La Grande-Duchesse de Gérolstein
Al Teatro Verdi nei giorni 10, 12, 14 settembre 2004 è stata rappresentata in lingua originale e per la prima volta a Padova La Grande-Duchesse de Gérolstein, Opéra-Bouffe di Jacques Offenbach su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy; regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi. Cyril Diederich dirigerà l’Orchestra e il Coro del Teatro La Fenice; direttore del Coro è Piero Monti.
Gli interpreti principali saranno:
Elena Zilio, La Grande-Duchesse;
Patrizia Cigna, Wanda;
Massimiliano Tonsini, Fritz;
Thomas Morris, Il barone Puck;
Enrico Paro, Il principe Paul;
Olivier Grand, Il generale Boum;
Gabriele Viviani, Il barone Grog;
Franck Cassard, Nepomuc;
Elisabetta Martorana, Olga;
Sabrina Vianello, Iza;
Ornella Silvestri, Amélie;
Julie Mellor, Charlotte;
(Il direttore del Coro del Teatro La Fenice è Piero Monti).
Ai tempi in cui decise di por mano al soggetto de La Grande-duchesse de Gerolstein, portata sulla scene del «ThéÍ¢tre des variétés» il 12 aprile 1867, il genio comico di Jacques Offenbach aveva alle spalle la creazione d’una sessantina di operette. Nonostante egli potesse considerarsi, a buon diritto, il principe dell’Opéra bouffe parigino, sapeva bene di non potersi lasciar sfuggire le occasioni più propizie: quella che si avvicinava, l’Expo Universelle di Parigi, era fra le più ghiotte. Offenbach si dedicò alla Grande-Duchesse con fervore ed assidua dedizione, coinvolgendo nel progetto due librettisti di primissimo piano nel panorama operistico francese quali Henri Meilhac e Ludovic Halévy. Il progetto ruotava intorno alla figura di Hortense Schneider, stella dell’operetta francese, già protagonista de La belle Hélène, nel 1855, cui il ruolo della bella e capricciosa Granduchessa venne confezionato su misura. Il trionfo fu assoluto. L’aggancio della fantasia alla realtà era presente nei contenuti della Grande-Duchesse: come nel più tipico Opéra-bouffe parigino (ed offenbachiano), le corrosive allusioni alla realtà del tempo coesistevano accanto alla pura invenzione e ad una satira disimpegnata.
L’alleggerimento comico raggiunge momenti di puro intrattenimento, ad esempio nel ricorso a sorta di infantili calembours per definire gli altisonanti e verbosi titoli in tedesco maccheronico dei personaggi. Il vero e ben più impegnativo mordente consisteva tuttavia nella satira politica, contro la ridicolaggine dei pulviscolari staterelli germanici, facilmente colta dai contemporanei. Nemmeno i capricci amorosi della Granduchessa erano il frutto d’una innocua, bizzarra e spiritosa ma inoffensiva verve comica, dal momento che richiamavano alla mente di tutti le non dissimili tresche di Caterina II di Russia. Sul tutto dominava però uno scoperto intento satirico nei confronti della Francia contemporanea. Nella realtà storico-politica dell’epoca incombeva infatti il timore della guerra. L’allegra spensieratezza della vita politica parigina, che danzava inconsapevole sul ciglio del burrone, fu raffigurata, nella Grande-Duchesse, attraverso l’assunzione d’un’analoga, irresponsabile, prospettiva: la guerra vi figura come un inoffensivo gioco di società cui dedicarsi fra un amore e l’altro, non è nulla più d’un lieve fastidio, che il primo venuto può risolvere in quattro giorni, sostituendosi agli ancor peggiori professionisti del mestiere, i vanagloriosi ed incapaci militari di carriera.