Coro Cameristico "Quodlibet"

Coro Cameristico "Quodlibet"

Il Coro Cameristico "Quolibet" è una compagine di recente formazione i cui componenti provengono da una pluriennale esperienza come coristi. Insieme al Complesso Strumentale, il coro è parte integrante dell'Associazione Culturale "Quodlibet".

Il nome "Quodlibet" è un termine latino il cui significato è "ciò che piace". In musica, si riferisce ad una composizione a carattere scherzoso, consistente nella contrapposizione di melodie (sacre e profane) diverse sia per il tono del testo sia per la musica. Nel secolo XV-XVII, in cui ebbe al massima fioritura, il Quodlibet veniva scritto in forma polifonica; le diverse melodie, eseguite simultaneamente davano luogo ad una mescolanza di effetto comico.
Attualmente l'organico è di circa 50 elementi; il repertorio, già  basato su brani di polifonia antica e moderna, è stato ampliato con l'inserimento di brani di musica vocale-strumentale, con autori quali Mozart, Vivaldi, Rossini nonché corali tratti dal repertorio operistico. Il coro può esibirsi sia autonomamente (a cappella) sia interagendo con il menzionato Complesso Strumentale "Quodlibet", formato esclusivamente da professori d'orchestra professionisti, facente parte anch'esso dell'Associazione Culturale "Quodlibet".

Emanuele Pedrini
Nato a Livorno nel 1972, è avviato -fin da bambino- allo studio della musica. Tre direttive complementari caratterizzano la sua formazione giovanile: il canto lirico, la direzione di coro e la musicologia. Si laurea al DAMS di Bologna e si diploma al Conservatorio "Arrigo Boito" di Parma in canto lirico, in musica corale e direzione di coro nonché in strumentazione per banda. Si diploma anche in composizione al conservatorio "Benedetto Marcello" di venezia, città  dove vive e lavora come artista del coro del Teatro La Fenice.
Dal 2000, dirige cori polifonici ed attualmente è impegnato con l'Associazione "Quodlibet" di Mogliano Veneto (TV). Contemporaneamente, si dedica alla direzione d'orchestra ed alla concertazione, prendendo parte ad importanti manifestazioni e coadiuvando il lavoro di prestigiosi direttori, tra i quali D. Renzettì, A. Cingal e G. Proietti. In qualità  di baritono solista, ha collaborato con diverse istituzioni lirico-sinfoniche italiane e straniere. Dal 1992 al 1996, è stato direttore del Coro Lirico Lombardo, con il quale ha contribuito alla messa in scena di importanti e numerose produzioni operistiche e sinfoniche. Per due anni, è stato Direttore del coro dell'Arena Sferisterio di Macerata e in questa veste ha diretto Falstaff, carmen, Tosca, Le Nozze di figaro, la Messa da Requiem di Verdi, risquotendo sempre consensi sia sulla stampa locale che nazionale. Con lo stesso coro, nel 1998, ha contribuito alla ripresa della messa in scena della Turandot del 1996, allestita da Hugo De Hana e vincitrice del premio Abbiati. Nel ruolo di direttore del coro, ha curato per la Biennale di Venezia la preparazione di prime esecuzioni mondiali assolute, come Camera Obscura di Marco di Bari, messa in scena nel 2001. collaboratore e amico di direttori di coro d'opera quali Giovanni Andreoli direttore del coro del Teatro Carlo Felice di Genova, marco Faelli direttore del coro dell'Arena di Verona, è da questi stimato per serietà , impegno professionale e doti artistiche.

Ermanno Signorelli

Ermanno Signorelli

Nel trio del chitarrista napoletano (ma padovano di adozione) Ermanno Maria Signorelli suonano Marco Micheli al contrabbasso e Sergio Cossu (ex tastierista dei Matia Bazar) all'elettronica. Il trio ha presentato il nuovo CD, "Aqua".

Uno dei temi profondi dell'immaginario creativo di Ermanno Maria Signorelli è quello dell'acqua, l'acqua che non muore mai, che vive in eterno, reincarnata nella pioggia, nei fiumi e nel mare, archetipo sonoro in grado di spalancare l'orecchio della fantasia su spazi dell'anima ai quali soltanto raramente riusciamo ad accedere. Il grande e inarrivabile Gaston Bachelard sosteneva con tutte le sue forze che l'acqua è la dominatrice del linguaggio fluido, senza urto, continuo, prolungato, puro, che porta rinnovamento e cambiamento. L'acqua che dolcemente scorre e che nulla trattiene, che passa e porta via tutto ciò che è superfluo: non l'acqua stagnante in cui Narciso si contemplava, e nemmeno l'acqua che diventa solitudine, immobilità , silenzio.

