Un profilo di Renato in sparsi ricordi

Enrico Crispolti, uno dei più famosi studiosi d"€™arte contemporanei, ricorda l'artista Renato Petrucci, padovano d'adozione, in quest'intervento al tempo stesso lucido e affettuoso.





Nato nel 1933 a Roma, Enrico Crispolti è Professore Ordinario di Storia dell'Arte Contemporanea nella Facoltà  di Lettere e Filosofia dell'Università  di Siena, dove è direttore della Scuola di Specializzazione in Storia dell'Arte. Storico dell'arte del XIX e XX secolo, esperto del Futurismo e critico militante, ha organizzato numerosissime grandi rassegne e curato pubblicazioni su diversi autori.

Così ricorda Renato Petrucci, morto nel 1999, a cui la città  di Padova ha dedicato una mostra antologica:



Di Renato ho ricordi diversi, più vividi e intensi naturalmente quelli relativi agli anni romani, i suoi primi, di formazione ma anche di prima identità , dentro e appena fuori dell'€™Accademia di Belle Arti romana, dove era allievo di Fazzini, per la scultura, e mio evidentemente per la storia dell'€™arte. Ricordi, dico subito, né mi sarebbero altrimenti rimasti così vivi a quasi trent"€™anni di distanza, non tanto connessi ad una condizione scolastica, accademica (di buon oppure invece insubordinato allievo, insomma), ma già  di emergente livello creativo, se non almeno di opzione creativa. Della quale forse, per Renato, credo si possa parlare, complessivamente, soprattutto in quanto autenticità  di esperienze vissute nel tempo, aperte, molteplici, disparate, persino in certo modo fra di loro incongrue, perché mosse da un istinto, generoso ed entusiasta, d"€™attivismo comunicativo e partecipativo; insomma da una volontà  di fare, di agire, di esserci, di partecipare, di comunicare, proporre e coinvolgere, al di là  appunto del filo d"€™una coerenza linguistica o di intenzioni di contenuto. Dunque ricordi precisi, che richiamo senza difficoltà , e con documenti, benché riguardino dunque eventi i più remoti della sua avventura creativa e propositiva, ai quali ne posso aggiungere, ora sollecitato, altri sparsi, sfocati, perché in buona parte indiretti, veicolati da cataloghi, da testi, da telefonate, da rari e rapidi incontri, del tutto documentali insomma.



Nell"€™Accademia ho sempre cercato di promuovere iniziative che gli allievi andavano mettendo a fuoco autonomamente, soprattutto in alternativa all'€™insegnamento artistico ufficiale loro fornito. Così sono nate almeno un paio di mostre di opere di allievi elaborate appunto del tutto fuori dei corsi artistici accademici, e sostanzialmente del tutto in intenzione d"€™espressività  liberatoria alternativa rispetto a questi. Eppure fra i docenti di scultura allora a Roma, Fazzini mi sembra risultasse di fatto il più aperto, rispetto a, da una parte, Mastroianni, d"€™una gesticolante apparenza plastica modernistica dinamico materica, e altrimenti d"€™un Greco, educatamente formale nella propria figurazione sintetica, e, dall'€™altra parte, d"€™un Crocetti ormai strenuamente conservatore accademico, nel suo piatto figurativismo; non a caso dall'€™insegnamento di Fazzini è venuto fuori un Bruno Liberatore, di Penne come Renato.

Mostre che intitolai, appunto in implicita indicazione polemica d"€™alternativa, Condizioni di ricerca. E quella ove era presente Renato, la seconda, era Condizioni di ricerca 1973, nella Galleria Il Grifo (i locali di Via Ripetta dove da vent"€™anni ho il mio studio). Vi partecipava assieme a Giancarlo Cutilli (pure di Penne), a Roberta Filippi, e a Virgilio Magnolo (subito perso di vista), con i quali costituì un gruppo di ricerca fotografica e audiovisiva per un"€™analisi alternativa della comunicazione; esattamente proponendo una lettura dinamica, tipologica e topologica (per quartieri più significativi), delle scritte murali di quegli anni conflittuali, postsessantotto, a Roma.

Nell"€™ottica del rispetto da parte mia delle opzioni di ciascuno, è stato il tema della loro tesi (collettiva) di diploma d"€™Accademia, e per me l"€™episodio più stimolante di quei primi anni d"€™insegnamento. Ne è nato un piccolo libro, oggi prezioso perché rarissimo, pubblicato da Beniamino Carucci, di Cutili, Filippi e Petrucci, utilizzato come catalogo di mostre fotografiche organizzate, fra 1974 e "€™75, nel Centro di attività  visive di Ferrara, nella Sala Sant"€™Ignazio della Galleria Comunale d"€™Arte Moderna di Arezzo, nella Galleria Visual Center Art a Napoli, nella Facoltà  di Lettere e Filosofia dell'€™Università  di Salerno (dove nel frattempo ero andato ad insegnare), nella Galleria di Porta Ticinese a Milano, e nella Galleria Spazio-Arte a Roma; ricerca infine documentata nella sezione italiana della Biennale di Venezia del 1976, Ambiente come sociale, da me curata con Raffaele De Grada.

L"€™importanza di quella ricerca, che ha raccolto in occasione di tali mostre o in sede editoriale un novero invidiabile di recensioni, è stata sottolineata in più occasioni nel tempo, divenendo un punto di riferimento. E certo dimostrava ben altra acutezza di strategia d"€™analisi specifica (di dinamica della comunicazione, soprattutto politica, e di mobile quadro sociologico) che non per esempio quella, molto sommaria, e incerta fra specificità  politica di scritte murali, graffitismo e persino muralismo, proposta ora in un volumetto edito da "€œl"€™Unità "€ (Vietato vietare. Le scritte politiche sui muri dal ventennio al G8 di Genova, a cura di Simonetta Bosso).

