Il Grigio di Giorgio Gaber

Il Grigio di Giorgio Gaber

Il Grigio è uno degli spettacoli più applauditi di Giorgio Gaber, oltre che un testo straordinario, parte ormai della storia del nostro teatro. E anche senza la presenza di una sola canzone, lo stesso Gaber lo considerava il suo spettacolo più musicale.

Il Grigio
di Giorgio Gaber e Sandro Luporini
regia Serena Sinigaglia
scene Giorgio Gaber e Daniele Spisa, musiche Carlo Cialdo Capelli
luci Claudio de Pace
con Fausto Russo Alesi
e con dario Grandini (pianoforte) e Stefano Bardella(percussioni)

Nato nel 1988 dal sodalizio artistico con Sandro Luporini, Il Grigio è la storia di un uomo che decide di ritirarsi da tutto, dalla melmosa contemporaneità  dove non esistono più i nemici (e dunque nemmeno gli amici) per vivere in totale distacco dal mondo. Ben presto però il protagonista si accorge di non essere solo: un topo, il Grigio del titolo, lo spia. Falliti i tentativi di catturare l'intruso con metodi tradizionali, egli comincia un lungo duello con l'invisibile nemico. E in questa battaglia si trova a dover riflettere su tutte le sue scelte affettive e morali.
In un crescendo in cui si alternano una folle "tensione agonistica", sarcastica lucidità , momenti di abbandono e di irresistibile comicità , il protagonista supera il suo egocentrismo iniziale per raggiungere i toni di pietas laica su cui si conclude la storia de Il Grigio: "bisognerebbe essere capaci di trovare la consapevolezza e l'amore che dovrebbe avere un Dio che guarda".

La scelta di un giovane attore, Fausto Russo Alesi, vincitore del Premio della Critica Teatrale e del Premio Ubu 2002, e di una regista, altrettanto giovane, Serena Sinigaglia, risponde alla volontà  di confrontarsi con una sensibilità  nuova nel mettere in scena questo testo, che non è un ricordo, ma vive oltre il suo compianto autore.
Accanto a Fausto Russo Alesi, gli stessi musicisti che accompagnarono Gaber: Carlo Cialdo Capelli e Corrado Dado Sezzi. Le scene sono di Giorgio Gaber e Daniele Spisa.

Il Cielo degli Altri

Il Cielo degli Altri

Hassan scappa dall'Iraq, Kirom dall'Albania. Draid viene dal Libano, Ahmed dall'Algeria, mentre Ido è disperso in Bosnia. Alma cerca il marito, Amina parte insieme a Kirom. Nur, la promessa sposa, e Nazrim, la figlia piccola, restano a casa. Qualcuno scappa dalla guerra, qualcuno dalle persecuzioni, altri hanno sogni di ricchezza o fuggono dalla miseria. Si troveranno in un gommone, ricorderanno un viaggio che non finiranno mai, parleranno di un destino che altri vivranno al posto loro. Fuga, miraggio, sfruttamento, commiato, viaggio, nostalgia, attesa, delusione, prostituzione, lavoro, sogni, ritorno, naufragio, amicizie, incubi e speranze.

Una produzione Armunia, Castiglioncello
Compagnia Setaccio Teatro
"Il Cielo degli Altri"
testo e regia di César Brie
Attori: Isadora Angelini, Andrea Bettaglio, Serena Cazzola, Deborah Ferrari, Raffaella Tiziana Giancipoli, Alessandro Lucignano, Robert Mc Neer, Guillaume Moreau, Donato Nubile, Luca Serrani
Luci: Francesco Pace
Costumi: Giancarlo Gentilucci
Testo: César Brie, con frammenti del gruppo e di Nazim Hikmet
Regia: César Brie
Assistente alla regia: Viviano Vannucci
Assistenti ai costumi: Gabriella Nobile, Tea Primiterra, Pamela Rossi, Pamela Tuzi, Daniela Vespa