Ermanno Maria Signorelli è nato a Napoli il 2 giugno 1960. Ha condotto i suoi studi al ConservatorioBenedetto Marcello di Venezia, diplomandosi in chitarra classica e proseguendo successivamente nello studio della composizione. Fin da giovanissimo ha un'intensa attività  concertistica, sia come solista, sia in duetti, trii, orchestra. Vincitore di diversi premi nazionali e internazionali (Gian Battista Ansaldi 1976, Mondovì 1978, Euro Musical Recanati 1980), si perfeziona poi in chitarra jazz sotto la guida di Tomaso Lama, Ralph Towner e Mick Goodrick.
Suona nell'orchestra di Giancarlo Schiaffini (Atina jazz festival 1987), dove presenta e dirige un brano di propria composizione, nell'orchestra di Bruno Tommaso (Clusone jazz), nella European Music Orchestra con la quale registra un CD per la Soul Note con Kenny Wheeler, Aldo Romano, Claudio Fasoli. Collabora con musicisti come Enrico Rava, Paolo Fresu, Bosko Petrovic, Luis Agudo, Roberto Gatto, Furio Di Castri, Marco Tamburini, Marco Micheli, e partecipa a festival in Italia e all'estero (Svezia, Germania, Austria, Francia, Spagna, Croazia, Slovenia) e a trasmissioni radiofoniche e televisive (Rai). Dai primi anni ’90 si dedica interamente alla composizione e porta avanti un progetto musicale, frutto di ricerca formale e sonora, con atmosfere asciutte volte ad esprimere colori di natura prettamente europea e mediterranea, conservando un carattere tipicamente jazz. Incide a proprio nome nel 1997 Ad occhi chiusi con Roberto Gatto, Furio Di Castri, Marco Tamburini e Roberto Martinelli; nel 2000 Attesa con Stefano Dall'Ora, Lele Barbieri e Roberto Martinelli e nel 2003 Aqua con Furio Di Castri e Sergio Cossu.

35° Ciclo Organistico

35° Ciclo Organistico

35° Ciclo Organistico

Giunge quest'anno alla trentacinquesima edizione il tradizionale ciclo di concerti del Centro Organistico Padovano, che si mantiene ad altissimi livelli anche grazie alla partecipazione di figure di spicco del panorama concertistico non solo padovano ma anche internazionale. Lo scenario di questa rassegna di concerti sarà  il Santuario della Madonna Pellegrina, così da rendere ancora più coinvolgente l'amosfera di magia creata dalle trascinanti note d'organo.
Nei concerti del 13, 21 e 28 maggio vengono eseguite musiche di Wolfango Dalla Vecchia, grande musicista, in occasione del 10° anniversario della morte.

Tutte le esibizioni sono ad INGRESSO LIBERO.

Venerdì 07 maggio, ore 21.00
Organo: Lorenzo Marin
Musiche: D. Buxtehude - J. S. Bach - M. E. Bossi - C. M. Widor "€“ A. Heiller

Lorenzo Marin, nato nel 1979 a Cologna Veneta (VR), seguito dal M° Mauro Giavarina, ha iniziato giovanissimo lo studio del pianoforte dimostrando particolare talento nell'apprendimento della teoria e nello studio dello strumento. Ha superato brillantemente l'esame di ammissione al conservatorio F.E. Dall'Abaco di Verona dove nel 2002, sotto la guida del M° Fausto Fiorin, si è diplomato in organo e composizione organistica. Nel marzo del 2001 ha partecipato al corso di perfezionamento sulla pratica del repertorio bachiano sull'organo tedesco tenuto dal M° Klemens Schnorr a Monaco di Baviera. Presso il conservatorio superiore di Ginevra frequenta il secondo corso di organo e improvvisazione organistica con il M° Alessio Corti. ͈ organista titolare e direttore di coro.

Giovedì 13 maggio, ore 21.00
Presentazione del CD "€œMusica Celeste...temi d"€™autore a Maria"€
Voci: soprani Katia Pellegrino, Silvia Calzavara, Maricla Rossi e Cristina Baggio
Tromba: Fabiano Maniero
Organo: Silvio Celeghin
Musiche: G. Puccini "€“ G. Caccini "€“ J. G. Rheinberger "€“ W. Dalla Vecchia "€“ C. Gounod "€“ F. Peeters "€“ A. Vivaldi "€“ F. Schubert "€“ G. Verdi "€“ C. Franck "€“ A. Piazzolla "€“ M. Frisina

Silvio Celeghin ha studiato presso i conservatori di Padova e Castelfranco Veneto (TV), diplomandosi con il massimo dei voti in pianoforte (1985), organo (1990), clavicembalo (1997), sotto la guida di M. Caprara, R. Buja e L. Levi Minzi. Si è dedicato poi al perfezionamento del repertorio pianistico con V. Pavarana e organistico con F. Finotti e J. Guillou. E' stato premiato in vari concorsi internazionali e nazionali (Albenga, Noale, Monferrato...), ottenendo il terzo premio assuluto all'Internazionaler Orgelwettbewerh "J. J. Froberger" di Kaltern (Bz) nel 1995. Svolge un'intensa attività  concertistica in veste di solista e in duo con il trombettista Fabiano Mantero, suonando costantemente con formazioni cameristich sia stumentali che vocali e con importanti orchestre nazionali. dal 1999 collabora regolarmente come organista solista e continuista con "I Solisti Veneti" diClaudio Scimone e con l'Orchestra del Teatro "La Fenice" di Venezia.

Venerdì 21 maggio, ore 21.00
Coro: Schola S. Rocco
Direttore: Francesco Erle
Organo: Silvio Celeghin
Musiche: Giovanbattista Pergolesi "€“ Frank Martin "€“ W. Dalla Vecchia

Nel 1993 giovani musicisti ed amici entusiasti fondano la "Schola di San Rocco", organismo di studio, gioia e passione per l'educazione alla musica. La formazione che ne è scaturita ha raccolto un successo sempre crescente in tutta italia e all'estero, presso importanti associazioni ed istituzioni musicali, con un repertorio ampio e impegnativo. In questi anni numerose e importanti le collaborazioni con direttori d'orchestra (Muss, Spierer, Andretta...), solisti (Brunello, Nakajama...), compositori che hanno dedicato alla formazione loro lavori (Morricone, bonato, Priori, Valtinoni...). Lo scorso lugio hanno anche cantato per Arvo Part, che si è congratulato con loro con commozione. Nel settembre '97 riprendono dopo 400 anni i "Chori" per Edipo Tiranno di Andrea Gabrieli, la musica che ha innagurato il Teatro Olimpico di Vicenza, con produzione firmata da G. De Bosio, incisi per l'Accademia Olimpica.

