Intervista sul teatro di narrazione
Che cos'è il teatro di narrazione? Quali sono le sue caratteristiche? E, prima di tutto, c'è un teatro di narrazione? Con quale forza magica l'attore, da solo e su un palcoscenico vuoto, concentra su di sè l'attenzione e le emozioni del pubblico?
Ne parliamo con Chiara D'ambros, dottoranda al dipartimento di Sociologia dell'Università di Padova e laureata in Scienze della Comunicazione con una tesi dal titolo "Vedere una voce, sentire un'immagine. Esperienze di rituali di formazione con i narr-attori e nelle lezioni universitarie".
Marco Paolini, Marco Baliani, Ascanio Celestini, Laura Curino sono gli artisti più conosciuti di quello che comunemente viene chiamato "teatro di narrazione". Insieme a loro, molti altri giovani "narr-attori" uniscono il rigore dell'inchiesta giornalistica e la ricerca storica, oppure l'indagine antropologica e la magia della fiaba, al piacere di condividere il racconto con gli spettatori. Ciascuno a proprio modo, insieme a un intenso lavoro sul corpo e sulla parola.
Per la sua tesi di laurea Chiara D'ambros ha intervistato gli spettatori degli spettacoli di teatro di narrazione e gli studenti dei corsi universitari, ha partecipato a numerosi laboratori condotti dai narr-attori, ha seguito dappertutto Marco Paolini e ha assistito almeno venti volte a "Fabbrica" di Ascanio Celestini.
Nella tua ricerca metti a confronto le lezioni universitarie e il teatro di narrazione. E' un accostamento che a prima vista sembra strano. Come è nata l'idea?
Tutto è partito dal mio interesse per il teatro e in particolare per Marco Paolini. Mi chiedevo come mai una persona mi coinvolgesse così tanto, semplicemente - semplicemente tra virgolette! - con il suo stare in scena. Dico "stare in scena" perchè non è solo parlare, ma è parlare anche con il linguaggio del corpo e raccontare una storia. Dall'altra parte mi sono chiesta come mai a volte sia così difficile seguire una lezione universitaria, dove c"è pure una persona che parla. Al di là della differente situazione, in teatro e in aula, mi chiedevo se non ci fosse anche una differenza nel modo di porsi rispetto al proprio pubblico. Così ho intervistato degli spettatori di teatro e degli studenti universitari per vedere come si pongono in ascolto e cosa facilita o rende difficile la loro attenzione.
Come dicevo, tutto è partito da Marco Paolini, che ho conosciuto prima degli altri probabilmente per vicinanza territoriale - Marco Paolini è veneto. Poi attraverso la mia esperienza a Roma negli studi di RadioTre ho avuto l"opportunità di incontrare Marco Baliani, che stava conducendo un programma radiofonico in cui raccontava la sua esperienza di narratore. Sempre alla radio ho conosciuto Ascanio Celestini, che ho seguito in diversi laboratori, e Laura Curino, che ho poi incontrato a Schio in un lavoro sulla narrazione al quale ho partecipato.
Da cosa è caratterizzato il lavoro degli attori del teatro di narrazione?
Come dice Ascanio Celestini, loro sono più dei "solisti teatrali" che non degli appartenenti ad un genere chiamato "teatro di narrazione". La caratteristica del teatro di narrazione, così come viene definito grossolanamente, è la presenza in scena di un attore che racconta. Magari con dei musicisti che lo accompagnano, ma senza scenografia o con una scenografia molto povera: penso per esempio ad Ascanio Celestini, che in "Fabbrica" ha dietro di sè delle cassette di legno con delle luci e una sedia. L"attore racconta una storia, di solito senza fare i personaggi. Ma in questo i narr-attori sono molto diversi tra di loro: per esempio Ascanio Celestini usa sempre la stessa voce, anche se racconta la storia da diversi punti di vista, mentre Laura Curino a volte fa anche la voce dei personaggi. La caratteristica principale è quindi il racconto di una storia: ma è una storia che racchiude in sè tante voci di persone che raccontano storie, che hanno raccontato storie. In particolare, Ascanio Celestini raccoglie tantissime testimonianze orali e lavora sul modo di raccontare delle persone e sulle loro storie. Marco Paolini invece lavora soprattutto sui testi scritti. Baliani lavora di più sulla letteratura: fa diventare oralità le parole scritte. Dunque il loro modo di lavorare è molto diverso, ma ha una caratteristica comune: tutti fanno vivere le storie, animano le storie che raccontano, sia con la parola, sia con il corpo. E anche qui c"è una differenza. Ascanio Celestini usa il corpo in modo minimo, ma la sua presenza in scena è molto intensa. Più evidente è l"uso del corpo negli spettacoli di Baliani, dove il corpo diventa strumento della narrazione. Un gesto, e Baliani diventa cavallo. Marco Paolini ha un modo ancora diverso di stare in scena: apparentemente è solo una persona che parla, mentre ha un controllo molto preciso del corpo e in particolare dell'espressività del viso, che deriva anche dalla sua esperienza precedente di teatro di compagnia.
