Intervista a Titos Patrikios

Il poeta Titos Patrikios racconta in un'intervista il suo percorso poetico e politico.
Esponente di spicco della poesia greca contemporanea, è stato ospite della rassegna Padova Incontra la Poesia.

Da quest'anno la rassegna "Padova incontra la poesia", curata da Silvio Ramat per l'Assessorato alla Cultura, è divenuta internazionale.
Il primo ospite che ha letto i suoi testi davanti al numeroso e attento pubblico della Sala Rossini del caffè Pedrocchi è stato Titos Patrikios, il più celebre poeta greco contemporaneo, nato nel 1928 ad Atene, una vita densa di vicende umane e di importanti esperienze politiche e culturali che in gioventù lo hanno posto nelle file della Resistenza contro i nazifascisti che avevano invaso la Grecia.
La sua militanza politica all'interno della sinistra gli comportò il confino alle isole Macrònisos, dove conobbe il grande poeta Ghiannis Ritsos, il quale ne scoprì il talento e gli fece conoscere Neruda e Majakovskij.
Una volta libero, tornato ad Atene, il giovane Titos pubblicò la sua prima raccolta di poesie, esattamente cinquant'anni fa.

Alla Sala Rossini Patrikios ha letto in greco alcuni testi significativi tratti dal ciclo "L'epopea e i ritratti", affiancato nella versione italiana dal suo traduttore, l'editore italiano Nicola Crocetti, direttore della rivista "Poesia", che sta per pubblicarne un'antologia.
In perfetto italiano, il poeta greco ha subito chiarito quanto l'eredità  della cultura ellenica sia stato un pesante fardello per la sua generazione: se da un lato infatti il mito e la tradizione arricchiscono, dall'altro impediscono di sentire il presente. "A suo tempo - spiega Patrikios - abbiamo dovuto rompere con l'antichità  per trovare la nostra voce."

Lei ha militato nella sinistra, ha fatto la Resistenza ed è stato deportato. In che modo ritiene che la storia e il vissuto personale siano testimoni e giudici del presente?

Il passato e la storia fanno più ricca la nostra esistenza, senza memoria non possiamo esistere, ma sono assai pericolosi come giudici, poiché un giudizio molto severo può condannarci ad essere docili di fronte al passato.
Ma, come ci insegnano le avanguardie, i post-futuristi e i post- surrealisti che abbandonarono la metrica e la rima per cercare forme nuove, l'arte e la poesia non possono essere docili, la logica interna della poesia è una logica di estremi, non di mezzi termini.
Da una parte stanno la storia e la politica, dall'altra stanno l'arte e la poesia che sono fondamentali per la vita ma hanno logiche diverse. La logica dell'arte è quella dei rovesciamenti, delle rotture e degli estremi senza i quali non può continuare, diventa ripetizione. Noi possiamo sottostare al giudizio della storia senza essere docili: dobbiamo giudicare anche il giudice.

Si riferisce a una presa di posizione di tipo politico?

Una persona che parla in pubblico deve prendere posizione, non può nascondere quel che pensa, ma ciò non significa che debba essere inserito nell'ingranaggio, può anche essere indipendente rispetto alle formazioni politiche.
Nel secolo scorso c'è stata molta poesia politica, ma quest'impegno ha fatto prevalere il bersaglio politico rispetto alla scrittura, in tal modo la poesia perde la sua indipendenza e lo spirito critico. In ogni caso questo è sempre un grande dilemma: senza interesse politico la poesia diviene insipida, con troppo intento politico diviene linguaggio giornalistico, propaganda.

Negli anni Cinquanta, durante l'esilio, lei ha conosciuto il grande poeta Ghiannis Ritsos. Quanto ha significato questa amicizia?

Il legame con Ritsos mi ha influenzato molto, gli devo molto e gli sarಠsempre riconoscente, ma, dopo un rapporto molto intenso con l'amico e maestro, ho avuto bisogno di uccidere simbolicamente il padre, una rottura che si è risolta dopo 25 anni, del resto io dovevo fare la mia strada.
Gli elementi biografici sono importanti ma non coincidono con la scrittura. Alcune mie poesie, ad esempio, sono state come delle premonizioni e sono andate davanti al mio vissuto, altre invece sono giunte in ritardo rispetto al mio vissuto.
L'importante è vedere il cammino che ha fatto un poeta, lasciare stare il passato e continuare. Stendhal diceva "Mi dà  malinconia leggere i miei libri." E poi, più imparo la letteratura, più fatico a scrivere, non è come in gioventù che non ci pensi...
Adesso vedo tutti i problemi che ci sono nello scrivere, ma continuo, con una certa forma di autoironia che mi permette di vedere le mie straordinarie debolezze.

A tutta prima, le sue poesie sembrano facili e chiare, comprensibili. Come ci riesce?

La chiarezza è un risultato, non ci si arriva subito, io ho scritto anche poesie oscure. Spero che le mie poesie siano chiare ma non semplici, che abbiano molti livelli da scoprire.
Al campo, Ritsos mi ha insegnato che dovevo scrivere e riscrivere, anche cinque volte, e, se occorre, buttare via anche la metà  del lavoro. Gli ultimi miei testi mitologici, ad esempio, sembrano semplici, ma sono stati rielaborati una ventina di volte, perché è difficilissimo mettere insieme due-tre parole e se le parole non sono messe in quel certo modo la poesia non tiene. Bisogna avere un notes per prendere appunti. Anche se non servono. Ma intanto bisogna prendere appunti.

Di cosa deve occuparsi la poesia?

La poesia risponde a questioni che ancora non sono poste in essere.
La grande poesia prevede le domande dando piacere, attraverso il piacere della lingua, come fa Dante che anticipa fin dai primi versi Nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai in una selva oscura/ che la diritta via era smarrita...
La grande poesia prevede le domande, però mi piacerebbe dire che cosa non è la poesia, ma non ho abbastanza tempo per spiegarlo, intanto posso dire che non è psicologia né filosofia, dato che ci sono quelli che già  vi si dedicano...

Maurizia Rossella