Francesco Erle, si è diplomato in pianoforte con E. Mabilia e G. Gorini, in musica corale , in composizione cum laude con W. dalla Vecchia e B. Coltro. Premi nazionali e internazionali per duo pianistico e per composizioni, opere eseguite in Italia (vari passaggi su Radio 3) e all'estero (tra cui al Carnegie Hall di New York e Londra). Ha compiuto studi in direzione con N. Muus e N. del Mar. All'attivo conta direzionisia di coro e che di orchestra , soprattutto con Schola San Rocco, premi nazionali e internazionali, incisioni. Docente titolare di Esercitazioni Corali al Conservatorio di Bolzano per concorso dal '94.

Venerdì 28 maggio, ore 21.00
Orchestra di Padova e del Veneto
Violino Principale e Solista: Pietro Toso
Violino: Ivan Malaspina
Organo: Enrico Zanovello
Musiche: Sammartini "€“ Vivaldi "€“ W. Dalla Vecchia "€“ J. Estrada

L' >Orchestra di Padova e del Veneto, nata nel 1966, è patrimonio della vita musicale del Veneto, ma vanta anche un credito che va ben oltre il terrirorio di appartenenza. Famosa in tutto il mondo, l'Orchestra è ospite nelle più prestigiose sedi concertistiche in Italia e all'Estero In oltre trent'anni di attività  artistica, si è largamente affermata come una delle principali orchestre europee, confermando in pieno il valore del suo organico. Trasparenza del timbro degli archi, sicurezza dei fiati, calibratura interna sono le sue qualità  emergenti, unite a una dedizione e una concentrazione sul lavoro musicale che si devono anche all'indubbio carisma del mÍ  Pietro Toso, primo violino d'eccellenza sin dalla sua fondazione. Peter Maag, il grande interprete mozartiano, è stato il direttore principale dal 1983 al 2001. Alla direzione artistica si sono avvicendati Claudio Scimone, Bruno Giuranna, Guido Turchi, e come programmatore artistico Filippo Juvarra dal 1994. Nella stagione 2002/2003 Mario brunello è stato direttore musicale dell'Istituzione. La vita artistica dell'Orchestra annovera inoltre collaborazioni con i nomi più insigni del concertismo internazionale. L'Orchestra realizza circa 150 concerti all'anno, con una propria stagione a Padova, concerti in tutta Italia nelle maggiori società  di concerto e festivals, oltre che regolari tournées in tutto il mondo.

Piero Toso, primo violino/solista dell'Orchestra di Padova e del Veneto dalla fondazione, ha studiato al Conservatorio di Milano con Luigi Ferro, uno dei maestri della scuola violinistica italiana ed interprete straordinario di Vivaldi con i "Virtuosi di Roma" di Renato Fasano. Già  in questo rapporto con il Maestro è tutto il destino della carriera della carriera artistica di Pietro toso, che ha legato la fama delle sue interpretazioni proprio alla musica barocca veneta, come solista e con i "Solisti Veneti" di Claudio Scimone di cui è stato primo violino/solista dal 1962 al 1982, partecipando a tutti i grandi successi internazionali dell'attività  concertistica
di quel complesso e alla sua attività  discografica.



Informazioni
Centro Organistico Padovano
Tel. ++39 049 685716

I Solisti Veneti

I Solisti Veneti

I Solisti Veneti

I Solisti Veneti diretti da Claudio Scimone, ritenuti dal pubblico e dalla critica una delle orchestre più attive e prestigiose in campo mondiale, si sono affermati come complesso di rilievo internazionale non solo per l'attività  in ambito concertistico e discografico, ma anche per la grande varietà  delle iniziative culturali e artistiche.

