I bronzi della collezione Vok

Presentiamo quattro opere tra le più significative della collezione Vok, che comprende una cinquantina di bronzi del Rinascimento di qualità  elevatissima e che resterà  in mostra ai Musei Civici fino al 6 febbraio.

schede adattate dal testo critico di Davide Banzato

Ercole o Atlante
Cristo morto
Picchiotto in forma di basilisco
Due lucertole


ERCOLE o ATLANTE


Bronzo, patina naturale bruna con resti di lacca nera, altezza 22 centimetri

autore: VITTORE GAMBELLO detto VITTORE CAMELIO (Venezia 1460 circa-1537)

periodo: Terzo-quarto decennio del secolo XVI

Interpretazioni iconografiche e attribuzione dell'€™opera
Questo bronzo potrebbe raffigurare sia Atlante, condannato da Zeus a reggere il mondo sulle sue spalle, sia Ercole che, nel corso della sua undicesima fatica, persuase il Titano a sostituirlo mentre coglieva per suo conto i pomi del giardino delle Esperidi.

Auersperg (Auersperg, 1996, n.5), che ha recentemente reso nota questa piccola scultura, riteneva poco probabile che la figura fosse destinata a reggere un globo, come vorrebbe la più consueta iconografia. Più attendibile pare l"€™ipotesi di uno specchio realizzato all'antica consistente in un disco di bronzo argentato. Lo stesso Auersperg (ibidem) specifica che non sono attualmente note altre versioni della statuetta, e la pone in relazione con un gruppo di figure di Ercole, ritenute da Bode (Bode, 1907, tav. LXXVIII) derivanti dal modello in legno di bosso di Francesco da Sant'Agata alla Wallace Collection di Londra. Le più note sono gli esemplari all'Ashmolean Museum di Oxford e della collezione Abbot Guggenheim di San Francisco.

Pope-Hennessy (Pope-Hennessy, 1962, n. 87), pur assegnando in un primo tempo il pezzo di Oxford al Sant'Agata, faceva rilevare la diversa tipologia delle teste, del bronzo e del legno; in un secondo momento (Pope-Hennessy, 1963, p.22) ne proponeva l'attribuzione al Camelio sulla base del confronto con i due rilievi firmati dallo scultore entro il 1539 per la tomba sua e del fratello Briamonte a Santa Maria della Carità  a Venezia (Planiscig, 1921, pp. 309-310 e figg. 325-326), spostati poi al Museo Archeologico e ora al Museo della Ca' d'Oro.

Tale attribuzione è stata accolta dalla critica successiva. In particolare Camins (Camins, 1988, n.8), studiando il pezzo della collezione Guggenheim, ne sottolineava le strette affinità  con i citati rilievi della Ca' d'Oro, soprattutto per quanto riguarda il modellato anatomico delle figure e i tipi fisionomici dei volti.

Sulla base di tali elementi Auersperg (Auersperg, ibidem) riteneva il bronzetto in esame perfettamente congruente con i pezzi sopra citati e ne proponeva decisamente l'attribuzione al Camelio. Dello stesso parere si dichiara anche la Augusti (in Donatello e il suo tempo..., 2001, p.194). Il modello della figura in esame è ripreso nel verso della medaglia realizzata da Giajacopo Poggini per Filippo II di Spagna nel 1557.

In effetti qui lo studio della posizione delle gambe è da connettersi strettamente con quella rilevabile nel bronzetto di Oxford, il modellato del volto è piuttosto affine a quello che si riscontra nelle opere a lui attribuite. Il tono generale della piccola scultura rientra pienamente nei modi di quel gruppo di artisti, come Paolo Savin, Francesco da Sant'Agata, Maffeo Olivieri e lo stesso Camelio, chiamati da Planiscig "Maestri del movimento ricercato", le cui opere, caratterizzate da uno studio del movimento che reagisce alla staticità  del classicismo lombardesco, prepararono i veneti all'accoglimento del manierismo.