Il 1973 fu certamente per Renato un anno cruciale d"€™emergenza e d"€™iniziale identità . Un mese dopo Condizioni di ricerca 1973, lavorava infatti con il suo gruppo ad una documentazione fotografica analitica delle attività  della settimana di preparazione di Volterra 73. Poco dopo mi è capitato di seguire Renato nell'€™impegno di operazioni urbane assieme a Fabio De Sanctis, da La deriva urbana a Controindicazioni, a Penne, implicanti performances di jazz, nello stesso anno della partecipazione documentaria alla Biennale veneziana. Ma con il trasferimento a Padova, all'€™inizio degli anni Ottanta, i nostri incontri si sono fatti più rari. Anche se sapevo che Renato vi sviluppava, coerentemente, un interesse per il rapporto con il territorio, fino alla pratica comunicativa alternativa del grande murale urbano in Corso Milano, "€œper segnalare la necessità  dell'€™oasi di verde nel centro storico"€.

A metà  degli anni Ottanta lo ho ritrovato scultore, che esponeva a Castel San Zeno, nel 1986, secondo la Baradel impegnato in un "€œfuturismo organico"€, di sensibilità  piuttosto materica, alla ricerca di costruire insiemi plastici, in terracotta colorata con smalti a freddo, di piuttosto incerta configurazione. Più che paesaggi, come li dichiaravano i titoli, quasi immaginate presenze architettoniche miniaturizzate, avresti detto di tradizione espressionista (anche perché colorate). E così lo ritrovai l"€™anno dopo in Alternative Attuali Abruzzo "€™87, nel Castello Spagnolo de L"€™Aquila. Del resto complessivamente il lotto di quelle terrecotte smaltate a freddo è notevole per varietà  di occasioni plastiche praticate (confrontabili con proposte in terracotta di Biagio Jadarola, che nasce da esperienze d"€™architettura povera, vicino a Riccardo Dalisi).

Tuttavia quell"€™organicismo mi sembra fosse allora tentato a fletterlo anche in senso alquanto figurativo (come in quanto espose in Il respiro della materia, con altri, a Castelnuovo di Rangone, nel 1986). Ma andava maturando uno sbocco del suo lavoro anche in pittura, nel ciclo che, esponendolo a Penne alla fine del 1992, ha intitolato Pneuma-partenze, caratterizzato da una figurazione che direi genericamente postmoderna per la sua disinvoltura d"€™accentuazione espressiva, perché episodica e per nulla strutturale, apprezzabile nella vivacità  dell'€™invenzione cromatica (acrilici) almeno dei dipinti figuralmente più complessi. Diversamente attratto fra dimensione del mito e suggestioni d"€™esistenza.

Del resto anche in scultura mi sembra che la pressione figurativa si fosse definita chiaramente nel suo lavoro, almeno a metà  dei Novanta, in particolare con un"€™opera fra le sue più solide e memorabili quale Il silenzio dell'€™uomo, del 1995, in marmo bianco, preceduto da altre steli quali La casa di Maria, del 1993, in marmo e bronzo, e la coeva La donna in mare, in marmo bianco di Carrara. Allora aveva tentato anche una eventualità  di inserimento urbano della scultura allestendo a Penne La via dei ricordi e La via dell'€™oblio. Certamente meno convincenti per me rimangono le figurine filamentose, grafiche, articolate nello spazio, che ha proposto in diverse occasioni nei secondi anni Novanta.

La questione fondamentale dell'€™immaginazione di Petrucci è stata forse proprio quella di coniugare una consistente necessità  d"€™identità  esistenziale al di là  d"€™un orizzonte d"€™immediatezza di vissuto, anzi di cercare di scavalcare la testimonianza di questo in uno scivolamento immaginativo mitico, seppure vissuto a livello del tutto psichico e non certo culturalistico.

La generosità  dell'€™uomo, giovane, cementava indissolubilmente azione e riflessione, fare arte e partecipare socialmente (a cominciare dal lavoro sviluppato nella Scuola e altrimenti dall'€™attività  nell'€™ARCI).

In fondo certamente di un dispersivo nel proprio lavoro strettamente plastico, il profilo complessivo della personalità  di Renato mi sembra vada considerato soprattutto alla luce appunto della generosità  partecipativa dell'€™uomo, del suo attivismo illimitato. Non tanto insomma in risultati plastici di per sé ma attraverso una sintomatologia di umori e voleri che univano il suo privato e il suo pubblico, stabilendo dunque una stretta connessione fra immaginazione propria e destino collettivo, e spazio d"€™attiva partecipazione e sollecitazione pubblica. Per questo ha finito per vivere la propria avventura creativa ed umana come un destino non d"€™affermazione personale ma appunto di partecipazione, di lavoro partecipabile, di lavoro partecipato, secondo la forza d"€™un intimamente entusiastico trascinamento.

Enrico Crispolti

Commenti

Ho appreso in ritardo - troppo ritardo - della Mostra di Renato. Renato era un mio carissimo amico. Anche lui come me er di Penne. CHIEDO: è possibile che la Mostra di Padova possa essere ri-costruita anche a Penne? Comunque grazie a quanti hanno pensato di ricordare il Grande Renato Petrucci.

Per avere informazioni sulla mostra può contattare Francesca Tedeschi all'indirizzo tedeschif@comune.padova.it Cordiali saluti la redazione