Fondati da Claudio Scimone nel 1959 a Padova, "I Solisti Veneti" hanno tenuto oltre migliaia di concerti in più di cinquanta Paesi dall'Europa agli Stati Uniti al Giappone, l'Australia, la Russia, l'America Latina, per non citarne che alcuni. Partecipano regolarmente ai più importanti festival mondiali, fra cui il Festival di Salisburgo a cui sono stati invitati ininterrottamente dal 1965 (unico gruppo straniero con tale assiduità  di presenza). Sono stati insigniti dei più importanti riconoscimenti mondiali sia nel campo del concerto che nel campo del disco, quali il Gran Prix du Disque dell'Académie Charles Cros di Parigi (4 volte), il Grammy di Los Angeles, il Gran Prix de l'Académie du Disque Lyrique, la Elisabeth Memorial Medal di Londra, il Premio Caecilia della critica belga, il Premio della critica discografica italiana e numerosi altri. Hanno ricevuto dalla Repubblica Italiana la medaglia d'oro dei benemeriti della scuola, dell'arte e della cultura e il Presidente della Repubblica ha presenziato alle celebrazioni del loro 25 anniversario.
Hanno registrato oltre 300 dischi LP e CD per Case multinazionali quali Erato - WEA , BMG-RCA, Phillips, Frequenz. Fra questi si segnalano le "integrali" di tutta l'opera stampata in vita di Antonio Vivaldi, tutti i Concerti di Albinoni nonché importanti cicli dedicati a Tartini, Geminiani, Mercadante, Galuppi, Boccherini, ecc. Particolarmente importante il ciclo dedicato a Rossini che vede, oltre all'integrale delle Sonate per archi, la prima registrazione integrale di opere quali Zelmira, Armida, Ermione e importanti registrazioni dell'Italiana in Algeri e dello "Stabat Mater" (tutte queste registrazioni rossiniane sono state insignite di premi). Registrano normalmente per le più importanti reti televisive italiane e straniere, per cui contano almeno cinque importanti lungometraggi televisivi, cinque film, tra cui "Le Sette Ultime Parole di Cristo" su musica di F. J. Haydn, girato nella cappella degli Scrovegni di Giotto, con la regia di Ermanno Olmi, "Vivaldi: une ville un artiste" di Eric Lippmann (Rai Uno, RF3), "Vivaldi, pittore della musica" di Franͧois Reichenbach, "Vivaldi" (RF1), il ciclo "Estro Armonico" di Vivaldi e "Corelli nella Roma dei Papi", in collaborazione con Unitel.
Da molti anni "I Solisti Veneti" organizzano, in collaborazione con tutte le più importanti Istituzioni ed enti pubblici del Veneto il "Veneto Festival" al fine di diffondere i valori artistici e culturali della civiltà  e della musica veneta. Con "I Solisti Veneti" collaborano i più grandi interpreti internazionali: Salvatore Accardo, Ruggero Raimondi, Katia Ricciarelli, Placido Domingo, Uto Ughi, Jean Pierre Rampal, Cecilia Gasdia, Nikita Magaloff, Marilyn Horne, Kenneth Gilbert, James Galway, Lucia Valentini Terrani, Mstislav Rostropovic, Svjatoslav Richter, Paul Badura-Skoda, Chris Merritt e Cori famosi quali gli Ambrosian Singers, il Coro Filarmonico di Praga, il Coro della Radio di Stoccolma e molti altri. Il loro repertorio spazia dalla musica strumentale del '700 ai grandi capolavori sinfonico - corali di tutti i tempi, quali la "Missa Solemnis" di Beethoven, il requiem e la Messa in do minore di Mozart, lo "Stabat Mater" di Rossini e così via. Numerosi compositori hanno dedicato musiche a "I Solisti Veneti" dando origine ad una nuova letteratura per 11, 12 o 13 archi solisti: fra di essi Sylvano Bussotti, Franco Donatoni, Riccardo Malipiero, Marius Constant, Christobal Halffter, Luis De Pablo. Il Governo Italiano e la Presidenza del Veneto hanno spesso presentato "I Solisti Veneti" come artisti di prestigio in occasione di relazioni con capi di governo e sovrani, quali Michail Gorbaciov, il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, il Re del Belgio, il Re di Svezia, i Capitani Reggenti di San Marino, le riunioni di Primi Ministri del G7, ecc.

Rosanna Carteri

Rosanna Carteri

Rosanna Carteri

Nata a Verona il 14 dicembre del 1930, Rosanna Carteri, fin dall'infanzia ha dimostrato notevoli predisposizioni per la musica, ancor prima che per il canto. Dopo i consueti studi di pianoforte, scoprì ben presto il dono di una voce agile, estesa e musicalissima. Frequentò le lezioni di F. Cuͺsinati e, dopo una serie di concerti (tenuti ancora in minore età  ma con Pertile, Reali, Rossi-Lemeni ecc.) ebbe il suo battesimo ufficiale come soprano nel 1949, quale Elsa nel Lohengrin alle Terme di Caraͺcalla, a Roma, accanto al tenore Renzo Pigni ed al basso Giulio Neri.

