Petrarca a Padova

Il Petrarca giunse per la prima volta a Padova nel 1349, su invito di Iacopo II da Carrara, signore della città . Aveva 45 anni ed era celebre in tutta Europa come storico, filosofo e poeta latino. Nel 1341, rifiutata l'offerta fattagli dall'Università  di Parigi, era stato incoronato poeta a Roma in Campidoglio.

Petrarca ospite di Jacopo II


A Padova Petrarca fu accolto con grandissimi onori da autorità  e popolo e venne ospitato nella splendida reggia carrarese. Qui egli ritrovava in qualiÍ  di vescovo il nobile romano Ildebrandino Conti, conosciuto alla corte papale ad Avignone, durante la sua giovinezza. Fu quindi lieto di accettare il canonicato che Iacopo II gli offerse, prendendone possesso il 18 aprile. Il rito solenne fu celebrato in cattedrale, alla presenza di una gran folla, dal cardinale legato Gui de Boulogne. Il mese seguente fu assegnato al poeta un beneficio annuo di 200 ducati d'oro e una casa adiacente alla cattedrale. L'abitazione, disposta su due piani, comprendeva otto camere, tre granai, due "caneve", una stalla e un orto, con un bel pozzo d'acqua.

Ma a Padova il Petrarca non si fermò. Riprese il suo peregrinare, tornando solo di tanto in tanto per assolvere ai suoi doveri di canonico. Era in città  il 15 febbraio 1350 per assistere alla traslazione del corpo di s. Antonio nell'arca in cui si trova ancora oggi nella Basilica del Santo.

Il 19 dicembre 1351 Iacopo II da Carrara veniva assassinato da un congiunto. Il figlio e successore Francesco chiamò il Petrarca a Padova. Il poeta scriverà  all'amico Giovanni Boccaccio, l'autore del Decameron: «La Fortuna, dopo aver mietuto intorno a me tanti amici ed avermi privato di tanti conforti, mi ha rapito con improvvisa, orribile e veramente indegna morte il migliore, il più caro, il più dolce sostegno e decoro dei miei giorni». Per la tomba di Iacopo II, opera dello scultore Andreolo de'; Santi, il Petrarca compose una commossa epigrafe, che si può ancora leggere nella chiesa degli Eremitani.

Petrarca ospite di Francesco da Carrara


Il Petrarca tornò a Padova per risiedervi stabilmente nel 1361, ma già  l'anno successivo la peste lo costringeva a trasferirsi a Venezia. Qui visse sette anni in un palazzo sulla riva degli Schiavoni, che la Repubblica gli aveva concesso in cambio del lascito della sua ricchissima biblioteca.

Durante gli anni veneziani, Francesco da Carrara, che amava il poeta di affetto filiale e lo voleva presso di sé, non mancò di invitarlo con insistenza a Padova. Nell'aprile del 1368 quando si recò a Udine per rendere omaggio all'imperatore Carlo IV, sceso in Italia per la seconda volta, il Carrarese volle che il poeta fosse al suo fianco. Commosso da tante attenzioni il Petrarca decise di lasciare Venezia e stabilire la sua definitiva residenza a Padova. «Qui a Padova sono sicuro di essere amato» avrebbe dichiarato qualche anno più tardi a Matteo Longo, arcidiacono di Liegi e suo caro amico.

La città , che si gloriava di una delle Università  più prestigiose d'Europa, gli offriva, oltre alla potente protezione del principe carrarese, un soggiorno piacevole e una numerosa cerchia di amici vecchi e nuovi:
  • Giovanni Dondi, medico e astronomo

  • Pietro da Moglio, maestro di grammatica e retorica

  • Bonaventura Badoer da Peraga, futuro patriarca di Aquileia e cardinale

  • il pittore Guariento, che in quel tempo lavorava alla reggia carrarese e agli Eremitani

  • il letterato Lombardo Della Seta, suo devoto segretario


Nella casa canonicale, dove aveva riunito la sua preziosissima biblioteca, il Petrarca visse serenamente, lavorando ad alcuni dei suoi capolavori tra i quali l'Africa, il Canzoniere e i Trionfi. Su invito di Francesco da Carrara, al quale sarebbe stato dedicato, il Petrarca riprese il De viris illustribus, raccolta delle biografie di 36 celebri personaggi dell'antichità ;. L'opera, su diretto suggerimento del poeta, fu alla base della vasta decorazione pittorica, oggi perduta, voluta dal Carrarese per 'ampio salone della sua reggia, poi detto "Sala dei Giganti".

La casa di ArquÍ 


Il poeta aveva ormai superato la sessantina e il suo stato di salute, indebolito da febbri e da vari malanni, era precario. Sicchè quando Francesco da Carrara, sempre premuroso nei suoi riguardi, gli donò un terreno ad ArquÍ  sui colli Euganei, Petrarca decise che quello sarebbe stato il miglior rifugio per i suoi ultimi anni. E scrisse all'amico Moggio Moggi: «Potessi mostrartelo! ͈ il mio secondo Elicona, che ho preparato per te e per le Muse. Sono certo che se tu lo vedessi non te ne vorresti più allontanare».

Nei primi mesi del 1370 la casa di Arquà era già  pronta. Il Petrarca vi si trasferì nel marzo. Aveva al suo servizio alcuni servi, ai quali si aggiungevano quattro o cinque copisti, ed era visitato da amici ed ammiratori. Così descriveva la sua vita ad ArquÍ  qualche anno dopo al fratello Gherardo: «Per non allontanarmi troppo dalla mia chiesa, qui fra i colli Euganei, a non più di dieci miglia da Padova, mi sono costruito una casa piccola ma deliziosa, cinta da un oliveto e da una vigna, che danno quanto basta ad una famiglia numerosa, ma modesta. E qui, benché ammalato, vivo pienamente tranquillo, lontano da ogni confusione, ansia e preoccupazione, passando il mio tempo a leggere e a scrivere».

Nel 1367 il papa Urbano V aveva provvisoriamente riportato dopo 64 anni la sede papale da Avignone a Roma. Il Petrarca, che tanto aveva sollecitato con le sue lettere la fine del «turpe esilio avignonese», era stato invitato alle solenni celebrazioni, ma violenti attacchi di febbre ne avevano rinviato più volte la partenza. Al rinnovato invito del papa, che gli scrisse personalmente, nel 1370 decise di mettersi in viaggio. Ma a Ferrara venne colto da una violenta sincope, che lo fece credere morto. Ad Arquà, dove era tornato dopo qualche tempo, lo raggiunsero la figlia Francesca e il genero Francescuolo da Brossano con la piccola Eletta. Petrarca morì nella notte fra il 18 e il 19 luglio 1374, giorno del suo settantesimo compleanno. Stava lavorando al Compendio del De viris illustribus. Al Boccaccio, che, avuta notizia delle sue non buone condizioni di salute, gli consigliava di mettere da parte gli studi e la fatica dello scrivere, Petrarca aveva ribattuto: «Non c'è peso più leggero della penna, nè più dolce. Gli altri piaceri svaniscono e dilettando fanno male, la penna invece dà  gioia quando la si prende in mano e soddisfazione quando la si posa, riuscendo utile non solo a chi la usa, ma spesso anche a molti altri che sono lontani, anche a coloro che vivranno dopo migliaia di anni».

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non si può rimanere insensibili, dinanzi al significato profondo di una vita come quella del poeta, significato che trova concretezza nel contributo che ha dato all'edificazione culturale della società; per me è un dovere lodarlo, partecipando a questa manifestazione.