Intervista a Elio Armano

Intervista a Elio Armano

Ma Lei quante interviste ha fatto finora?» mi chiede lo scultore Elio Armano, raddrizzandosi sulla sedia di fronte a me. Siamo in un bar, seduti a un tavolino all'€™aperto, in un pomeriggio di settembre un po"€™ afoso e con il cielo velato, di quelli che qui a Padova conosciamo bene.
 

Elegante e cortese, Armano è stupito del fatto che non studio storia dell'€™arte. Quando gli racconto del mio interesse per l"€™antropologia, chiede se davvero mi diverte ascoltare la gente. Se mi soddisfa.

͈ molto interessante ascoltare Armano: parla della sua esperienza artistica e della sua concezione di scultura, e racconta del suo rapporto con la creta e con il pubblico.

«Insegna, ha allievi?» gli domando alla fine, mentre mi accompagna a vedere il suo oggetto-scultura posto in piazza Garibaldi, un pezzo di calcestruzzo che risponde alla sua idea di arte civile: un"€™arte senza pretese, disseminata nell'€™ambiente urbano con lo scopo di "€œrendere più vivibile, più gradevole, più civile il mondo"€.
«In un mondo come questo, di stragi, di guerra, di povertà ... come si fa ad insegnare qualcosa!» esclama. ChissÍ  se il suo maestro Alberto Viani ha pensato la stessa cosa, quando ha dato al giovane Armano le chiavi dell'€™Accademia.

Quando la ragazza del bar è venuta a prendere le ordinazioni, Armano ha chiesto un Rabarbaro Zucca. La ragazza è rimasta lì dubbiosa. «E"€™ un liquore», ha spiegato Armano. E poi, con una malinconia appena percepibile, ha confermato come tra sè: «Non ce l"€™avete. ͈ che parlando di Viani mi è venuto in mente il rabarbaro».
Decisamente, mi piace ascoltare le persone.

Mi racconta il suo percorso artistico? Come è arrivato alla scultura?

Come sono arrivato alla scultura? Io ho 59 anni ma non è che la scultura, come qualcuno ha raccontato sulle cronache locali, io l"€™abbia scoperta adesso. La scultura mi ha sempre accompagnato, non dico da bambino, ma quasi. Sono sempre stato attratto dal disegno e ho sempre disegnato dando molta importanza ai contorni delle cose. Il disegno degli scultori è molto diverso dal disegno dei pittori. Quindi ho sempre avuto interesse per un disegno teso a riappropriarsi del volume delle cose. Ma al di là  di questa preistoria ormai troppo lontana, ho frequentato a Padova l"€™istituto d"€™arte, proprio nella sezione di scultura, dove eravamo pochissimi allievi. Tutti facevano affresco, oreficeria... la sezione di scultura era frequentata da pochi ma buoni. Avevamo un grande laboratorio a disposizione di tre o quattro allievi. ͈ stata un"€™esperienza precoce che si accompagnava ad una grande curiosità  intellettuale, per le manifestazioni artistiche in generale. Dall'€™istituto d"€™arte ho proseguito gli studi all'€™Accademia di Belle Arti di Venezia, dove ho avuto la fortuna di avere come maestro Alberto Viani, che è stato uno dei più grandi scultori italiani. Sono andato all'€™Accademia dopo un anno, o forse due, di esperienza da privatista, perché ero piuttosto vivace politicamente: avevo contestato l"€™autoritarismo dell'€™istituto d"€™arte di allora. Quindi ho studiato da solo insieme a Roberto Cremesini e a Girolamo Zampieri, che è uno dei dirigenti dei Musei Civici. Nella pausa tra l"€™istituto d"€™arte e l"€™Accademia ho fatto anche tanti lavori strani per mantenermi, perché sono rimasto orfano a 14 anni, ma ho riempito queste molteplici attività  con una grande curiosità  intellettuale: non mi è mai sfuggita nessuna mostra, sfogliavo tutti i libri che riguardavano la scultura e le arti in generale. Quando sono arrivato all'€™Accademia, fin dal primo momento Viani, vedendo il pacco di disegni che avevo con me, mi ha dato carta bianca. Avevo addirittura le chiavi per accedere all'€™Accademia anche di pomeriggio. Poi ho fatto altre cose, ma la scultura è stato il mio primo amore, che non ho scordato mai e che adesso ho ripreso alla grande e in modo totale, anche perché non credo che mi sia dato di vivere più di 120 anni...

