Di seguito una serie di articoli di presentazione dello spettacolo teatrale "Giulietta", di Federico Fellini, nell'adattamento di Vitaliano Trevisan, per lo spettacolo di Valter Malosti con Michela Cescon. Gli articoli sono di Rodolfo Di Gianmarco (La Repubblica), Osvaldo Guerrieri (La Stampa) e Renato Palazzi (Il Sole 24 Ore).
A Beckett e Fellini con un Clownesco Monologo
Acuto omaggio alla poetica felliniana di Giulietta degli spiriti e all'astrazione umanissima della Masina, l'odierno spettacolo di Valter Malosti Giulietta evoca d'intuito assonanze con la Winnie di Giorni felici di Beckett nel rifarsi al racconto-monologo di Fellini che fu il trattamento d'una sceneggiatura poi più macchinosa, e realizza un exploit di rara bellezza e captante senso facendo leva su un'ora e mezza di assolo d'una eccezionale Michela Cescon cui Vitaliano Trevisan, già con lei nel film di Garrone Primo amore, ha fornito un adattamento di incisivi ritmi. A proferire l'infantile, psicanalitica e poi cosciente partitura (qualche taglio, e poche parole in più, vedi il concetto "piacere a se stessi") d'una signora che rivede le sue idee dopo la scoperta del tradimento del marito, è una gioviale e un po' clownesca chiacchierona ancorata dall'inizio alla fine a un enorme gonna, sorta di chapiteau-monticello, posizione che fa scorgere di lei solo il busto con relativo corsetto in tono con la calotta. Nella scena di Baroni la attorniano, come spiriti, le metafisiche marionette di Busso, e le musiche di Nino Rota cui s'alternano i motivi originali di D'Aquila. Pensate entrambe negli anni '60, tutte e due borghesi, Giulietta e Winnie si fondono straordinariamente nell'arte delle acrobazie da fermi per quisquilie di gioventù, sedute medianiche, estasi sante e abbandoni profani culminanti in emancipazioni aeree. E la gonna si dilata a mongolfiera. E Michela Cescon è una lezione di luce e di voce nella terra desolata delle culture senza emozioni.
Rodolfo Di Giammarco, "La Repubblica", 29 marzo 2004
Giulietta è uno spirito buffo che ricorda i suoi "Giorni felici", la Cescon e le sue snodature da marionetta nell'applaudito spettacolo di Malosti
E bravo Malosti. Questo suo portare in scena "Giulietta (degli spiriti)" poteva essere una drittata, un modo di approfittare del decennale della morte di Giulietta Masina e della ininterrotta nostalgia per Federico Fellini, per insinuarsi "en voleur" nelle suggestioni di uno dei loro film più noti, più amati, più simbolici. Invece non è così. Lontano da ogni tentazione parassitaria, Malosti ha messo in scena questo frammento onirico e magico con lo stupore e la minuziosità indagatrice di chi, aperta una porta, si trovi dinanzi a un paesaggio sconosciuto. Lavorando sul trattamento di "Giulietta", ossia sullo scritto narrativo che precede la sceneggiatura del film, Malosti e il suo ottimo adattatore Vitaliano Trevisan hanno dato vita a un mondo originale che, se proprio ha dei debiti, li ha, chiarissimi e quasi gridati, nei confronti di Beckett e di Kleist: il Beckett di "Giorni felici" e il Kleist che affida alle marionette il compito di sublimare l'interiorità umana.
Direte: che c'entra Beckett con Fellini? A parte il comune amore per il circo, niente. Però considerare Giulietta come Winnie, interrata fino alla cintola ma libera di parlare e sproloquiare, è un'ipotesi più che plausibile. Indica una costrizione della fisicità a tutto vantaggio dell'iperattività mentale. E difatti Giulietta, più che vivere, ricorda, fantastica, sogna, immagina. E' un folletto quasi immateriale preoccupato del diavolo nascosto nello specchio, affascinato dalle ombre richiamate dalle sedute spiritiche, legato alla memoria del nonno seduttore e mangiapreti, intimorito dal padre fascistone, rapito dalle visioni mistiche delle sante sulla graticola, eccetera. Sennonché Giulietta è sposata. Il che implica, o implicherebbe un rapporto concreto con la realtà , specie se il marito ha una relazione con un'altra donna, molto più bella e sensuale del clown mite che aspetta a casa. Ma i due mondi sono inconciliabili. Giulietta lo capisce e apre il gas. Finalmente è libera. Libera di volarsene col nonno su una mongolfiera. Addio.