Fu un vero "lancio in orbita": nel giro di pochissimi anni la troviamo nei più importanti teatri italiani e mondiali, con personaggi di primo piano quali Alice (Falstaff), Micaela (Carmen), ancora Elsa, Suor Angeͺlica, Liù (Turandot) e Margherita (Faust).
Nel febbraio 1951 debutta alla Scala con la Buona figliola di Piccinni e viene così definita dai critici: "Infine la protagonista Rosanna Carteͺri, vent'anni, e una voce melodiosa, insinuante, adatta come poche al genere larmoyant. ͈ un candore, 'un giocato' che si affida tutto alla fantasia e non al solito mestiere. Vent'anni. Molto bene. Pensi ora la Scala a darle altri non furtivi appuntamenti".
Nel marzo dello stesso anno debutta pure al San Carlo di Napoli con il personaggio di Margherita del Faust: "Dolce ed educatissima Margherita, Rosanna Carteri, una cantante che sa far fluire il suo canto con limpida grazia e toccante sentimento. Facile l'emissione e, opportunamente levigata, musicale il modo di porgere e ben distinto il fraseggio che è apparso in una sempre conveniente misura ed imͺmune da melodrammatiche olografie".
Nel febbraio 1953 interpreta il ruolo di Matilde a Palermo: "La fiͺgura di Matilde è stata impersonata con quella squisita e rara sensibiͺlità  già  altre volte da noi rivelata dalla bella e giovane Rosanna Carteri. Per le capacità  interpretative e ancor più per le eccellenti qualità  vocali che si riassumono in una pastosa dolcezza, limpidezza del timbro, omogeneità  ed intonazione infallibile, la Carteri può giustaͺmente essere considerata una fra le più complete cantanti d'oggi".
E tale infatti fu per diversi anni, allargando il repertorio e dando prova di continuo studio e di ponderato approfondimento. Aggiunse così i personaggi di Manon, Giulietta, Susanna, Luͧieta, Adina, Suzel, Zerlina, Norina, Linda, Vivì, Madga, Ifigenia, Bianca e, finalmente, Desdemona e Violetta.
"Rosanna Carteri è stata una Desdemona ideale per appropriatezͺza di accenti; di un candore innocente durante i primi due atti, di una angosciosa drammaticità  nel terzo, di una rassegnata dolente tristezͺza nel quarto, ove ha messo in luce una purezza di canto che solo Reͺnata Tebaldi aveva raggiunto in questi ultimi anni. Il suo "Salce" con quella divina appendice dell'Ave Maria resterà  a lungo scolpito nel nostro ricordo".
"Questa giovane cantante può essere considerata la migliore Vioͺletta del momento ed una delle più grandi della storia del Teatro liriͺco. Gli accenti sofferti ed accorati espressi con toni smorzati di rara maestria, gli improvvisi slanci di gioia e di disperazione, tutte le sfumature psicologiche del personaggio sono state rese dalla Carteri con una vibrante carica di umiltà . Sempre elegante e signorile nel comͺportamento, ha evitato accuratamente la ricerca dei facili
effetti conͺquistandosi fin dalle prime battute il difficile pubblico del Regio".
"La sua Violetta è essenzialmente drammatica. La plasticità  e l'intensità  di resa dell'espressione prevalgono sulla esteriore finitezza del canto, ma nel senso che da una declamazione incisiva e stupenͺdamente modellata (ottimamente impostata stilisticamente e linguisticamente) il canto sorge a poco a poco; allargandosi con ampia espansione lirica".
Tutto quindi andava a gonfie vele; non mancavano le edizioni diͺscografiche, comprendenti fra l'altro una Bohème con Tagliavini, una Traviata con Valletti e Warren, il Guglielmo Tell con Taddei e Filippeͺschi, l'Elisir d'amore con Alva, il Gloria di Poulenc, ecc., i Concerti Martini & Rossi, gli spettacoli televisivi (Traviata con Filacuridi e Taͺgliabue; Manon di Massenet; Otello di Verdi con Del Monaco). Ed invece, dopo alcune recite di Otello a Parma nel gennaio 1966 ("una Desdemona di lusso, un soprano di raffinata vocalità  e di squiͺsita misura: Rosanna Carteri che ha espresso con dolcissimo canto e con preziosità  di fraseggio tutto il dolore ed il patetismo dell'infelice eroina shakesperiana portata dal genio di Verdi al vertice della suͺblimazione musicale. Artista di raro talento e di meravigliosa sostanͺza, la Carteri ha spiegato la sua purissima voce con grazia impagabiͺle, smorzando gli acuti in filature ammirevoli e dando prova ancora una volta di possedere una tecnica ineccepibile"), il ritiro, annunͺciato come provvisorio ma che durerà  fino al 1971, anno in cui non ci sarà  la ripresa d'una attività  regolare, ma solo qualche sprazzo di luce: un concerto a Parma, due esecuzioni dello Stabat Mater di Rossini (a Padova e a Milano), una esecuzione della Petite messe solemnelle a Pisa, una recita di Traviata a Rovigo, ma poi, d'importante da segnaͺlare, nient'altro. L'aspettarono inutilmente a Parma per il suo reinͺgresso ufficiale nel grande "giro" operistico, con la sua Violetta: forse un improvviso malore, o timore o una non perfetta condizione vocale la fecero desistere dall'affrontare la
grande prova: ritornò in punta di piedi nella sua villa, silenziosamente come aveva cercato di riemergeͺre dopo cinque lunghi anni di attesa.
Da allora ci resta il rimpianto di quella voce purissima.

Elisir d'Amore

Elisir d'Amore

L'Elisir d'amore è un melodramma giocoso in due Atti, musicato da Gaetano Donizetti nella primavera del 1832, su libretto di Felice Romani, tratto da "Le philtre" (Parigi, 1831) di Eugène Scribe. L'Elisir d'amore venne rappresentato per la prima volta a Milano, al Teatro alla Canobbiana, il 12 maggio 1832. La felicità  melodica della sua musica, l"€™invenzione di alcune delle romanze più famose di tutto il repertorio lirico, la vena ironica che percorre l"€™opera dall'€™inizio alla fine, la definizione psicologica dei personaggi, cui Donizetti piega magistralmente toni e sfumature della partuitura, hanno reso fin da subito L'elisir una delle opere più presenti nei cartelloni teatrali di tutto il mondo.

Trama dell'Opera:

Atto Primo
In una fattoria un gruppo di mietitori e mietitrici siedono all'ombra di un albero e Adina, ricca proprietaria terriera, legge un vecchio racconto che parla di tristano e isotta, che si innamorano per effetto di un filtro amoroso. In disparte sta nemorino, giovane contadino innamorato di Adina, ma troppo timido per dichiararsi. Egli vorrebbepossedere la stessa meravigliosa pozione per conquistare la giovane. Giunge in parata il sergente Belcore con la sua truppa, che riesce a catturare l'attenzione della giovane e le chiede la mano. Quando Adina e Nemorinorimangono soli, il giovane dichiara nell'imbarazzo il suo amore, ma lei cerca di spiegargli che è troppo capricciosa e volubile per eseere fedele in amore. Nel frattempo, nella piazza del villaggio, il dottor Dulcamara, un ciarlatano che si fa credere taumaturgo, vende a carissimo prezzo infusi e strane misture in grado di guarire ogni male. Giunge Nemorino che incuriosito e speranzoso chiede a Dulcamara di dargli, se ce l'ha, l'elisir d'amore che lo aiuterà  a conquistare la giovane possidente. Gli viene rifilato del semplice Bordeaux, che peraltro comincia ben presto a fare effetto. Quando giunge Adina, il giovane, ormai alticcio, riesce a comportarsi con tale indifferenza da irritare la ragazza, che per vendicarsi comincia ad amoreggiare con Belcore, di cui finisce per accettare la proposta. Il sergente propone di celebrere le nozze il giorno stesso, perché imminente è la partenza dei soldati. sconvolto, nemorino chiede ad Adina di attendere almeno un altro giorno, ma ella, ignorandolo, invita tutti al matrimonio.