Questo progetto ha due radici. La prima è il lavoro pedagogico che mi viene spesso offerto e che per anni ho evitato. Non amo insegnare senza farmi carico delle conseguenze di questi insegnamenti. La condizione di chi oggi cerca di fare teatro fuori dai canoni del mercato e delle religioni, mi sembra quanto meno precaria. In questo "progresso" non c'è spazio nè per una manodopera in eccesso, nè per disagi culturali.
CosÍ­ ho deciso di prendere alcuni allievi e di portarli più lontano. Creare con loro un'opera. Ho posto delle domande - perché fuggiamo, verso dove, alla ricerca di cosa - abbiamo interrogato lo spazio scenico, cercando metafore, allegorie.
L'altra radice è l'indignazione. L'Italia, paese di emigranti, rifiuta gli immigrati. Si fa sugli altri lo stesso che si è subito in anni non tanto lontani. La povertà  si esportava, la ricchezza ce la teniamo stretta.
Avevo paura, nell'iniziare questo lavoro, di produrre una nuova esclusione: fare di un assente il soggetto dello spettacolo. Non volevo parlare soltanto della condizione dell'emigrante nè delle ragioni dell'emigrazione, ma cercare di scoprire la persona, rannicchiata, impaurita, accovacciata, dietro la definizione di emigrante.
Ho scritto delle storie, di tradimenti, lontananze, amori perduti, storie di uomini e donne le cui vite si dissolvono. Di qualcuno ne capiamo il destino, di altri svaniscono le tracce. Anche quello che dice di avercela fatta, che sfrutta i compagni di sventura e fa l'elogio dell'egoismo, abbandona sul bagnasciuga gli indumenti e gli oggetti che avrebbero sancito il suo successo.
CosÍ­ è nato "Il Cielo degli Altri".
L'emigrazione verso l'Europa di oggi assomiglia troppo, in forme appena differenti, all'esodo degli italiani verso l'America nel tardo ottocento e verso il nord Europa nella seconda metà  del novecento.
Nel cielo degli altri non riconosci le stelle che vedevi da bambino, quando avevi curiosità  e tempo per guardarle. Il cielo degli altri è il cielo della nostalgia, della solitudine, della perdita e dell'assenza.
Credo, malgrado tutto, che gli italiani abbiano memoria, che ci siano ancora persone generose, accoglienti, sensibili e solidali, che non sono ancora stanche della povertà  degli altri.
César Brie

Ottavia Piccolo

Ottavia Piccolo

Esordio, a dieci anni, nel 1960-61, in teatro, nel ruolo della bambina cieca, sorda e muta di "Anna dei miracoli" con Anna Proclemer, regia di Luigi Squarzina. Subito dopo, il cinema: è Caterina, una delle figlie del principe di Salina (B. Lancaster) ne "il Gattopardo" di Luchino Visconti.