Eventuali dubbi sull'attribuzione derivanti da certe corsività  nella definizione formale, in genere più accurata nelle opere di un orafo quale era il Camelio, possono venire sciolti dal confronto con il tipo di realizzazione dei putti che reggono la Lampada a olio degli Staatliche Museen di Berlino, di recente attribuitagli (Knuth, in Von allen seiten schön..., 1995, n. 41).





CRISTO MORTO


Bronzo, patina naturale con estese tracce di lacca nera, altezza 30 centimetri

autore: ANTONIO SUSINI (Attivo dal 1578 circa-Firenze 1624)

periodo: Secondo-terzo decennio del secolo XVII

Attribuzione dell'€™opera
La produzione da parte dei bronzisti di crocefissi impostati con accurata modellazione più o meno su questo schema è un fenomeno che ha le sue origini nell'epoca del manierismo; basti pensare, in questo senso agli esempi impostati in ambiente romano da Guglielmo della Porta (1500 circa-1577) (cfr: Avery, 1996, n.46) nel settimo-ottavo decennio del secolo XVI.

Giambologna in particolare fu tra i principali interpreti del tema del Crocefisso, sia nella versione che vede il Cristo vivo che in quella che lo raffigura morto. Di quest'ultima rimangono esempi che vengono correntemente fatti risalire a sue idee, come quello della Schatzkammer di Vienna (Leithe-Jasper, in Prag um 1600..., 1989, n.512).
Numerosi crocefissi di questo tipo comparsi anche sul mercato dimostrano la fortuna del modello che, in ogni caso, sembra derivare da idee di Giambologna. Questi infatti, oltre a trattare il tema su scala monumentale, come negli esempi della Santissima Annunziata e di Santa Trinita a Firenze, ne aveva sicuramente modellato almeno uno in piccola scala, che fu poi riprodotto da Susini in diversi esemplari, uno dei quali attualmente segnalato in una collezione privata (Avery, 1987, p.202).

Secondo la Watson (Watson, 1978, pp.45-47), almeno nel primo periodo, gli assistenti della bottega di Giambologna provvedevano alla finitura della maggioranza dei crocefissi impostati dal maestro, introducendo a volte significative varianti nella posizione delle gambe e delle ginocchia. Vicino alla resa dell'esempalre in esame è anche quello già  presentato da Daniel Katz (Daniel Katz..., 1993, pp. 86-88; Auersperg, 1996, n.22) che doveva far probabilmente parte di un più ampio Calvario ed essere posto su di una base in bronzo.Uno di questi, attribuito a Pietro Tacca, con un Cristo molto simile al nostro, si trova al Museo degli Argenti a Firenze (Avery, 1988, p.127); il nostro Cristo morto inoltre ricalca le linee di quello, sempre attribuito a Susini, che si trova nella navata sud del Duomo di Pisa (Avery, ibidem)
Anche se i crocefissi fin qui citati rappresentano alternativamente il Cristo vivo o morto, triumphans o patiens, sono tutti delineati con modi molto simili. Tra le caratteristiche principali si osservano un plasticismo che predilige delicati passaggi di chiaroscuro, il modulo slanciato della figura, l'accurata modellazione delle mani e dei piedi che separa nettamente tra loro le dita, gli alluci dei piedi sporgenti, le ginocchia rivolte leggermente verso sinistra, il trattamento del perizoma striato, l'accurata cesellatura del capo e di tutti i dettagli anatomici.

In particolare va osservata la resa della muscolatura del torace, che viene variata in base al fatto che il Cristo tenga il capo alzato o abbassato. Le stesse misure di questi pezzi sono impressionantemente analoghe a quelle dell'opera in esame: 29 o 30 centimetri in altezza.

Tutti questi elementi, uniti all'alta qualità  della realizzazione, portano ad attribuire questo bronzo alla mano di Antonio Susini. Eventuali ma deboli perplessità  possono venire dalla fortuna che questo tipo di schema godette soprattutto nel corso del secolo XVII, venendo riprodotto dalla bottega ma anche da altri allievi e continuatori di Giambologna, come Pietro e Ferdinando Tacca. Al primo dei due è infatti dubitativamente attribuito l"€™esemplare della collezione Hall che differisce dal nostro per la doratura del perizoma, per le maggiori dimensioni e per una meno dettagliata resa dell'€™anatomia.