Atto Secondo
fervono i preparativi per le nozze, mentre nemorino, disperato, è costretto ad arruolarsi nell'esercito per raccimolare ciò che gli serve per comprare altro elisir. la giovane contadina Giannetta accorre annunciando a tutte le contadine della piazza che lo zio di Nemorino è morto lasciandogli un'enorme fortuna. All'udire questo, tutte le regezze gli si fanno intorno per averne i favori, mentre egli pensa che sia l'effetto dell'elisir.
Dulcamara rivela ad adina che osserva l'accaduto che la popolarità  del contadino deriva dall'elisir, che il giovane ha comprato a prezzo della libertà . nemorino scorge una lacrima sulle guance di adina e si convince del suo amore per lui. e una volta che il ragazzo è nuovamente affranceto, nulla si oppone all'amore dei due. Anche il sergenbte Belcore accetta con filosofia la nuova situazione... in fondo, il mondo è pieno di donne e egli può averne quante vuole.

Cavalleria Rusticana

Cavalleria Rusticana

Cavalleria Rusticana

Cavalleria Rusticana
di Pietro Mascagni
Atto Unico
E' l'alba della domenica di Pasqua. Turiddu, figlio di Lucia, pur innamorato e amante di Lola, sposa di Alfio il carrettiere, ha sedotto e promesso di sposare Santuzza, per dimenticare il suo difficile amore.

Santuzza, gelosissima perchè a conoscenza dell'intrallazzo tra il fidanzato e Lola, si reca da Lucia per chiedere aiuto. Dopo essere state interrotte da Alfio prima e dalla processione dei fedeli che si reca in chiesa poi, le due rimangono sole. Santuzza confida a mamma Lucia che Turiddu, dopo averle tolto l'onore e aver promesso di sposarla, ha cominciato a trescare con Lola. Scossa dalla notizia, Lucia la lascia e si reca in chiesa.
Giunge intanto Turiddu, e Santuzza, vedendo Lola entrare in chiesa allegra e spensierata, è presa da un moto d'ira. I due cominciano a discutere animatamente, infine la ragazza piangente implora il fidanzato di non abbandonarla. Turiddu la respinge seccato ed entra in chiesa. Santuzza lo maledice e rivela a Alfio, appena arrivato dalla piazza, l'infedeltà  della moglie e la sua disperazione per essere stat disonorata. Alfio incredulo la minaccia di morte in caso abbia detto una menzogna, diversamente egli vendicherà  entrambi entro il giorno stesso.
Al termine della messa uomini e donne escono dalla chiesa e Turiddu invita gli amici a bere, inneggiando alla festa e alla bellezza di Lola. Sopraggiunge Alfio che, invitato al brindisi, rifiuta sdegnato. Turiddu comprende il gesto di sfida. I due si abbracciano e Alfio morde l'orecchio al rivale, segno, nella tradizione siciliana, della sfida. Turiddu si addossa la responsabilità  dell'accaduto ma non viene perdonato. i due si danno appuntamento dietro l'orto. Turiddu si reca dalla madre per essere benedetto e le raccomanda Santuzza. Poi fugge. Giunge Santuzza che in preda ad un presentimento fatale abbraccia mamma Lucia, ignara del duello, ma angosciata anch'ella per il comportamento del figlio.
Giunge poco dopo un mormorio lontano, poi il grido delle donne: "Hanno ammazzato compare Turiddu".
Libretto Cavalleria Rusticana


Pagliacci
La vicenda si ispira ad un fatto di cronaca nera accaduta a Monfalto Uffugo e a suo tempo giudicato dal padre del musicista, magistrato a Cosenza.
Tonio, pagliaccio gobbo, entra in palcoscenico per spiegare agli spettatori il soggetto del dramma che verrà  rappresentato, il credo artistico del suo autore.
Atto Primo
Nella piazza di un paesino calabrese arriva una compagnia di girovaghi. Canio sospetta che Tonio gli insidi la moglie Nedda: lo ammonisce che se Arlecchino, sulla scena, può coteggiare Colombina, nella realtà  la storia finirebbe in modo assai diverso. Queste parole turbano Nedda: è l'amante di Silvio, ricco e giovane possidente della zona, e teme che il marito abbia intuito la verità .
Allontanatosi Canio, Tonio tenta di conquistare Nedda, che però lo respinge in malo modo. Egli giura di vendicarsi e la denuncia al marito, che sorprende Nedda in amoroso colloquio con Silvio. L'amante riesce a celare la propria identità  e a fuggire. Canio, allora, infuriato, tenta di strappare alla moglie il nome dell'amante, minacciandola. Tonio e Peppe, un altro attore, intervengono, ricordandogli che deve prepararsi per la recita. Canio riesce a controllarsi e mette, anche se a fatica, a tacere i suoi sentimenti.
Atto Secondo
Si rappresenta la commedia. Colombina è corteggiata da Taddeo (Tonio), che Arlecchino (Peppe) scaccia; ma sopraggiunge Pagliaccio (Canio) e Arlecchino fugge. Pagliaccio vuole sapere il nome dell'amante di Colombina.
A questo punto sentimenti reali e finzioe si intrecciano: Colombina non parla e Pagliaccio la uccide. Ma il pugnale è vero e Nedda cade invocando Silvio; questi, che assisteva alla rappresentazione, accore al suo fianco eviene a sua volta ucciso da Canio. Al pubblico inorridito Pagliaccio mormora affranto: "La commedia è finita".