E il rapporto tra la scultura e le altre cose che ha fatto in questi ultimi anni?

Dice la politica? Mi sono occupato di politica, però non vorrei che parlasse di questo, perché se no si finisce sempre di parlare di Armano come un politico che fa lo scultore nel tempo libero. La mia frequentazione dell'€™Accademia ha coinciso con il famoso Sessantotto, e lì sono diventato il leader della situazione. Nel "€™69 paralizzammo la Biennale d"€™Arte di Venezia. Anziché seguire il percorso dell'€™insegnamento e diventare assistente all'€™Accademia, cosa che mi sarebbe stata possibile, visto che ero il più vivace ed anche quello che prendeva i migliori voti, io ho preferito per coerenza prendere un"€™altra strada e quindi prima a metà  tempo, poi a tempo pieno sono stato per un decennio funzionario e dirigente dell'€™allora Partito Comunista Italiano. Però presto mi sono dotato di uno studio che avevo in una casa malridotta e abbandonata del centro storico, e l"€™ho riempito di tutte le cose che avevo a Venezia. L"€™atelier dell'€™Accademia era il mio atelier personale, pieno di sculture e di cose anche grandi... dopo c"€™è stato dell'€™altro, ma meglio che parliamo di scultura.

Qual è il suo rapporto con la tradizione? Come si fa ad elaborare un linguaggio personale?

Non mi sono mai posto questo problema e credo di essere fortunato, nel senso che io conosco tanti che ossessivamente si pongono il problema di scavarsi una loro nicchia riconoscibile dal punto di vista stilistico: una cifra interpretativa, della quale finiscono per diventare prigionieri. Io negli anni della formazione avevo delle idee abbastanza chiare. Non mi interessava la cosiddetta "€œtradizione"€. Essendo onnivoro, ho sempre amato fin da subito le cosiddette "€œavanguardie"€. Dico cosiddette, perché devo ancora capire con che parametri si misura ciò che è retro e ciò che è avanti. Per esempio avevo un amore non comune sia per le manifestazioni della scultura e dell'€™arte cosiddetta "€œprimitiva"€, africana, precolombiana... e insieme per Henry Moore e per tutti i grandi scultori dell'€™inizio del secolo. Come poi io sia arrivato a fare le cose che faccio adesso, non lo so. Anche perché ho fatto tante cose diverse: negli anni "€™60 ho anche lavorato con la gomma piuma dipinta. Più che delle sculture erano degli eventi teatrali che si chiamavano happening. Comunque quella è stata una parentesi. Ho sempre pensato di fare cose di grandi dimensioni, da collocare nell'€™ambiente urbano. Non ho mai pensato alla scultura come a qualcosa di piccolo. Anche perché la scultura piccola in realtà  diventa una sorta di soprammobile, un ninnolo, mentre la scultura dovrebbe avere una dimensione civile: dovrebbe essere messa in mezzo all'€™architettura, nei centri urbani, nelle strade, magari negli ambienti squallidi delle periferie, senza pretese artistiche.

E nel caso delle ultime cose che ha esposto?

Queste sono cose che fanno parte di un discorso che porto avanti ormai da qualche anno e che si è sviluppato usando la creta. Perché fino a qualche tempo fa non avevo più lo studio, e allora mi tornava comodo lavorare a cose piccole che facevo con la creta. Sono cose che sono nate prima come piccoli plastici, "€œpaesaggi in scultura"€, tra virgolette. Erano piccoli plastici di realtà  collinari, oppure mare ed isole, che declinavano il mio amore per i paesaggi dei colli Euganei ma anche per quelli dell'€™Istria. Pian piano queste cose sono diventate autonome: sono diventate degli oggetti a forma di trangolo striato, scavato e segnato. Poi ho cominciato a montarle insieme e quindi sono diventate antenne, parabole, obelischi, frammenti vari che ho composto in casse riempite di sabbia. Queste cose sono nate in modo spontaneo, senza che mi ponessi grandi problemi di concezione. E sono nate anche e soprattutto dal disegno: da anni riempio di disegni decine di libretti che porto con me. ͈ una cosa che ho imparato a fare quando la mia vita era piena di riunioni. Ho un inventario di cose da mettere insieme, da fare, con il quale mi diverto. Senza pormi l"€™obiettivo di essere me stesso, di avere una mia fisionomia, credo di avere raggiunto anche questo obiettivo, ma inconsapevolmente: mettendo insieme i vecchi amori per la scultura cosiddetta delle avanguardie; mettendo insieme in una digestione inconsapevole il romanico, l"€™incaico, ma anche i pezzi degli imballaggi buttati via... Non c"€™è nessun segreto dietro: c"€™è solo la voglia, la felicità , la mente libera.

