Intervista a Giuseppe Toma

Anche un passante distratto, camminando per via Roma, viene attratto dai quadri di Giuseppe Toma esposti nella Sala Samonà  della Banca d"€™Italia. Colpiscono immediatamente la qualità  della luce, la luminosità  dei colori e la sinuosità  delle architetture.

Tra i primi dipinti ad olio di Toma ci sono alcune scene di vita contadina ambientate in Puglia, il luogo dell'€™infanzia. I colori sono cupi: frutti, tronchi di ulivi, volti fieri di uomini e donne.

Tre contadini, 1970


Ora un"€™intensa atmosfera mediterranea pervade i suoi lavori: il mare, il cielo, le case bianche del Salento che diventano tridimensionali, vengono fuori dal quadro, ricordando le prospettive impossibili di Escher. Ma un"€™osservazione più attenta rivela che attraverso gli archi, le scale, le finestre, le case prendono vita assumendo sembianze umane: si guardano, si distendono, si stringono in un abbraccio... Rappresentano l"€™amore, l"€™amicizia, la gelosia.
Il desiderio e insieme la difficoltà  di stare insieme.

La solidarietà , 1983


Giuseppe Toma parla di tutto questo con sguardo ispirato. Dai suoi modi antichi traspare una grande gentilezza e una grande passione. «Se ho allievi? Certo, mi diverto ad insegnare!», risponde con tono vivace. Mi racconta che nella chiesa di Notre-Dame di Parigi ci sono delle bellissime vetrate colorate. In alcuni punti però, il pezzo di vetro è stato sostituito. Si vede subito che il colore è diverso da quello originale e stona. «Come mai il colore è diverso?» ha chiesto lui alla guida durante la visita. ͈ successo che il vetraio ha portato con sé nella tomba la formula chimica per ottenere quel colore. Nonostante tutti i tentativi, non è possibile creare di nuovo quel preciso colore.
«Quello che so, mi piace darlo agli altri», dice Toma. «Se la mia esperienza può essere utile, sono contento di trasmetterla. Non voglio essere come il vetraio di Notre-Dame».

Il lavoro, 1997



Mi racconta come si è avvicinato alla pittura?

Le origini si perdono nell'€™infanzia. Mi ricordo che avevo un"€™insegnante che aveva tentato il suicidio (per amore, dicevano alcuni) ed era rimasta senza gambe. Questa insegnante della scuola elementare veniva accompagnata in classe, la sedevano alla cattedra e lei aveva bisogno di uno che scrivesse bene alla lavagna, in stampatello, e di un altro che facesse i disegni. Ha scelto me per i disegni, perché si vede che aveva visto che avevo qualche qualità , e io facevo i disegni per tutti i ragazzi. Poi passavano i colleghi della maestra per salutarla, vedevano questi disegni e chiedevano: "€œChi l"€™ha fatto?"€. E allora mi chiamavano nelle altre classi: partivo dalla seconda e andavo nelle terze, nelle quarte e nelle quinte. Tutto il giorno ero arrampicato su questo sgabello a disegnare. In quinta elementare il preside ha chiamato mio padre e gli ha proposto per me una borsa di studio. Ha detto: "€œA questo ragazzo gli facciamo fare le scuole dell'€™arte"€. "€œNo, ma scherza!"€ ha detto mio padre, "€œfanno la fame, fanno la fame"€, e non ha accettato. Dopo io ho sempre coltivato questo amore per l"€™arte. Quand"€™ero ragazzino mia madre si tagliava i capelli e li vendeva in cambio di un pettinino, del sapone. Mi ricordo di avere tanto pregato mia madre: "€œMamma, mamma, i colori per piacere!"€. I pastelli, volevo. E una volta me li ha comprati. E con questi pastelli io disegnavo continuamente. Mi ricordo che una volta ho fatto una farfalla in movimento. Ho disegnato il corpo affusolato dell'€™insetto e ho disposto le ali come se fosse in movimento. Io non avevo mai visto un cartone animato: non avevo mai visto la televisione, non sapevo niente. Sono corso da mia madre: "€œMamma, mamma! Ho inventato il movimento!"€ "€œCos"€™hai inventato?"€ ... mia madre non capiva. Però quando sono arrivato a Padova (facevo l"€™ufficiale) ho scoperto i futuristi e mi sono detto: "€œCome mai io, piccolino, lontano, in un paese del Sud, percepivo questa cosa?"€. Io la sentivo come mia, questa invenzione. Quando ho visto i cartoni animati di Walt Disney ho detto: "€œE io che pensavo di essere l"€™unico..."€ Forse c"€™era in me questo desiderio di tentare nuovi approcci col disegno.
Questi sono gli inizi. Poi ho cominciato a dipingere qualche ritratto, di qualche fidanzata, di qualche parente... mi ricordo di un volto di Cristo, che non so dove sia andato a finire. Poi sono arrivato alla nostalgia di un paese: a riprodurre le cose mie, del passato (ero a Padova ormai). Chiudevo gli occhi e immaginavo il mio luogo natio. E poi sono arrivato a questo.

Qual è la sua fonte di ispirazione?