Pietro Mascagni

Pietro Mascagni

Pietro Mascagni

Compositore e direttore d'orchestra italiano: figlio di un fornaio, Pietro Mascagni inizia gli studi classici al ginnasio della città  natale e contemporaneamente si dedica alla musica.
Studia pianoforte, organo, violino, contrabbasso, alcuni strumenti a fiato, armonia, contrappunto, fuga e storia della musica presso l'Istituto L. Cherubini.

Il suo talento è grande, tanto che all'istituto hanno successo la sua Sinfonia in do minore del 1879, un "Kyrie" e, in teatro, le sue cantate "In filanda" e "Alla gioia".
Con un finanziamento del conte F. de Larderel (a cui ha dedicato "Alla gioia"), Mascagni accetta l'invito di Ponchielli, con cui è in contatto da qualche tempo, e nel 1882 va a Milano per essere ammesso al conservatorio.
L'esame ha un esito brillante e Mascagni diventa allievo di Ponchielli stesso e di Michele Saladino, nonché compagno di studi e amico di Giacomo Puccini.
Nel 1885 interrompe gli studi e inizia a girare l'Italia dirigendo le orchestre di alcune compagnie di operetta, fra cui quella di Scognamiglio e Maresca.
Si stabilisce quindi a Cerignola, insieme alla moglie Lina in attesa di un figlio, e si mantiene dirigendo la locale filarmonica, la banda e il Teatro Municipale.
Nel 1889 partecipa a un concorso indetto dall'editore Sonzogno per un'opera in un atto e ottiene il primo premio su 73 concorrenti.
Vince con "Cavalleria rusticana", rappresentata per la prima volta il 17 maggio 1890 al Teatro Costanzi di Roma.
Opera nuova, rivoluzionaria e, al tempo stesso, profondamente radicata nella tradizione operistica italiana, la "Cavalleira" è un successo popolare nel vero senso della parola, in quanto il "popolo" si riconosce ampiamente nel racconto e nella trattazione musicale.
La geniale novità  formale di Mascagni è l'inserimento, nel preludio, della "Siciliana", una serenata di compare Turiddu a Lola non necessaria ai fini dell'azione, ma che cala immediatamente in modo insieme poetico e realistico l'ascoltatore nell'ambiente dell'opera.
Mascagni con i librettisti Menasci e Targioni-Tozzetti , oltre a decretare la fama del suo autore, servirà  da modello a quasi tutte le opere degli anni immediatamente successivi.
Ritornato nel 1890 a Livorno, Mascagni scrive "L'amico Fritz" (1891), un lavoro che nasce dalla volontà  del compositore di dimostrare di poter scrivere un'opera anche senza avere a disposizione un testo famoso come quello di Verga per la "Cavalleria rusticana": il successo nel 1891 è trionfale, anche se momentaneo.
Mascagni è ormai soddisfatto economicamente e artisticamente quando, dopo aver ottenuto trionfi in tutta Europa, viene nominato nel 1895 direttore del conservatorio di Pesaro.
Nel 1898 è la volta di una nuova opera su libretto di Illica, "Iris": la difficoltà  del soggetto, che ha scarsa azione scenica, viene risolta dal musicista con la creazione di "impressioni" drammatiche e passionali.
Tre anni più tardi con "Le maschere" il compositore ritorna a una forma d'arte più tipicamente italiana e di matrice popolare.
L'opera ha anche il contorno di un'imponente operazione pubblicitaria: la prima rappresentazione simultanea in sei città  diverse, ma l'operazione ha un esito poco felice.
Tra il 1902 e il 1903 Mascagni si imbarca in una tournée negli Stati Uniti, che si rivela un parziale insuccesso, e, tornato in Italia, è costretto a lasciare la carica di direttore del conservatorio di Pesaro in seguito alle rimostranze per la sua lunga assenza.
Dopo "Amica" del 1905, dove il compositore paga il suo tributo al sinfonismo tedesco, arriva nel 1911 un nuovo grande successo.
Partito da Buenos Aires approda in seguito a Venezia e a Milano: è "Isabeau", un'altra opera su libretto di Illica.
Nel 1913 Mascagni tenta il suo più ambizioso approccio alla cultura ufficiale con "Parisina", che vanta la collaborazione di Gabriele D'Annunzio e un esito discutibile.
L'opera è un insuccesso e la critica più "ufficiale" bolla il "capobanda" Mascagni rinfacciandogli le sue origini "plebee" non degne del melodramma elegante e puro.
Mascagni ora vive a Roma, dove per qualche periodo dirigerà  il Teatro Costanzi, e ripescando un soggetto abbandonato da Puccini crea la "Lodoletta" (1917), un'opera delicata e gentile in contrasto con la tensione emotiva del periodo bellico.
Quattro anni più tardi presenta "Il Piccolo Marat", che conserva tracce della gentilezza della "Lodoletta" pur mantenendo l'ambiente teso della "Parisina".
L'insuccesso dell'opera genera una crisi creativa nel musicista, che solo dieci anni più tardi, nel 1932, si ripresenta al pubblico con la "Pinotta", rifacimento della sua cantata giovanile "In filanda".
Ma la crisi di Mascagni è la più generale crisi del melodramma italiano: nel 1935 arriva la sua ultima opera, il "Nerone", che mette praticamente in scena il suo ormai difficile rapporto con il pubblico: é un'opera triste, dimessa, di amara protesta e confusa tra tradizione e modernità , tanto confusa che nessun editore vorrà  pubblicarla.
Dopo di questa il silenzio, Mascagni viene dimenticato e la sua morte passa quasi sotto silenzio: solo nel 1951 la sua salma viene solennemente trasportata a Livorno.