E il passaggio dalla creazione all'€™allestimento?

Ci sono alcune cose fatte a mo"€™ di antenna e come i vecchi pali della luce; dall'€™altra parte cose messe per terra, come una sorta di archeologia inventata. Nel mio studio metto sempre le cose per terra, e allora sono nate le scatole. Il mio amico architetto che mi ha aiutato nell'€™allestimento ha pensato giustamente di distinguere queste cose. Anche il titolo "€œEnigmi di terra e nell'€™aria"€ della mostra mi imponeva un ragionamento di questo genere: enigmi nell'€™aria, volanti e sospesi, ed enigmi di terra, affioranti. Tenga conto che prima di questa mostra il museo archeologico di Este mi aveva dato l"€™occasione di mettere i miei piccoli paesaggi in scultura ed altri pezzi di terracotta insieme con gli altri oggetti del museo, anzi al centro delle sale, come un colloquio tra il passato e il presente. Sono successe anche cose curiose: all'€™inaugurazione c"€™era chi si chiedeva: "€œma quali sono le cose di Armano e quali quelle del museo?"€. Chiaramente erano i meno acculturati, ma non solo, a porsi questo problema. Ma questo vuol dire che le distanze tra il passato remotissimo e il presente non sono così grandi: ci sono delle costanti, nel mondo della forma ma anche nel mondo degli atteggiamenti di chi guarda le cose. Sono gli spettatori che fanno vivere le forme. Tutto è legato al ricorso a un materiale elementare, che in dialetto si chiama tera crea. La parola "€œtera crea"€ è simpatica perché "€œcrea"€ vuol dire molle, ma vuol dire anche "€œcreare"€. La terra molle è la terra che ti dà  capacità  creative, espressive.

Ha parlato dello spettatore che dà  vita alle forme. Qual è il rapporto con il pubblico?

Gli spettatori sono una cosa strana. Non credo che esista un campionario dello spettatore. Ci sono degli spettatori che hanno gli attrezzi per comprendere il messaggio, gli antefatti. Ma spesso costoro sono anche pericolosi perché sono quelli che hanno visto tutto e quindi non vedono più niente. C"€™è una sorta di atrofia culturale. Ci sono quelli che invece guardano le cose a mente sgombra, anche senza avere l"€™attrezzatura culturale, e magari danno più soddisfazione di altri. Però non mi sono mai occupato di capire... in realtà  io sono, come tutti quelli che si occupano di queste cose, un grande egoista. Sono affari dello spettatore. Ma al di là  di questa battuta sull"€™egoismo, il problema vero è che noi viviamo in un mondo dove vi sono luoghi deputati per l"€™arte, per la cultura. Fuori di essi c"€™è il cosiddetto mondo normale, dove scattano meccanismi che hanno antefatti culturali precisi. Penso ad esempio alla pubblicità . Non ci sarebbe né pubblicità , né architettura, né design moderno, che tutti quanti comprendono tranquillamente, senza le avanguardie, senza Picasso. Ma se tu dici: "€œquesta cosa è un oggetto d"€™arte"€, e la metti in un luogo dedicato, allora scatta un meccanismo di rifiuto. Se invece si potessero mettere certi oggetti, senza pretesa di chiamarli arte, nell'€™ambiente urbano, la cosa sarebbe molto più semplice. E in fin dei conti forse era così anche nel passato, prima che si arrivasse alla figura romantica dell'€™artista. L"€™artista non è né più né meno di un muratore. Anche gli architetti: a volte sono meno di muratori.

