Ilaria Drago in "Giovanna d'Arco"

Il "viaggio" di Giovanna d'Arco è narrato qui in forma di diario. E' un viaggio catartico che si scompone in quattro momenti che rappresentano altrettanti e differenti luoghi dell'anima: la chiamata, la battaglia, la solitudine, la resurrezione. Un viaggio, in realtà  una metafora che chiama tutti noi a partecipare in prima persona e con responsabilità  al gioco della vita. Lo spettacolo è tratto da "Estasìe" antologia di testi teatrali di Ilaria Drago.

GIOVANNA D'ARC0
di Ilaria Drago


musiche originali: Stefano Scatozza
con: Ilaria Drago e Danila Massimi (voce e percussioni)
costumi: Karuso
luci: Max Mugnai

Come una viandante Giovanna lascia gli ormeggi della propria casa per attraversare il guado dell'esistenza in un viaggio catartico che si scompone in quattro momenti, detti le quattro stanze, che rappresentano differenti luoghi dell'anima: la chiamata, la battaglia, la solitudine, la resurrezione. Ma Giovanna è un pretesto. I viandanti siamo noi. Siamo tutti una giovanna. Lo siamo ogni giorno. Ogni volta che abbiamo l'occasione di vedere e la buttiamo via. Ogni volta che uccidiamo a colpi di indifferenza. Ogni volta che sappiamo aprire lo spirito al canto della frescura degli alberi.
Nella storia di questo viaggio scenico, si mescolano sogno e realtà . La realtà  è negli occhi di Madìd, un bambino che sta morendo di fame nell'arsura del sole africano. La realtà  è la testimonianza di uno stupro raccontato da una giovane donna che rappresenta tutte le donne che lo stupro lo subiscono ogni giorno, nelle guerre oltremare o in quelle della propria casa. Dalla guerra quotidiana in cui non si è più riconosciute a quella in cui si resta sventrate da un coltello, il feto tirato fuori, in un orrore indimenticabile. Il sogno invece, si chiama fede!
Lo spettacolo dunque è sogno e si scompone in quattro paesaggi surreali immaginati come quattro ipotetiche tappe evolutive dell'essere umano stesso e caratterizzati da ambientazioni luce differenti: come fossero quattro dipinti luminosi. Seguendo questa suggestione la parola sposa la musica e diventa una nenia o una specie di mantra, in particolar modo nelle parti più dure dello spettacolo: il prologo dedicato Madìd e la testimonianza dello stupro. Il linguaggio usato assume le forme più differenti da quella un po' sporca e discorsiva a quella poetica fino a divenire nelle preghiere che Giovanna rivolge a Dio delle vere e proprie ballatine rappate. La morte di Giovanna viene intesa come il superamento di certe schiavitù cui l'uomo è piegato ed ha in qualche modo un'accezione positiva, tanto da far apparire la Pulzella nel fuoco quasi volasse libera nell'aria.
Anche il costume di scena segue questo senso di liberazione e cade già¹, pezzo per pezzo durante lo spettacolo.
Il viaggio di Giovanna diventa quindi più che mai in questo "concertino teatrale" una metafora che ci chiama tutti a partecipare in prima persona e con responsabilità  al gioco della vita.

Per ulteriori informazioni sulla Rassegna si rinvia a: Contrappunti.