacolo stiamo lavorando perchè entri in dialogo, il video interagisce con la scena, la racconta e la descrive.


Nelle tue esperienze di formazione hai studiato sia commedia dell'arte sia teatro di narrazione. Vorrei una tua opinione su queste due forme di teatro così diverse.

La commedia dell'arte a me piace tantissimo perchè è un gioco. E' un gioco codificato ed è un gioco per certi versi semplice. A me piace. Con Pantakin abbiamo costruito uno spettacolo che funziona bene, è divertente, in dieci giorni. Tu metti insieme quattro attori che hanno voglia di giocare assieme e costruisci uno spettacolo. Con emotività , con tragedia, con risata, con tutto, però è una forma semplice. E' spontanea, è fresca. Arriva alla gente. E' tutto abbastanza semplice, è palese, è un gioco, finalmente ti puoi gustare qualcosa magari anche leggero però fatto bene e in cui ti puoi riconoscere, questo a me piace tantissimo. E poi a me piace il lavoro con la maschera perchè ti investe tantissimo, ti obbliga a un lavoro fisico fortissimo. E' anche un lavoro altruistico, nella commedia dell'arte io lavoro per te tu lavori per me, per questo secondo me è una base propedeutica davvero fondamentale.
Il racconto è anche questa una cosa estremamente popolare. La cosa bella del racconto secondo me è che lo puoi fare dovunque.

Arianna Pellegrini