Alla base c"€™è un viaggio nell'€™America Centrale. Qui ho scoperto la semplicità . In questi posti avevano una grande solidarietà  tra di loro: uno pescava, e pescava per tutto il villaggio. Era una cosa molto bella. Pescava, ma lasciava andare il pesciolino e prendeva il pesce più grosso: "€œEh, il pesciolino crescerà , dopo"€. Mi ha insegnato molto: nella nostra società  consumistica noi mangiamo il pesciolino appena nato, ce ne approfittiamo. Quando sono tornato ho visto che noi europei, e anche gli americani, siamo inseriti in un contesto quasi militare: siamo inquadrati in fila verso il consumismo, come militari assoldati per consumare. Dentro di noi però c"€™è ancora l"€™amore, la voglia di fratellanza, di amicizia, di dialogo. Questa cosa è in noi, nonostante il fatto che siamo irreggimentati. E allora ho cominciato a disegnare l"€™individuo, e lo facevo rigido, lo squadravo con linee rette. Poi ricavavo dalle parti anatomiche gli archi. L"€™arco è il pensiero positivo, la voglia d"€™amare. Quindi nel corpo umano ricavavo queste aperture, quasi ad invitare me stesso e gli altri a riscoprirle. Ho visto che attraverso questo segno potevo raccontare tutto dell'€™uomo. Dalla religione alla letteratura... posso parlare di qualsiasi cosa attraverso un bel paesaggio, un castello. Ma all'€™interno, oltre alla visione architettonica, il quadro contiene la voce dell'€™autore che cerca di dialogare con il pubblico. Mi sembra che questo sia percepito, specie dalle persone sensibili. Tutti i miei quadri sono un intreccio di sogno e realtà . Per esempio, il quadro delle "€œGemelle"€ l"€™ho fatto prima dell'€™11 settembre. Ho detto: faccio queste due ragazze di schiena, e gioco sulla gonna, sui porticati. Quando l"€™ho fatto non pensavo alle torri gemelle. Dopo ho riscoperto questo disegno ed è venuto fuori un altro messaggio, attuale, che dà  il senso della pace ma anche del panico. Si può pensare che le due ragazze stiano giocando, correndo o scappando: rimane questo dubbio. In primo piano ci sono dei piedi, che sembrano quasi recisi: non hanno le basi e forse cadranno. Sullo sfondo ci sono due gabbiani, ma noi sappiamo che sono stati due aerei.. insomma è un intreccio di sogno e realtà . Quando io metto una donna china su un individuo che è steso per terra, e la chiamo "€œSolidarietà "€, essa rappresenta la religione ed è un invito al dialogo. L"€™uomo deve riscoprire il dialogo, deve stare con l"€™Altro. Io sono qui di fronte a Lei: devo apprendere da Lei il meglio che ha Lei. E Lei deve apprendere da me il meglio che ho. ͈ dall'€™incontro che c"€™è arricchimento ed evoluzione. Questo è il mio concetto della vita, e tento di metterlo in risalto attraverso i colori, le forme. Da quello che mi sembra, qualcosa ho raggiunto.

Mi parla del suo rapporto col pubblico?

Il pubblico reagisce molto positivamente. Ho visto anche uno spagnolo, un giapponese, che mi hanno detto: "€œLo sa che la sua pittura è una cosa universale?"€. Cioè è comprensibile per tutti gli abitanti della terra, non si rivolge solo a un pubblico mediterraneo, anche se attinge alla storia del mediterraneo. Il messaggio, inserito in questo paesaggio che poi è il corpo umano, è universale. L"€™amore, la solidarietà , lo stare insieme sono concetti universali. Ognuno dei visitatori riesce a percepire una propria emozione e molti visitatori nel libro [guest book] hanno scritto "€œgrazie per le emozioni"€.

Qual è il suo metodo di lavoro?

La tecnica è quella dell'€™olio: con l"€™olio posso fare tutte le trasparenze possibili. I miei quadri sono buoni dal punto di vista coloristico. Alcuni critici hanno parlato di "€œcolore raffinato"€. Ma non è il colore... in un quadro il colore conta il 10-20 per cento, ma più di tutto è importante l"€™impaginazione delle masse. Il quadro dev"€™essere un tutt"€™uno tra forma, impaginazione e colore. Solo così si ottiene un risultato gradevole. Perfino nell'€™astratto penso che sia così. E poi penso che l"€™astratto non esista. L"€™astratto è una cosa indefinita: quando io poggio la penna su un foglio e faccio un puntino, è già  qualcosa di concreto. Una linea è già  concreta, una chiazza di colore è già  concreta. Che poi il pensiero possa andare al di là , nell'€™infinito: bene, se riesci ad accompagnare nell'€™infinito!

Che consigli ha per un giovane pittore?

Nella mia scuola elementare si cominciava con le aste. Allora noi ragazzini non sapevamo tenere in mano una penna. C"€™erano pennino ed inchiostro, e nessuno aveva in casa pennino ed inchiostro. E a scuola ti dicevano di fare le aste: dentro il rigo dovevamo fare dei segni dritti, ed era molto difficile. Allora, prima di tutto è importante la manualità . Cosa vuol dire? Disegnare, disegnare e disegnare. Le cose più futili: il fiore, la foglia, la foglia di una rosa e la foglia di un ulivo, poi le mani, la bocca, il sorriso... non è facile, ma un po"€™ alla volta la mano e l"€™occhio di chi disegna riescono a vedere le luci e le ombre. Alla base ci devono essere una buona idea e un buon disegno. Poi successivamente si aggiunge il colore. Il giovane poi non deve pensare di diventare ricco. Io ho fatto l"€™ufficiale, l"€™impiegato di banca, e nel tempo libero, anziché "€œfare le vasche"€, come si dice qui a Padova, mi ritiravo in studio a dipingere, ogni giorno. Perché mi piaceva, certamente. Questo ha pagato nel tempo. Anche Vittorio Alfieri disse "€œVolli, volli, fortissimamente volli"€: a furia di insistere, qualcosa salta fuori. E"€™ basilare avere, non dico delle qualità , ma delle propensioni. Se ti senti portato, poi i risultati vengono. Se c"€™è amore saltano fuori anche i baci.

Laura Lazzarin