Nel 1963 è protagonista di "Le visioni di Simone Marchand" di B. Brecht, regia di B. Menegatti. Nel 1964/65 incontra Giorgio Strehler, che la dirige ne "Le baruffe chiozzotte" di C. Goldoni; nel biennio successivo è diretta da L. Visconti ne "Il giardino dei ciliegi" di A. Cechov e da Ettore Giannini ne "Il mercante di Venezia " di W. Shakespeare.
Seguono (1966-67) "La Calandra" di B. Bibbiena, regia di Giorgio De Lullo, "Egmont" di W. Goethe, regia di L. Visconti, e (1968-69) " Ivanov " di Cechov, regia di Luca Ronconi (anche la versione televisiva del 1972).
Ritorna a Strehler e al Piccolo di Milano (1972-73) nel doppio ruolo de il fool e Cordelia ne "Re Lear "di W. Shakespeare. Di nuovo con Squarzina, è (1976-77) in "Misura per misura" di Shakespeare per il Teatro di Roma.
Nasce il sodalizio artistico e d'impresa con Gabriele Lavia, che la dirige ne "Il vero amico " di Goldoni, "Amleto" di Shakespeare, "Anfitrione" di Kleist e "Il Gabbiano".
Nel 1981, alla Piccola Scala di Milano, Peter Ustinov (anche autore) la dirige in "Prova per il matrimonio di Gogol" nell'ambito del Festival Musorskij. Poi è protagonista de "L'avventuriero e la cantante" di Hugo von Hofmannsthal, regia di Giancarlo Cobelli, di "Elettra" di Hugo von Hofmannsthal, regia di Sandro Sequi; è in "Mirra" di Vittorio Alfieri, regia di L. Ronconi, ne "il Berretto a Sonagli" di Luigi Pirandello, regia Massimo Castri, ne "La sorpresa dell'amore" di Marivaux, regia di Sequi.
Propone in varie stagioni, "Dialoghi con nessuno", una sua scelta di testi di Dorothy Parker, Natalia Ginzburg e B. Brecht, regia di Silvano Piccardi; con la regia di Jeròme Savary interpreta "La dodicesima notte" di Shakespeare. Nel 1993 è protagonista di "Pazza" di Tom Topor, regia Giancarlo Sepe. Sempre nel '93-'94, e anche la stagione successiva, entra nella Compagnia del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia , dove è protagonista di "Intrigo e amore" di Fredrich Schiller e di "Medea" di Franz Grillparzer, entrambi diretti da Nanni Garella.
La stagione 1997-98 l'ha vista ancora una volta al Piccolo Teatro di Milano, dove, per la regia di L. Puggelli, ha interpretato Frosina ne "L'avaro" di Moliere con Paolo Villaggio, riscuotendo un eccezionale successo di pubblico.
Nelle stagioni 1998/2000 Rosanero di Roberto Cavosi per la regia di P. Maccarinelli.
Quindi, stagione 2000-2001, "Il libertino" di Erich-Emmanuel Schmitt, con Gioele Dix, sotto la direzione di Sergio Fantoni. Dal 2001 è in tournée con "Buenos Aires non finisce mai" di Vito Biolchini ed Elio Turno Arthemalle, un "One-woman-drama" sui desaparecidos argentini, regia di Silvano Piccardi.

Detto dell'esordio con Visconti, le successive tappe cinematografiche di Ottavia Piccolo sono " Serafino" di Pietro Germi, "Metello" e "Bubu" di Montparnasse" entrambi diretti da Mauro Bolognini (per "Metello" la Piccolo vince il premio per l'interpretazione femminile al Festival di Cannes del 1970). Poi ancora, "L'evaso" di Pierre Granire-Deferre con Alain Delon e Simone Signoret, "L'anguilla da trecento milioni" di Salvatore Saperi, "Zorro" di Duccio Tessari ancora con A. Delon, "Mado" di Claude Sautet con Michel Piccoli. Nel 1987 è nel cast de "La famiglia" di Ettore Scola (Nastro d'argento). Interpreta poi "Da grande" di Franco Amurri con Renato Pozzetto, "Sposi" di Pupi Avati, "Nel giardino delle rose" di Luciano Martino, "Condominio" di Felice Farina, "Barocco" di Claudio Sestieri, "Angeli del sud" di Massimo Scaglione e "Bidoni" di Felice Farina.

Per la televisione, oltre alle numerose commedie, Ottavia Piccolo ha interpretato diversi sceneggiati e tv-movie. Il primo, "Il mulino del po" di Baccelli, regia di Sandro Bolchi, poi "Vita di Leonardo" di Renato Castellani, "La certosa di Parma" di Mauro Bolognini, "La biondina" di Andrea e Antonio Frazzi, "Girotondo" di Enzo Muzii, "Mino-il piccolo alpino" di Gianfranco Albano, "La coscienza di Zeno" di Sandro Bolchi, "Chiara e gli altri" di Francesco Lazotti, "Il prezzo della vita" di Stefano Reali, "Donna" di Gianfranco Giugni e, per il ciclo "Palcoscenico" di Raidue, il drammatico "Rosanero" di Roberto Cavosi, regia di Antonio Calenda.

Terra di Latte e Miele

Terra di Latte e Miele

Terra di Latte e Miele non è un pamphlet, non vuole essere un manifesto politico per l'una o l'altra parte: è la storia del dramma quotidiano vissuto dalla gente comune che subisce le conseguenze di decisioni prese in base alla 'ragion di stato' di cui non capisce il senso. Perchè seminano morte e sangue nei due campi, falciando palestinesi e israeliani che avevano creduto di poter vivere fianco a fianco in armonia, in amicizia.

