Presenze. Il Centro d'Arte

Presenze. Il Centro d'Arte

"Presenze", la nuova rubrica di PadovaCultura, nasce per far conoscere le numerose, e diversissime tra loro, realtà  associative del territorio padovano: gruppi e associazioni culturali come luoghi di diffusione, e spesso anche di produzione, di cultura.

Questa settimana conosciamo il Centro d'Arte, con cui parliamo di musica jazz e del contesto musicale cittadino.

L'offerta musicale di Padova è ampia e di qualità , anche grazie ad associazioni che hanno una tradizione lunga e consolidata nel campo dell'organizzazione di concerti e di rassegne e che nello stesso tempo hanno saputo mantenere la loro vitalità  e la loro curiosità , nonostante i cambiamenti che sono intervenuti nella scena culturale, nei gusti del pubblico e anche nei finanziamenti sempre più scarsi. Questa settimana facciamo conoscenza con il Centro d'Arte degli Studenti dell'Università  di Padova e ne parliamo con Stefano Merighi, direttore artistico, insegnante e giornalista.

Il Centro d"€™Arte è nato nel 1945: sessant"€™anni fa. Cominciamo dall'€™inizio...

La storia del Centro d"€™Arte risale all'€™immediato dopoguerra. Ma se si vuole parlare dell'€™attività  che si è stabilizzata negli anni, si può dire che il Centro d"€™Arte è conosciuto in Italia e all'€™estero per la rassegna internazionale del jazz, che comincia all'€™inizio degli anni Settanta. Allora in Italia non era usuale organizzare una rassegna di musica contemporanea e di jazz che non si fermasse alla tradizione ma considerasse anche il free e le nuove esperienze, invitando artisti americani che venivano appositamente a Padova per suonare. La rassegna si è svolta al teatro Pio X dal 1973 al 1977, quando è esploso il pubblico che chiedeva proprio quel tipo di manifestazioni. Dal 1977 al 1979 c"€™è stato un periodo molto interessante ed anche difficilmente spiegabile in retrospettiva, in cui si organizzavano dei concerti di musica estrema, di avanguardia, e c"€™erano migliaia di persone paganti: i concerti si facevano nei palasport oppure nel mitico tendone che era stato fatto al Foro Boario. Direi che il picco dell'€™attività  si può inquadrare dal "€˜75 all'€™80. Poi le cose sono cambiate: gli anni Ottanta sono stati degli anni di grande trasformazione, anche nei gusti del pubblico giovanile che si stava formando. Il pubblico precedente aveva smesso di frequentare queste manifestazioni, mentre il nuovo pubblico giovanile aveva altri orizzonti. Il Centro si è fermato per un periodo. In seguito ci sono stati due tentativi di festival estivo, alla fine degli anni Ottanta, e l"€™attività  è cominciata di nuovo regolarmente dal 1992. La rassegna oggi è costituita da una decina o dozzina di concerti per stagione. Ci sono stati dei cambiamenti nella direzione artistica e nel consiglio direttivo, ma ora siamo in una fase di stabilità .

E riguardo alla scelta degli artisti?

C"€™è una cosa da ricordare: negli anni Sessanta, prima che si formasse il gruppo direttivo che si è stabilizzato negli anni successivi, il Centro d"€™Arte era diretto da un critico molto noto, Franco Fayenz, che ha portato a Padova dei nomi storici. In quegli anni hanno suonato Thelonious Monk, Lennie Tristano, il Modern Jazz Quartet, Earl Hines: insomma dei capostipiti. Poi, anche per statuto del Centro, si è deciso di favorire le musiche di sperimentazione e di improvvisazione, da una parte di estrazione jazzistica, dall'€™altra di estrazione difficilimente etichettabile: musica minimalista, post-dodecafonica... Già  allora la Sala dei Giganti, che oggi è diventata la sede fissa, era molto usata. Negli anni Novanta, quando è cambiata la direzione e abbiamo ricominciato un"€™attività  stabile, le scelte artistiche sono diventate più coerenti. Fino a che le finanze ce l"€™hanno permesso abbiamo ospitato in egual misura grandi nomi ed artisti emergenti. Adesso, non avendo soldi, ci siamo concentrati a promuovere gli artisti che ci piacciono, siano essi europei, americani o italiani, privilegiando una certa espressività  slegata dal giro dei concerti del jazz, che è diventato un vero e proprio mercato. Adesso il jazz è una moda, una griffe che si applica a un prodotto. Quindi il Centro d"€™Arte non sceglie gli artisti di moda, anche se non li disdegna affatto: però spesso precede gli altri. Per esempio, nomi che riempiono i teatri e che tutti conoscono sono adesso Enrico Rava, Stefano Bollani, Paolo Fresu. Noi li abbiamo fatti vent"€™anni fa, dieci anni fa, cinque anni fa. E adesso non corriamo più dietro a loro, anche perchè loro hanno costi che non ci possiamo più permettere.

Qual è il contesto musicale di Padova?