͈ in questo senso che prima mi parlava di funzione civile?

Sì, credo che funzione civile non significhi funzione propagandistica e ideologica dell'€™arte. Esempi deleteri sono i monumenti retorici e artificiosi della prima e della seconda guerra mondiale nelle città  dell'€™occidente e quelli del mondo ex-sovietico. Quando parlo di arte tra virgolette "€œcivile"€ parlo di interventi volti a rendere più vivibile, più gradevole, più civile il mondo. Significa costruire un giardino, sistemare una terrazza, fare di un angolo di una periferia un luogo dove la gente possa incontrarsi. In piazza Garibaldi c"€™è un mio pezzo di trenta quintali, alto quasi tre metri, largo un metro: un oggetto-scultura da spazi urbani, con un buco attraverso cui si può guardare la prospettiva della strada. ͈ un pezzo di calcestruzzo con una serie di segni, una specie parodia del linguaggio geroglifico. In realtà  questa cosa è un cippo, un marcaspazi, nient"€™altro. Le città  del Nord Europa e degli Stati Uniti d"€™America ospitano da anni proposte del genere: sono un esempio di intervento civile, senza pretese e senza ideologie.

Ma dov"€™è? Non l"€™ho notato...

͈ davanti al negozio di dischi. Forse si perde perché anche se è grande e pesantissimo, se fosse stato accompagnato da un altro pezzo sarebbe stato meglio: avrebbero parlato tra loro. Ma il bello è che, se tu aspetti, qualcuno va a sedersi, un cane ci fa la pipì... insomma ha una sua vita. E la cosa più divertente è che nessuno si pone il problema di chiedere che cos"€™è e a cosa serve. Quando l"€™abbiamo portato con un gru alle otto di mattina nessuno si è fatto problemi, appunto perché fortunatamente nessuno ha parlato di arte. Lei scriverà  un libro su internet...

Cosa direbbe a un giovane che oggi vuole fare lo scultore?

Io non lo so proprio, anche perché, vede, nessuno ha la ricetta in tasca e non credo si possa più parlare di scultura o di pittura. Ma questo non da adesso, almeno da quasi un secolo. Non ci sono confini: da quando è nato il cinema, da quando la fotografia è un veicolo importantissimo di comunicazione, da quando c"€™è il computer, c"€™è internet... come si fa a parlare di categorie che sono nate in altri contesti? Comunemente si continua ad intendere la scultura ciò che ha un volume, che ha un peso, però non è sempre vero, perché l"€™americano Calder, che è l"€™equivalente in scultura dell'€™allegria e della giocosità  dello spagnolo Mirò, ha dimostrato che la scultura non è necessariamente qualcosa di immobile e di pesante. E allora la scultura è anche stendere un drappo, intervenire su un luogo naturale... Siamo più sul campo dell'€™architettura, della scenografia. L"€™architettura moderna, razionalista, ha giustamente bandito la decorazione pittorica e scultorea. Dopo alcuni decenni c"€™è la situazione paradossale in cui gli architetti sono diventati scultori: se lei prende l"€™ultima biennale di architettura di Venezia, che si chiama Metamorph, metamorfosi, trova un inventario di forme di architettura che sono in realtà  delle sculture. Sono il rifiuto del razionalismo per riabbracciare la fantasia, l"€™organicismo. Valga per tutti l"€™esempio del Guggenheim di Bilbao, che paradossalmente potrebbe essere spiegato come un pezzo della figura di Boccioni, ingrandito e fatto diventare un"€™architettura. Quindi, per risponderle, la scultura è tale solo se uno dice: "€œio voglio un pezzo di bronzo, a tre dimensioni..."€. Ma è scultura anche un"€™automobile, un aeroplano, un"€™architettura. E non è appannaggio dei cosiddetti scultori, che non hanno più una figura sociale precisa, neanche nei cimiteri. ͈ finito il tempo degli Etruschi.
 

Laura Lazzarin

 

Commenti

Perchè ti ha chiesto quante interviste hai fatto?

Probabilmente gli sono sembrata giovane ed inesperta e si è preoccupato di farmelo notare. Forse ho un modo particolare di fare interviste, ma lascio valutare ai lettori il risultato del mio lavoro.