Le Nozze di Antigone
Antigone parla e il suo sguardo si posa sul padre per ricondurlo ad una visione domestica dell'esistenza. Lo sguardo è pietoso e, nella casa di Antigone, Edipo è assolto, salvo e lontano dal proprio destino. E la prima parte di un progetto sulla vicenda di Edipo dove Antigone, Eteocle e Polinice racconteranno parlando con il padre. Attraverso il ricordo cercheranno di ricostruire la memoria, proveranno a rammemorare. Ma i tre figli hanno tre sguardi diversi e la storia del padre li ha coinvolti spingendoli verso tre diversi destini.
Le Nozze di Antigone
testo di Ascanio Celestini
regia di Veronica Cruciani e Arturo Cirillo
con Veronica Cruciani
scene di Massimo Bellando Randone
musiche di Francesco De Melis
La cosa che mi commuove di Antigone è il suo modo di guardare alle cose.
Antigone parla di ciò che conosce; dalle sue parole capiamo da dove viene, conosciamo il posto dove è nata, il suo passato.
Antigone è una bambina e al tempo stesso una vecchia, vittima del destino che la storia le ha riservato; nella solitudine racconta, rievoca le storie che ha da sempre sentito nella sua casa. Ha bisogno di raccontare e ricordare perché dentro quelle storie c'è la sua stessa identità . Ripete le parole di suo padre, di chi ormai non può più raccontare; sono parole che da sempre è abituata ad ascoltare perché parlare con il padre è la sua quotidianità .
La sua casa è il luogo dove passato e presente si confondono; dove conosce l'amore, e continua a mantenerlo in vita anche oltre la morte.
In Antigone ritroviamo l'immagine di un'umanità ferita, ma nel suo sguardo possiamo leggere "sempre un' unica domanda che è la domanda della vita stessa".
Veronica Cruciani
Due cose mi hanno spinto a lavorare alle "Nozze di Antigone": la bellezza del testo e la voglia irrefrenabile di Veronica di volerlo recitare. Ho in genere l'abitudine di scegliere io il testo su cui lavorare e successivamente coinvolgere degli attori su un progetto, in questo caso invece sono stato io il coinvolto. Ma penso che sia giusto così trattandosi di un monologo, cioè di un rapporto fortemente individuale tra delle parole ed un attore, o una attrice; penso spesso che quello che avviene davanti a me mentre Veronica prova sia un processo intimo al quale sono stato gentilmente invitato a partecipare, ma come osservatore e consigliere. Insomma sento che non sono io la materia attraverso la quale nascerà qualcosa, ma lei, unicamente lei: attraverso il suo respiro, il suo modo di muoversi, come guarda il mondo, l'emozioni che la abitano, le paure che la spaventano. L'incontro tra Veronica e le parole di Ascanio, parole ingannevolmente semplici, parole musicali, parole concrete ed evocative, questo incontro è per me già Antigone.
Poi ci siamo immaginati un luogo, un pezzo di casa, il ricordo di una casa, con poche cose e "scompagniate". Ci siamo immaginati una musica da una chiesa di campagna, come un canto di confraternita per le stazioni di una processione immaginaria. Delle luci che svelano e nascondono, che illuminano qualcuna che è lì a prescindere da noi. Ci siamo immaginati tante orecchie e tanti occhi che guardano, e ascoltano, le cose come noi ce le siamo immaginate, e che magari se ne immagineranno ancora delle altre.
Arturo Cirillo