Terra di Latte e Miele
di Manuela Dviri
con la collaborazione di Silvano Piccardi
regìa di Silvano Piccardi
scene di Marco Capuana
musiche di Luigi Cinque

Personaggi:
Leah, Ottavia Piccolo
Il figlio di Leah, Enzo Curcuru'


Messo in scena da Silvano Piccardi, Terra di Latte e Miele è uno spaccato del mondo contemporaneo attraverso l'ostinata volontà  di vivere una vita normale di una donna coraggiosa, ebrea argentino-italiana, che non esita a contestare le idee del marito ortodosso con tutta la sua energia.
L'azione si svolge nel salotto di una casa borghese di Tel Aviv, nel giorno dello "shabbat ha gadol", il sabato che precede il digiuno del Kippur. Lea è sola, parla al telefono con le amiche, palestinesi, cristiane, si dà  da fare con lo stato maggiore israeliano per sbloccare un carico di latte in polvere per i neonati palestinesi fermo ad un check-point...si sente quasi colpevole, nei confronti delle amiche che dovrebbero essere le sue nemiche, secondo la suddetta "ragion di stato".
In un crescendo di tensione, passa sul piccolo palcoscenico dello Studio tutta la realtà  di una guerra senza fine, il ricordo del figlio morto da eroe (l'attore Enzo Curcurù, che cerca di convincerla di aver fatto la scelta giusta), del padre che sognava un altro Israele, della paura di accendere la televisione che ad ogni momento può annunciare nuovi morti.
Ottavia Piccolo offre un'ora e venti di emozioni forti, di raccoglimento quasi religioso sul dramma che si consuma in medioriente e che racconta con forza, con fervore, fedele a se stessa e al suo impegno di sempre a favore delle grandi cause.
Ha le lacrime agli occhi, quando finisce il suo disperato monologo, e il pubblico applaude in silenzio, fragorosamente, incapace di parlare ma con gli occhi lucidi anche per un grande senso di impotenza.

Le Nozze di Antigone

Le Nozze di Antigone

Le Nozze di Antigone

Antigone parla e il suo sguardo si posa sul padre per ricondurlo ad una visione domestica dell'esistenza. Lo sguardo è pietoso e, nella casa di Antigone, Edipo è assolto, salvo e lontano dal proprio destino. E la prima parte di un progetto sulla vicenda di Edipo dove Antigone, Eteocle e Polinice racconteranno parlando con il padre. Attraverso il ricordo cercheranno di ricostruire la memoria, proveranno a rammemorare. Ma i tre figli hanno tre sguardi diversi e la storia del padre li ha coinvolti spingendoli verso tre diversi destini.



Le Nozze di Antigone
testo di Ascanio Celestini
regia di Veronica Cruciani e Arturo Cirillo
con Veronica Cruciani
scene di Massimo Bellando Randone
musiche di Francesco De Melis

La cosa che mi commuove di Antigone è il suo modo di guardare alle cose.
Antigone parla di ciò che conosce; dalle sue parole capiamo da dove viene, conosciamo il posto dove è nata, il suo passato.
Antigone è una bambina e al tempo stesso una vecchia, vittima del destino che la storia le ha riservato; nella solitudine racconta, rievoca le storie che ha da sempre sentito nella sua casa. Ha bisogno di raccontare e ricordare perché dentro quelle storie c'è la sua stessa identità . Ripete le parole di suo padre, di chi ormai non può più raccontare; sono parole che da sempre è abituata ad ascoltare perché parlare con il padre è la sua quotidianità .
La sua casa è il luogo dove passato e presente si confondono; dove conosce l'amore, e continua a mantenerlo in vita anche oltre la morte.
In Antigone ritroviamo l'immagine di un'umanità  ferita, ma nel suo sguardo possiamo leggere "sempre un' unica domanda che è la domanda della vita stessa".
Veronica Cruciani

