Venere e Adone

Ovidio, Metamorfosi (Libro VI, 382-400)

Venere, colpita da una delle frecce di Cupido, si innamora di Adone e prende parte alle sue attività: lo segue nella caccia e vaga per valli e selve, evitando gli animali feroci, fra cui cinghiali e leoni, e ammonendo Adone di fare lo stesso, per tentare di strapparlo al suo destino. Un giorno, mentre Adone era a caccia, fu ferito mortalmente da un cinghiale. Venere riconobbe da lontano i lamenti e accorse in aiuto, ma ormai era troppo tardi. La dea allora trasformò Adone in fiore, l’anemone:
“...nel sangue
versò nèttare odoroso e il sangue al contatto cominciò
a fermentare, così come nel fango, sotto la pioggia,
si formano bolle iridescenti. Nemmeno un'ora
era passata: dal sangue spuntò un fiore del suo stesso colore;
un fiore, come quello del melograno, i cui frutti celano
sotto la buccia sottile i suoi semi. Ma è fiore di vita breve:
fissato male al suolo e fragile per troppa leggerezza,
deve il suo nome al vento, e proprio il vento ne disperde i petali”

Quadro:
Pittore veronese
(inizi del secolo XVIII)
Venere e Adone
Padova, Musei Civici
Museo d’Arte Medioevale e Moderna
Inv 1910

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