Questa creatura immaginosa e buffa, capace di crearsi un'infinità di vite complementari vissute con Casanova, con ammirate puttane, con mistiche inarrivabili, ha i tratti, i toni, le snodature marionettistiche di Michela Cescon, raramente così brava. Guardata da un coro immobile di marionette, l'attrice emerge col busto bendato da un cono che, con le sue trasparenze, sa trasformarsi in mappa della fantasia, della memoria, dell'inconscio. Ridotta nella parte visibile più a pupazzone clownesco che a donna, la Cescon "diventa" Giulietta, si consegna ai suoi spiriti come vivendo in un gioco infantile, col vocino tintinnante, con la rigidità burattinesca, proiettandosi nel fantastico assoluto dove neppure i dolori sembrano veri.
Osvaldo Guerrieri, "La Stampa", 29 marzo 2004
Fellini diventa Beckettiano
Dotatissima attrice di teatro trionfalmente "scoperta" dal cinema, Michela Cescon ribadisce il proprio prepotente istinto teatrale attraverso un omaggio trasversale alla memoria cinematografica, nel segno di Federico Fellini e soprattutto di Giulietta Masina, celebrata per quello che fin dal titolo resta probabilmente il suo exploit più personale: il testo, adattato per la scena da Vitaliano Trevisan - che con la Cescon ha recitato in Primo amore - si rifÍ al racconto di Fellini da cui nacque il "trattamento" di Giulietta degli spiriti, e che l'autore stesso scrisse in chiave di monologo. Sfrondata dell'esuberante immaginario felliniano, di cui il film fu un'espressione tra le più sfrenate - la prima, giova ricordarlo, che il regista concepì a colori - la trama di Giulietta si riduce al delirio autobiografico di una donna un po' oppressa dalla figura autoritaria paterna, maniaca di sedute spiritiche e assiduamente visitata da una folla di fantasmi personali: quando la scoperta del tradimento del marito le risveglia antichi sensi di colpa e ataviche visioni del peccato, saranno proprio queste ossessive apparizioni a guidarla in un allucinato viaggio interiore, al termine del quale troverà una sua forma di liberazione. Per Valter Malosti la scelta di affrontare una simile proposta dev'essere stata tutt'uno con l'intuizione dell'immagine portante che ne diventa l'elemento decisivo: l'allestimento parte infatti da un'idea drammaturgia - Giulietta quale parente stretta di Winnie di "Giorni felici" - che si traduce di per sé in ingegnosa invenzione scenografica, la creazione di un estroso personaggio-costume, un'esile presenza femminile che spunta da un'enorme gonna, insieme montagnola beckettiana e chapiteau di un circo rovesciato, ma pronta anche trasformarsi nella mongolfiera su cui lei sogna infine di librarsi al di sopra dei propri turbamenti. Con questo raffinatissimo apparato metaforico la Cescon si misura, si confronta, si batte: sposta l'ampia propaggine di tela verso l'alto o verso il basso, la illumina suggestivamente dall'interno, muove alcune delle belle marionette che incarnano gli invisibili spiriti con cui dialoga. Ma quella lieve figuretta dal rigido corsetto e dalla bianca calottina neutra - un po' clown e un po bambina - lavora soprattutto su una ferrea partitura interpretativa, scandita dalle musiche di Nino Rota e dai motivi originali di Giovanni D'Aquila, lesta a moltiplicarsi in tante voci diverse, passando da stupori infantili a sinistri sussurri spettrali.
Renato Palazzi, "Il Sole 24 Ore", 28 marzo 2004