Due cose mi hanno spinto a lavorare alle "Nozze di Antigone": la bellezza del testo e la voglia irrefrenabile di Veronica di volerlo recitare. Ho in genere l'abitudine di scegliere io il testo su cui lavorare e successivamente coinvolgere degli attori su un progetto, in questo caso invece sono stato io il coinvolto. Ma penso che sia giusto così trattandosi di un monologo, cioè di un rapporto fortemente individuale tra delle parole ed un attore, o una attrice; penso spesso che quello che avviene davanti a me mentre Veronica prova sia un processo intimo al quale sono stato gentilmente invitato a partecipare, ma come osservatore e consigliere. Insomma sento che non sono io la materia attraverso la quale nascerà  qualcosa, ma lei, unicamente lei: attraverso il suo respiro, il suo modo di muoversi, come guarda il mondo, l'emozioni che la abitano, le paure che la spaventano. L'incontro tra Veronica e le parole di Ascanio, parole ingannevolmente semplici, parole musicali, parole concrete ed evocative, questo incontro è per me già  Antigone.
Poi ci siamo immaginati un luogo, un pezzo di casa, il ricordo di una casa, con poche cose e "scompagniate". Ci siamo immaginati una musica da una chiesa di campagna, come un canto di confraternita per le stazioni di una processione immaginaria. Delle luci che svelano e nascondono, che illuminano qualcuna che è lì a prescindere da noi. Ci siamo immaginati tante orecchie e tanti occhi che guardano, e ascoltano, le cose come noi ce le siamo immaginate, e che magari se ne immagineranno ancora delle altre.
Arturo Cirillo

Matcho Winterstein Trio

Matcho Winterstein Trio

Il chitarrista francese Matcho Winterstein guida l'omonimo trio, accompagnato alla chitarra ritmica da Francesco Federici ed al contrabbasso da Mirco Capecchi; i tre musicisti propongono un repertorio di musica gispy jazz e swing manouche, cioè originaria dei nomadi Manouches, discendenti del ceppo zingaro più antico.





Matcho Winterstein è un chitarrista manouche proveniente dalla Lorena, più precisamente da Nancy (Francia). Nasce in una famiglia di musicisti nomadi, l"€™aria che respira fin dalla nascita è costantemente intrisa di suoni e ritmi manouche.
La musica di Matcho è caratterizzata da precisione, potenza e delicatezza del fraseggio dove ogni nota ha un senso: il personaggio ha uno spessore musicale formidabile e un'autenticità  veramente unica ed inimitabile.
Ha appena 28 anni ma può già  vantare una grandissima esperienza avendo collaborato attivamente con i più famosi musicisti di questo stile: Moreno, Angelo Debarre, Dorado Schmitt, Bireli Lagrene, Tchavolo Schmitt ecc. Oltre alla lunga serie di Festival a cui ha partecipato (Festival D"€™Angers, Nancy jazz Pulsation, Festival internazionale tsigane di Strasburgo, Festival Swing Axirdcourt, Festival Django Logie, Festival Aye Aye, ecc.) per due anni consecutivi ha effettuato tournée in Canada con Angelo Debarre.
Ad accompagnarlo in questa serata due giovani musicisti pisani: Francesco Federici che alla chitarra ritmica garantirà  la pulsazione caratteristica del jazz manouche e Mirco Capecchi al contrabbasso. La loro collaborazione con Matcho ha avuto inizio nel 2003 dando subito riscontri positivi sia di critica che di pubblico: insieme hanno registrato un CD uscito da poco.

Matcho Winterstein - chitarra solista
Francesco Federici - chitarra ritmica
Mirco Capecchi - contrabbasso

Michele Polga Quartet

Michele Polga Quartet

Nel proggeto "Movin' House" Michele Polga mostra il suo talento e la sua musicalità  grazie alla grande proprietà  di fraseggio e alla consistenza dei suoi soli. Il sassofonista vicentino si distingue fra i giovani talenti del Jazz italiano proprio per essere totalmente calato nella migliore tradizione interpretativa del jazz moderno, per l'alto livello del suo solismo e per la bontà  delle sue composizioni che lo pongono nella ristretta schiera di coloro che hanno studiato e maturato in profondità  il linguaggio e che iniziano a dispiegare il loro consistente talento e maturare una loro personalità  musicale d'alto livello.