PICCHIOTTO IN FORMA DI BASILISCO


Bronzo, lacca bruna, altezza della figura a tutto tondo 26 centimetri

autore: BRONZISTA VENEZIANO

periodo: 1590-1600

Interpretazione dell'€™opera
Dalla bocca di un mascherone, che doveva essere fissato al battente di una porta, esce un perno modellato separatamente cui è incerneriato l'animale fantastico che fungeva da picchiotto.
La zampa destra, forse per un difetto di fusione, è stata saldata accuratamente al momento della finitura.

Leo Planiscig (Planiscig, 1924, p.116), illustrando l'esemplare del Kunsthistorisches Museum di Vienna, acquistato nel 1902 da una collezione privata ungherese, riteneva che rappresentasse un grifo e citava le sue varianti presenti all'Osterreichisches Museum di Vienna e al Germanisches Museum di Norimberga. Ricordava inoltre che lo stesso basilisco, anche se con varianti, è stato usato sempre con funzione di picchiotto, nel castello Porcia a Spittal in Carinzia. Lo studioso considerava l'opera lavoro di un artista veneziano.

Tale parere veniva successivamente ripreso da Weihrauch (Weihrauch, 1956, n.133; Weihrauch, 1967, p. 154) secondo il quale l'animale fantastico raffigurato poteva essere stato concepito con una funzione araldica in quanto compare nello stemma della famiglia veneziana Boncompagni. Quest'ultimo esemplare presenta differenze rispetto a quello di Vienna nel mascherone, che lì è barbuto e con tratti fisionomici leggermente difformi, e nel basilisco che tiene nel becco un serpente. Di quest'ultimo sono note altre due repliche, documentate da due foto alla fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze, la prima a Torre di Cona (Firenze) nella collezione Rossi di Montelera, mentre la seconda si trovava nel 1960 a Bad Homburg nella collezione Jantzen. Un altro esemplare ancora, privo di serpente, era negli anni trenta proprietà  dell'ex principe ereditario di Germania.

Al Royal Scottish Museum di Edimburgo è esposto un altro bronzo corrispondente a questo modello. Un altro ancora, proveniente dalla collezione Simon di Berlino, si trova al Museo Amedeo Lia di La Spezia (Avery, 1998, p.248).

Già  Weihrauch osservava che tra i picchiotti veneziani in bronzo il presente costituisce una interessante variazione. Infatti è forse l'esempio più originale di questo tipo di oggetto, concepito con assoluta libertà  inventiva, raffinata definizione plastica, aggressiva impostazione spaziale e sobrietà  di efficacia decorativa. Gli esemplari noti sono pochi e tutti caratterizzati da una minuziosa finitura, ad eccetto di rare redazioni più tarde come quella presentata alla mostra Antiquaria di Padova del 2002.

Non è possibile allo stato attuale delle conoscenze stabilire se questi pezzi scaturiscono da una commissione unitaria o provengano tutti dallo stesso edificio. Non vi sono inoltre elementi per collegarne con sicurezza l'invenzione alla produzione di uno dei bronzisti veneziani tardocinquecenteschi.

Al di là  degli ipotizzati significati araldici, questo animale fantastico, per la sua funzione apotropaica, di protezione, al pari dei leoni era quanto mai adatto a venire utilizzato quale figurazione da collocare su di un portale: infatti, secondo le credenze medievali, il basilisco poteva causare la morte con il solo suo sguardo.


DUE LUCERTOLE IN LOTTA


Bronzo, patina naturale, diametro centimetri 21

autore: BRONZISTA NORDITALIANO

periodo: Secolo XVI

Interpretazione e attribuzione dell'€™opera
Opere come queste si diffondono nel Rinascimento sull'onda di un'attenta tendenza all'indagine del dato naturale che ha le sue origini ancora nell'epoca del tardogotico.