Lo scrittore americano Raymond Carver ha detto che "la buona narrativa consiste in parte nel portare notizie da un mondo all'altro". Questo vale anche per il teatro di narrazione?
Io credo che il teatro di narrazione sia così importante proprio perchè è veicolo di storie. Questo è emerso anche dalla mia tesi. Nel teatro di narrazione una persona veicola non delle nozioni ma degli elementi di vita, e accompagna gli ascoltatori in un percorso di conoscenza non basato soltanto sui dati: un"esperienza profondamente formativa. La narrazione fa rivivere nel pubblico l"esperienza che viene raccontata. Questo avviene anche attraverso il racconto scritto, ma ancor di più nel teatro di narrazione, grazie alla presenza fisica che muove non soltanto la parte intellettiva, ma anche le emozioni.
E rispetto alle lezioni universitarie...
La differenza è che le lezioni universitarie spesso rimangono... direi rattrappite nella forma letteraria scritta. La voce è lo strumento non adeguatamente sfruttato di qualcosa che rimane scritto. C"è spiegazione ma non c"è reale comunicazione, al di là dei dati. La trasmissione del sapere rimane legata alle nozioni e non è veicolo di esperienza, non diventa una conoscenza più profonda, che passa anche attraverso le emozioni. Molti spettatori hanno confermato che per loro sentire una storia, come per esempio quella di "Radio Clandestina" di Celestini, che racconta la vicenda delle Fosse Ardeatine, non significa solo conoscere e capire i fatti, ma comprendere la storia, senza uscire dal teatro con delle verità , ma con delle domande. In poche ore non puoi esaurire un argomento: la cosa più importante che puoi fare è porre delle domande che rimangono aperte e suscitare il desiderio di approfondire. Questo vale sia per uno spettacolo teatrale che per una lezione universitaria. Anche in un corso universitario il tempo è limitato: lasciare delle domande che risveglino i sensi dà molto di più che pensare di esaurire l"argomento in trenta ore...
Cosa c"è di diverso per lo spettatore tra il teatro di narrazione e uno spettacolo tradizionale?
Nel teatro tradizionale c"è la cosiddetta quarta parete: è come se lo spettatore guardasse dentro una scatola, dove avvengono delle cose come se lui non ci fosse. Nel teatro di narrazione lo spettatore sembra essere parte della storia: il narratore si rivolge direttamente al pubblico e per questo motivo il pubblico si sente molto più coinvolto. La narrazione richiede una partecipazione attiva dello spettatore: il racconto non viene rappresentato davanti agli occhi del pubblico, ma ogni spettatore può immaginare quello che viene raccontato e creare il suo "film".
Quali sono i progetti a cui stai lavorando adesso?
Grazie all'incontro con questi narratori è nato in me il desiderio di sperimentare in prima persona cosa vuol dire raccontare. Sto lavorando con il gruppo Narramondo a un progetto che ha ottenuto il primo premio al concorso Dante Cappelletti di Tuttoteatro.com. Il progetto riguarda gli anni di piombo: stiamo raccogliendo testimonianze di persone che hanno vissuto negli anni "70, che sono molto vicine a noi: spesso sono i nostri genitori. Ma quest"epoca storica è considerata un capitolo chiuso e noi sentiamo che rispetto a quegli anni c"è una rimozione, un vuoto nella memoria, in particolare riguardo alla lotta armata. Lavoriamo sull"esperienza di una brigatista e il progetto si chiama per il momento "A.V.", dalle iniziali del suo nome. Il progetto è ancora in fase di elaborazione, c"è ancora molto lavoro da fare per dare profondità al racconto. Ci rendiamo conto che noi, con i nostri 26 anni, non abbiamo il linguaggio per parlare di quelle cose. Per questo motivo è molto importante per noi parlare con le persone che hanno vissuto direttamente gli anni di piombo. Come insegna Ascanio Celestini, chi meglio di loro può raccontare quel periodo? Certo, ognuno racconta le cose con la propria visione. Ma, come dice Portelli, non è vero ciò che è vero, ma è vero quel che viene detto. Il che non vuol dire che sia vero in assoluto, ma è vero che è detto.