E' il primo progetto musicale di Michele Polga come leader e per l'occasione il sassofonista ha scelto con cura la sezione ritmica. I tre musicisti che la compongono hanno assimilato profondamente il linguaggio del Jazz della tradizione, ma hanno sviluppato un modo tutto personale di esternarlo nella loro estetica musicale. La particolare raffinatezza del pianismo di Marcello Tonolo lega perfettamente con il "drive" propulsivo di Marc Abrams e di Walter Paoli. Il sound di questa sezione ritmica è la giusta espressione della musica che Michele Polga ha in mente. Il repertorio del quartetto, che si può definire "modern mainstream" è composto da brani originali ed arrangiamenti di standard jazz.


Michele Polga - sassofoni
Marcello Tonolo - pianoforte
Marc Abrams - contrabbasso
Walter Paoli - batteria

Tara Bouman

Tara Bouman

Tara Bouman ha studiato clarinetto ad Amsterdam con Piet Honingh e Suzanne Stephens.
Il suo repertorio è particolarmente dedicato alla musica contemporanea e di improvvisazione: suona con ASKO Ensemble, Ensemble Musikfabrik, Trio European Wind e come solista con la London Sinfonietta ed è interprete di musiche di Karlheinz Stockhausen (Harlekin, Tierkreis, Mission e Himmelfahrt), Pierre Boulez (Dialogue de l'ombre double), Isabel Mundry, György Kurtag, Roderik de Man, Hans Koolmees, Georges Aperghis.

Con Markus Stockhausen forma il Duo Moving Sounds.Con il percussionista Stefan Froleyks ha composto la musica per "Rats live on no evil star", un brano per la poetessa Anne Sexton.
La sua attività  concertistica, l"€™ha portata in molti Paesi europei, in Messico e negli Stati Uniti
Tara Bouman vive e lavora in Germania.
Nell"€™ autunno 2003 ha inciso il suo primo CD di musica contemporanea Contemporary (edito da Kölner Label Aktivraum in collaborazione con Deutschland Radio Il suo secondo CD Thinking About è inciso in duo con Markus Stockhausen.

Stefano Scodanibbio

Stefano Scodanibbio

Stefano Scodanibbio, contrabbassista e compositore.
Il suo nome è legato alla rinascita del contrabbasso, negli anni '80 e '90 ha infatti suonato nei maggiori festival di musica contemporanea numerosi pezzi scritti appositamente per lui da compositori quali Bussotti, Donatoni, Estrada, Ferneyhough, Frith, Globokar, Sciarrino, Xenakis.
Nel 1987, a Roma, ha tenuto una maratona di 4 ore non-stop suonando 28 brani per contrabbasso solo di 25 autori.



Ha collaborato a lungo con Luigi Nono ("arco mobile Í  la Stefano Scodanibbio" è scritto nella partitura del Prometeo) e Giacinto Scelsi.
John Cage, in una delle sue ultime interviste, ha detto di lui :
"Stefano Scodanibbio is amazing, I haven't heard better double bass playing than Scodanibbio's. I was just amazed. And I think everyone who heard him was amazed. He is really extraordinary. His performance was absolutely magic".
Suona regolarmente in duo con Rohan de Saram e Markus Stockhausen.
Nel 1996 è stato insegnante di contrabbasso ai Darmstadt Ferienkurse.
Attivo come compositore ha scritto più di 40 lavori principalmente per strumenti ad arco (Sei Studi per contrabbasso solo, Six Duos per tutte le combinazioni dei quattro archi, Concerto per contrabbasso, archi e percussioni, 3 Quartetti, ecc.) e per tre volte le sue composizioni sono state selezionate dalla SIMC, Società  Internazionale di Musica Contemporanea (Oslo 1990, Città  del Messico 1993, Hong Kong 2002).
Ha registrato per Montaigne Auvidis, col legno, New Albion, Dischi di Angelica, Ricordi.
Di particolare rilievo le sue collaborazioni con Terry Riley e con Edoardo Sanguineti.
Nel 1983 ha fondato e da allora dirige la Rassegna di Nuova Musica di Macerata

Articoli riguardanti lo spettacolo teatrale "Giulietta"

Articoli riguardanti lo spettacolo teatrale "Giulietta"

Di seguito una serie di articoli di presentazione dello spettacolo teatrale "Giulietta", di Federico Fellini, nell'adattamento di Vitaliano Trevisan, per lo spettacolo di Valter Malosti con Michela Cescon. Gli articoli sono di Rodolfo Di Gianmarco (La Repubblica), Osvaldo Guerrieri (La Stampa) e Renato Palazzi (Il Sole 24 Ore).

