Rassegna di Musica Sacra

Maggio 2004

Continua la rassegna SACRE ARMONIE, che prevede un folto programma di concerti di musica classica nei quali i diversi interpreti, eseguendo brani che spaziano da W. A. Mozart a J. S. Bach, passando per i canti gregoriani, presentano le loro differenti concezioni del "sacro". I vari interpreti, tra i quali si segnala in particolare "La Petite Bande", sono tutti di altissimo livello e capaci di trasmettere le forti ed intense emozioni di una musica che segna il passaggio dal mondo terreno alla sfera del divino.

 

Martedì 11 maggio 2004, ore 21.00,
CHIESA DI SANTA MARIA DEI SERVI
"€œO Stella matutina"€ Laude di I. Dammonis
Laude libro primo, pubblicato a Venezia da Ottaviano Petrucci il 7 luglio 1508 e ristampato in edizione anastatica dalla Fondazione Ugo e Olga Levi quale omaggio al grande editore nel cinquecentesimo anniversario dalla stampa del suo "€œOdhecaton"€, è un volume - conservato in unico esemplare presso la Biblioteca Colombina di Siviglia - che contiene composizioni di Innocentius Dammonis. L"€™autore, nato probabilmente in territorio vicentino intorno al 1460, fu membro della Congregazione di San Salvatore, al cui superiore dedicò la sua raccolta di laude con lo scopo, secondo quanto si legge nell'€™introduzione, di consentire ai Canonici Salvatoriani l"€™esercizio di un"€™arte "€œsanta, virile e casta"€, che rappresentasse nel contempo sollievo agli animi affaticati e appropriato tributo a Dio, alla Vergine, ai Santi; tale intenzione è espressa da brani ispirati nei testi a una sincera devozione, nelle musiche a un linguaggio "€œben modulato"€. Le laude di Innocentius denotano uno stile semplice e asciutto, teso al raggiungimento di un fine espressivo immediato quale la piena comprensione del testo devozionale, resa possibile da una scrittura per lo più omoritmica. Come ricorda Giulio Cattin nella prefazione alla ristampa anastatica del codice, questi requisiti risultavano indispensabili per poter degnamente affiancare la pratica della polifonia a quella del cantus planus, mantenendo intatto lo spirito devozionale.
Per quanto riguarda i testi poetici delle laude presenti nella raccolta, si segnalano per suggestione e bellezza quelli appartenenti alla tradizione veneta, in particolare se riconducibili al laudario di Leonardo Giustinian : i testi di ben 23 composizioni di Laude libro primo risultano infatti stampati nell'editio princeps delle laude giustinianee.
Nell"€™interpretazione si sono volute ricreare, nei limiti del possibile, le condizioni musicali di allora, tenendo conto dell'ambiente in cui venivano eseguite le laude da parte di cantori appartenenti alle varie confraternite operanti presso le Scuole Grandi di Venezia: S. Giovanni Evangelista, S. Maria della Misericordia, S. Maria della Carità  , S. Marco e più tardi S. Rocco.
Gli strumenti avevano un ruolo non marginale: fino alla fine del Quattrocento la parte strumentale era affidata ad un organico ristretto composto da liuto, arpa e «viola», mentre all'inizio del Cinquecento vengono assunti anche degli strumenti a fiato e, quali strumenti ad arco più grandi, «violoni over lironi». Un quintetto di strumenti a fiato, ad esempio, viene impiegato nel 1502 dalla Scuola Grande di S. Marco per suonare alla vigilia e alla festa di S. Marco e di S. Agnese.
Per quanto riguarda l'impiego delle voci, si è scelta di volta in volta una soluzione diversa: i brani si prestano infatti ora a interpretazioni solistiche (dato il prevalere della linea melodica del canto), ora corali, dove invece predomina l'andamento omoritmico delle parti . In alcuni casi sono alternate nello stesso brano parti vocali solistiche e corali, in altri sono presenti quattro voci soliste a cappella, che valorizzano la scrittura dei brani più ornati e complessi, improntati a un linguaggio legato alla tradizione "€œcolta"€ di marca fiamminga che attesta le indubbie virtù di contrappuntista di Innocentius Dammonis.

Venerdì 14 maggio 2004, ore 21.00,
CHIESA DI SAN FRANCESCO
D. Scarlatti: Stabat Mater a dieci voci e b/c
La produzione sacra di Domenico Scarlatti rivela da una parte lo stretto legame con il padre, di cui questo compositore fu allievo, dall'€™altra manifesta già  quella libertà  espressiva, certamente nuova nella tradizione sacra cattolica, che caratterizzò la produzione vocale profana e strumentale.
Tra le composizioni di questo programma, il Magnificat rappresenta quella tradizione in cui anche Domenico non poteva non inserirsi. La rigida continuità  con cui lo stile palestriniano, adottato dalla chiesa cattolica, viene tramandato nella polifonia sacra dopo il concilio di Trento, giunge fino alla metà  del "€˜700 (si pensi alle varie Messe Clementine), costringendo i compositori entro canoni ben definiti (il famigerato "€œstile sodo"€ in cui Alessandro Scarlatti aveva pur prodotto composizioni di qualità ). Mentre, in questo ambito, la coerenza del contrappunto cede progressivamente il passo a formule più melodiche, piacevoli e galanti, Domenico si dimostra capace di scrivere all'€™antica in modo convincente, utilizzando quel linguaggio con una propria originalità .
Peraltro, è nello Stabat mater che si incontrano lo stile antico e la nuova cantabilità . Qui la condotta compositiva tradizionale si integra in un"€™originale dimensione con nuove idée melodiche ed espressive, molto vicine a quelle delle migliori composizioni per tastiera. La sequenza di Jacopone da Todi ebbe singolare fortuna agli inizi del settecento: si pensi allo Stabat mater di Alessandro Scarlatti e a quello di Pergolesi, circa con lo stesso organico, per non parlare di Antonio Maria Bononcini, Steffani, D'Astorga, Clari e Caldara. Tra questi quello di Domenico si distingue non solo per l'originalità  dell'organico (4 soprani, 2 contralti, 2 tenori e 2 bassi con il basso continuo per l'organo), ma ancor più per la forte intensità  espressiva che regge il confronto quasi solo con quello forse più noto di Pergolesi. La composizione risale probabilmente al periodo romano (1712-14?): l'abilissima conduzione contrappuntistica la collega con la severa formazione dello "stile antico", ma la cantabilità  delle linee e la loro individualità  spesso quasi solistica proiettano questa pagina in un ambito del tutto nuovo e moderno; certi punti denotano addirittura una vera concezione teatrale, fatta a volte di ripetizioni concitate, di pause improvvise, di alternanza tra soli e tutti, ancorché non dichiarati per tali. Difficile anche trovare una luminosità  come quella qui prodotta dalla presenza di quattro parti reali di soprano che spesso si scontrano tra loro determinando impressionanti dissonanze espressive, o che talora formano accordi a trame strette con le altre voci. La disseminazione delle copie oggi esistenti, di cui purtroppo nessuna autografa, dimostra che l'opera dovette godere anche nel suo tempo di una meritata fama e che, nonostante oggi associamo soprattutto il nome di Domenico Scarlatti alla sua produzione per strumento a tastiera, anche nel campo della musica sacra la reputazione di questo compositore dovette essere giustamente riconosciuta.