Mi pare che quello musicale sia a Padova l"€™unico settore di cui non ci si possa lamentare. La stagione di musica classica è di altissimo livello; e poi, oltre a noi, c"€™è l"€™Interensamble che organizza il festival di musica elettronica e minimale. L"€™associazione Miles che organizza il festival del Verdi e i giovedì al Pedrocchi. Poi i club che fanno uno o due concerti a sera... è quasi troppo!
Il contesto musicale di Padova si è molto diversificato negli ultimi dieci anni. Sono nati nuovi soggetti, molto attivi, dinamici e appassionati, che hanno deciso di scegliere il jazz come ambito di azione. Mi riferisco appunto all'€™associazione Miles e al Festival del Verdi, e alla Gershwin, che hanno allestito cose molto interessanti sia dal punto di vista didattico che dal punto di vista concertistico, riuscendo a farsi sponsorizzare in maniera notevole e facendo una scelta di jazz tradizionale, con nomi importanti. Noi abbiamo preso atto di questo, non ci deve essere nessuna concorrenza: anzi, in questo modo la città  ha un"€™offerta musicale sempre più vasta. Ma abbiamo deciso di togliere la griffe: noi non facciamo più jazz o musica contemporanea: facciamo musica. E"€™ importante sottolineare questo, perchè è una dichiarazione onesta ma nello stesso tempo è una scelta penalizzante: è necessario che il pubblico riconosca esattamente il prodotto che deve comprare - perchè di questo si tratta - e per ottenere questo è necessario curarlo, allevarlo. E"€™ un processo che richiede molto tempo.

Come risponde il pubblico alle vostre iniziative?

Il pubblico non va più a una rassegna perchè si fida delle scelte fatte da chi cura la rassegna, come avveniva un tempo. Il pubblico sceglie il nome e sa esattamente cosa va a vedere. Per questo motivo abbiamo delle sorprese incredibili: a volte un sacco di gente viene per musicisti che noi riteniamo sconosciuti, e non per altre cose, in cui magari investiamo più soldi. Il rapporto con il pubblico non si può più prevedere, come invece accadeva in passato. Abbiamo però tentato di recuperare gli studenti universitari, con una promozione più attenta e facendo prezzi incredibili (uno studente paga 6 euro). I risultati sono discreti, anche se lo studente universitario oggi preferisce sicuramente passare la serata in club, a chiacchierare, bere ed ascoltare musica. E"€™ difficile che si affezioni come una volta al concerto come momento di scoperta.

E riguardo agli aspetti organizzativi, quali sono le difficoltà  maggiori che trovate?

Dal punto di vista organizzativo riusciamo quasi sempre a fare quello che vogliamo fare, anche grazie a contatti personali - qui lavoriamo in tre o quattro persone, in modo volontario, tranne la segretaria. Ma non possiamo più permetterci quello che molti spettatori vorrebbero vedere, anche perchè gli artisti da qualche anno in qua hanno triplicato i loro compensi. Senza motivo, a mio parere, perchè in questo modo si precludono molte date che potrebbero fare in più. Le difficoltà  quindi sono soprattutto di ordine economico. Per esempio, abbiamo un progetto per l"€™estate che probabilmente non riusciremo a realizzare perchè non ci sono finanziatori. La Provincia si dichiara disponibile a supportarlo, ma solo in termini di organizzazione e di promozione, non con un finanziamento.

Parliamo della rassegna di quest"€™anno...

La rassegna di quest"€™anno è in continuità  con quella dello scorso anno: il primo appuntamento è stato con Frederic Rzewski, un pianista di musica classica e improvvisata. Poi c"€™è stata Annette Peacock, che non veniva in Italia da decenni. Un trio che lavora a Vienna, Trapist, suonerà  in esclusiva italiana. Seguirà  il jazz vero, riconoscibile, rappresentato da nomi che sono molto noti a New York, ma che non vanno sul mercato della musica: Matthew Shipp, Ben Allison, William Parker e Leo Smith. Infine David Krakauer e il suo Klezmer Madness. Dunque abbiamo puntato su artisti affermati ma non molto conosciuti, che in modo piuttosto equilibrato offrono una testimonianza della scena nera americana, della scena europea e - mi riferisco in particolare a Krakauer e al Klezmer - del rapporto tra la musica popolare e la musica improvvisata. Gli artisti che scegliamo sono quasi sempre stranieri. Infatti come ho detto prima l"€™altro soggetto organizzativo dà  già  molto spazio ad artisti italiani, e poi noi abbiamo i finanziamenti per fare un certo numero di concerti all'€™anno, che sono pochi. Se potessimo farne di più daremmo maggiore spazio anche alla musica italiana.
Da qualche anno collaboriamo anche a Impara l"€™arte, un progetto per gli studenti organizzato dall'€™Università , che ha affidato a noi, all'€™Orchestra da Camera del Veneto e agli Amici della Musica la direzione artistica. Ciascuna delle tre associazioni sceglie quattro appuntamenti all'€™anno. Abbiamo portato cose di alto livello: per esempio Stefano Benni con un pianista, sul tema jazz e letteratura, poi musicisti persiani; prossimamente verrà  anche David Krakauer - che è anche in rassegna - a parlare del Klezmer.

Laura Lazzarin