A Beckett e Fellini con un Clownesco Monologo

Acuto omaggio alla poetica felliniana di Giulietta degli spiriti e all'astrazione umanissima della Masina, l'odierno spettacolo di Valter Malosti Giulietta evoca d'intuito assonanze con la Winnie di Giorni felici di Beckett nel rifarsi al racconto-monologo di Fellini che fu il trattamento d'una sceneggiatura poi più macchinosa, e realizza un exploit di rara bellezza e captante senso facendo leva su un'ora e mezza di assolo d'una eccezionale Michela Cescon cui Vitaliano Trevisan, già  con lei nel film di Garrone Primo amore, ha fornito un adattamento di incisivi ritmi. A proferire l'infantile, psicanalitica e poi cosciente partitura (qualche taglio, e poche parole in più, vedi il concetto "piacere a se stessi") d'una signora che rivede le sue idee dopo la scoperta del tradimento del marito, è una gioviale e un po' clownesca chiacchierona ancorata dall'inizio alla fine a un enorme gonna, sorta di chapiteau-monticello, posizione che fa scorgere di lei solo il busto con relativo corsetto in tono con la calotta. Nella scena di Baroni la attorniano, come spiriti, le metafisiche marionette di Busso, e le musiche di Nino Rota cui s'alternano i motivi originali di D'Aquila. Pensate entrambe negli anni '60, tutte e due borghesi, Giulietta e Winnie si fondono straordinariamente nell'arte delle acrobazie da fermi per quisquilie di gioventù, sedute medianiche, estasi sante e abbandoni profani culminanti in emancipazioni aeree. E la gonna si dilata a mongolfiera. E Michela Cescon è una lezione di luce e di voce nella terra desolata delle culture senza emozioni.
Rodolfo Di Giammarco, "La Repubblica", 29 marzo 2004


Giulietta è uno spirito buffo che ricorda i suoi "Giorni felici", la Cescon e le sue snodature da marionetta nell'applaudito spettacolo di Malosti

E bravo Malosti. Questo suo portare in scena "Giulietta (degli spiriti)" poteva essere una drittata, un modo di approfittare del decennale della morte di Giulietta Masina e della ininterrotta nostalgia per Federico Fellini, per insinuarsi "en voleur" nelle suggestioni di uno dei loro film più noti, più amati, più simbolici. Invece non è così. Lontano da ogni tentazione parassitaria, Malosti ha messo in scena questo frammento onirico e magico con lo stupore e la minuziosità  indagatrice di chi, aperta una porta, si trovi dinanzi a un paesaggio sconosciuto. Lavorando sul trattamento di "Giulietta", ossia sullo scritto narrativo che precede la sceneggiatura del film, Malosti e il suo ottimo adattatore Vitaliano Trevisan hanno dato vita a un mondo originale che, se proprio ha dei debiti, li ha, chiarissimi e quasi gridati, nei confronti di Beckett e di Kleist: il Beckett di "Giorni felici" e il Kleist che affida alle marionette il compito di sublimare l'interiorità  umana.
Direte: che c'entra Beckett con Fellini? A parte il comune amore per il circo, niente. Però considerare Giulietta come Winnie, interrata fino alla cintola ma libera di parlare e sproloquiare, è un'ipotesi più che plausibile. Indica una costrizione della fisicità  a tutto vantaggio dell'iperattività  mentale. E difatti Giulietta, più che vivere, ricorda, fantastica, sogna, immagina. E' un folletto quasi immateriale preoccupato del diavolo nascosto nello specchio, affascinato dalle ombre richiamate dalle sedute spiritiche, legato alla memoria del nonno seduttore e mangiapreti, intimorito dal padre fascistone, rapito dalle visioni mistiche delle sante sulla graticola, eccetera. Sennonché Giulietta è sposata. Il che implica, o implicherebbe un rapporto concreto con la realtà , specie se il marito ha una relazione con un'altra donna, molto più bella e sensuale del clown mite che aspetta a casa. Ma i due mondi sono inconciliabili. Giulietta lo capisce e apre il gas. Finalmente è libera. Libera di volarsene col nonno su una mongolfiera. Addio.
Questa creatura immaginosa e buffa, capace di crearsi un'infinità  di vite complementari vissute con Casanova, con ammirate puttane, con mistiche inarrivabili, ha i tratti, i toni, le snodature marionettistiche di Michela Cescon, raramente così brava. Guardata da un coro immobile di marionette, l'attrice emerge col busto bendato da un cono che, con le sue trasparenze, sa trasformarsi in mappa della fantasia, della memoria, dell'inconscio. Ridotta nella parte visibile più a pupazzone clownesco che a donna, la Cescon "diventa" Giulietta, si consegna ai suoi spiriti come vivendo in un gioco infantile, col vocino tintinnante, con la rigidità  burattinesca, proiettandosi nel fantastico assoluto dove neppure i dolori sembrano veri.
Osvaldo Guerrieri, "La Stampa", 29 marzo 2004