La critica in genere ha sempre ritenuto che fosse una specialità  dei plasticatori padovani prendere calchi da rane, serpenti, coleotteri, tartarughe, molluschi e altri piccoli animali che poi venivano riprodotti in bronzo a volte, ma meno frequentemente, collegando loro una funzione pratica come quella di calamaio o di lampada.

In particolare Bode (Bode, 1907, passim) considerava questi oggetti opere del Briosco, mentre Planiscig (1927, p. 365) tendeva a collocarli prevalentemente nell'ambito della bottega.
Attualmente si ritiene che queste piccole opere siano uscite da non meglio identificate fonderie padovane o, più genericamente, dell'Italia del nord. Ce ne rimangono infatti numerosi esemplari che rappresentano una lucertola da sola, come quelli delle Staatliche Kunstsammlungen di Kassel e dei Musei Civici di Brescia considerati padovani, mentre quelli che mostrano i due piccoli animali in lotta vengono attualmente ritenuti di un più largo ambito di produzione dell'Italia del nord della seconda metà  del Cinquecento, come quelli del Kunsthistorisches Museum di Vienna, del Bayerisches Nationalmuseum di Monaco (Gramaccini, in Natur und Antike..., 1985, nn. 273-274) e del Museo Correr di Venezia (Leinz, in Die Beschworung..., 1994, n. 106).

Ultimamente Avery (1998, p.114), ritiene che pezzi come questo venissero prodotti, oltre che in Italia del nord, anche nella Germania meridionale.

Le lucertole, utilizzando le variabilità  offerte dal corpo dell'animale morto, potevano venire sistemate secondo diverse posizioni; le due qui presentate sono vicine nella posa a quelle del Museo Correr ma la loro combinazione presenta delle differenze.

Non sono state ancora chiarite tutte le utilizzazioni pratiche di queste opere. Sicuramente, come testimonia il Ritratto maschile delle Gallerie dell'Accademia di Venezia eseguito nel 1528 da Lorenzo Lotto, dovevano fungere da soprammobile, collegandosi a significati simboleggianti la caducità  della vita umana, costituendo una sorta di apotropaico memento mori. Nel caso dei due animali in lotta, esistendo una certa analogia con la figurazione dei due serpenti che si mordono reciprocamente la coda, potevano anche indicare un simbolo di rigenerazione.
L'esemplare in oggetto è l'unico a raffigurare la lotta delle due lucertole su di uno sfondo, imitante il terreno, sul quale sono sparse anche alcune conchiglie. Anche queste, tratte con calco dal naturale, sono un elemento che si riscontra nei bronzi padovani del Rinascimento; compaiono infatti spesso come accessorio nei satiri del Briosco e di Severo da Ravenna.

Non è possibile definire con precisione la datazione e l'attribuzione poichè oggetti come questo furono prodotti almeno per tutto il secolo XVI.

Commenti

Sono una giovane laureata in conservazione dei beni culturali mi interesserebbe ricevere delle informazioni su una placchetta bronzea realizzata dal Moderno, raffigurante la scena della crocifissione,esposta nel vostro museo. In particolar modo vorrei avere delle informazioni su come e quando la suddetta placchetta è arrivata presso i musei civici di padova. vi ringrazio anticipatamente, cortesi saluti Maria Elisabetta Nicastro

Sono presenti ai Musei Civici di Padova due placchette attribuite al Moderno raffiguranti La Crocifissione (inv.76 e inv. 79), pervenute entrambi al Museo nel 1917 con il legato della Contessa Adele Sartori Piovene. Da verificare l'eventuale provenienza dalle collezioni di Antonio Meneghelli, il cui patrimonio passò al padre di Adele. Per il resto, può trovare la scheda scientifica relativa alle due opere nella pubblicazione: "D.Banzato - F.Pellegrini: Bronzi e placcchette dei Musei Civici di Padova" - Editoriale Programma, 1989. Cordiali saluti. La Redazione Musei