Fellini diventa Beckettiano
Dotatissima attrice di teatro trionfalmente "scoperta" dal cinema, Michela Cescon ribadisce il proprio prepotente istinto teatrale attraverso un omaggio trasversale alla memoria cinematografica, nel segno di Federico Fellini e soprattutto di Giulietta Masina, celebrata per quello che fin dal titolo resta probabilmente il suo exploit più personale: il testo, adattato per la scena da Vitaliano Trevisan - che con la Cescon ha recitato in Primo amore - si rifÍ  al racconto di Fellini da cui nacque il "trattamento" di Giulietta degli spiriti, e che l'autore stesso scrisse in chiave di monologo. Sfrondata dell'esuberante immaginario felliniano, di cui il film fu un'espressione tra le più sfrenate - la prima, giova ricordarlo, che il regista concepì a colori - la trama di Giulietta si riduce al delirio autobiografico di una donna un po' oppressa dalla figura autoritaria paterna, maniaca di sedute spiritiche e assiduamente visitata da una folla di fantasmi personali: quando la scoperta del tradimento del marito le risveglia antichi sensi di colpa e ataviche visioni del peccato, saranno proprio queste ossessive apparizioni a guidarla in un allucinato viaggio interiore, al termine del quale troverà  una sua forma di liberazione. Per Valter Malosti la scelta di affrontare una simile proposta dev'essere stata tutt'uno con l'intuizione dell'immagine portante che ne diventa l'elemento decisivo: l'allestimento parte infatti da un'idea drammaturgia - Giulietta quale parente stretta di Winnie di "Giorni felici" - che si traduce di per sé in ingegnosa invenzione scenografica, la creazione di un estroso personaggio-costume, un'esile presenza femminile che spunta da un'enorme gonna, insieme montagnola beckettiana e chapiteau di un circo rovesciato, ma pronta anche trasformarsi nella mongolfiera su cui lei sogna infine di librarsi al di sopra dei propri turbamenti. Con questo raffinatissimo apparato metaforico la Cescon si misura, si confronta, si batte: sposta l'ampia propaggine di tela verso l'alto o verso il basso, la illumina suggestivamente dall'interno, muove alcune delle belle marionette che incarnano gli invisibili spiriti con cui dialoga. Ma quella lieve figuretta dal rigido corsetto e dalla bianca calottina neutra - un po' clown e un po bambina - lavora soprattutto su una ferrea partitura interpretativa, scandita dalle musiche di Nino Rota e dai motivi originali di Giovanni D'Aquila, lesta a moltiplicarsi in tante voci diverse, passando da stupori infantili a sinistri sussurri spettrali.
Renato Palazzi, "Il Sole 24 Ore", 28 marzo 2004

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