Iris Adami Corradetti

Iris Adami Corradetti

Non è da escludere che oggi il nome di lris Adami Corradetti (Milano, 1904) venga quasi automaticamente collegato a quello delle sue memorabili interpretazioni di personaggi come Violetta o Cio Cio San o Francesca o Fedora ecc...
Chi ama il Teatro, chi ritiene che anch"€™esso possa fare storia - storia di tempi, di costumi, di gusti, di interpretazione - ha il sacrosanto dovere non solo di non dimenticare, ma anche di rinverdire, se fosse necessario, questi ricordi.

La data ufficiale del ritiro di Iris Adami Corradetti è il 28 gennaio 1946, sebbene ci siano state successivamente sporadiche apparizioni per circostanze particolari e per concerti. Da allora sono passati 54 anni; i frequentatori di teatro di allora non ci sono quasi più; le generazioni si sono succedute; non ci sono più i vari Ziliani, Lugo, Galeffi, Malipiero Maugeri, Gigli, Salvarezza, Del Monaco, Biasini, Merli, Pertile, tutti compagni di tante battaglie combattute sui palcoscenici italiani (ma anche esteri) accanto alla nostra lris. Certi ricordi quindi fatalmente possono svanire.
lris Adami Corradetti apparve sulle scene liriche in un periodo ricco di fermenti, quando al già  consolidato repertorio verdiano veniva ad aggiungersi quello pucciniano e mascagnano, ma trovavano ancora spazio e successo anche i lavori di Vittadini, Respighi, Franchetti, Monte Mezzi, Lualdi, Castelnuovo Tedesco, Giordano, Robbiani, Ferrari-Trecate, Pick Mangiagalli Smareglia, Pietri, Rocca, Rabaud, Mulé, Lattuada, Ghedini, Zandonai, Cilea.Per cui, se è possibile ricostruire, attraverso la sua attività  di cantante versatile, le mode ed i gusti consolidati tra il 1926 ed il 1948, sono d"€™altra parte evidenti in lei aperture insolite: quelle appunto di una cantante che è arrivata ad affermare la propria personalità  sul filo, prima di tutto, della propria consapevolezza musicale, ancora più viva e fruttuosa dell'€™attenzione alla propria voce.
Saranno gli altri, e presto, a riconoscere anche le sue doti vocali non comuni, a sottolineare il suo straordinario talento di attrice, a scoprire la sua umanità  e la sua modernità .
Di musica e di interpretazione, di stili e di autori in casa sua sentì parlare sin dalla nascita e conobbe presto la qualità  e la quantità  dei sacrifici cui va incontro un cantante per preservare e maturare il suo organo vocale. Forse proprio per questo, giovanissima, si dedicò al pianoforte, sentenziando che la cantante non l"€™avrebbe fatta mai.
Crebbe fra i vocalizzi e le esibizioni di Bice Adami (San Donà  di Piave 1875 "€“ Padova 1969) soprano dalla voce purissima e di Ferruccio Corradetti (San Saverino Marche 1864- New York 1934) baritono, critico musicale ed attore intelligente.
Ma poi, quasi casualmente, i primi passi alla Scala, sotto lo sguardo attento e compiaciuto dei vari Toscanini, Guarnieri, Panizza e a fianco di colleghi illustri come Pertile, la Rasa, il Rossi Morelli, il Merli, la Dalla Rizza. Una carriera coltivata passo dopo passo, fatta si può dire dalla gavetta e portata sino ai vertici più alti.
Quanti personaggi? Tantissimi, da Coralità  di Anima allegra, personaggio del suo esordio nel 1926, a Liù, da Musetta a Barbarina e via via lungo un elenco impressionante: si contano circa 85 opere di repertorio, con quasi 100 personaggi diversi, appartenenti ad autori che vanno da Carissimi a Menotti, da Verdi a Wagner, da Respighi a Lualdi, da Wolf Ferrari a Franchetti, a Zandonai, Mulé, Pizzetti, Vittadini...
Non è dono di tutti carpire i segreti degli autori, immedesimarsi in personaggi cosi diversi psicologicamente e vocalmente, captare stili e sensibilità  così lontani fra loro, disporre quasi a piacimento (ma il segreto è solo nello studio) d"€™un organo vocale duttile e malleabile.
Se si dà  un"€™occhiata alle cronache teatrali, ci si accorge che sin dall'€™inizio della sua carriera vi è quasi una predisposizione verso l"€™eclettismo, verso il repertorio quanto mai vasto ed eterogeneo. Il suo fervido istinto musicale la conduce infatti ben presto ad accostarsi ad opere nuove o di rara esecuzione. Partecipa ad alcune "€œprime"€ importanti come La Sagredo di Vittadini (1930), Bacco in Toscana di Castelnuovo Tedesco (1931) La notte di Zoraima di Montemezzi (1931) in parti non proprio da protagonista ma pur sempre impegnative e determinanti per il successo finale, oltre che a parecchie esecuzioni di lavori di autori contemporanei o poco frequentati, come Persico, Casella, Rocca, Smareglia...
Dopo la partenza di Toscanini dalla Scala, la Corradetti si impone in altri teatri, primo fra tutti La Fenice di Venezia con Turandot (ruolo di Liù) nel 1932 e nella prima assoluta di Romanticismo di Robbiani (1933); poi, sempre nel 33, al San Carlo di Napoli ne"€™ Le nozze di Figaro (ruolo di Cherubino), a Genova ne"€™ Le Maschere di Mascagni (1933), a Bari in Traviata (1934), a Torino in Werther (1935) accanto a Tito Schipa e, nello stesso anno, in Boccaccia di Suppè accanto a Renzo Pigni.
Il rientro alla Scala si ha nel 1936 con Matrimonio segreto di Cimarosa, Lohengrln di Wagner, Il tabarro di Puccini ed Il campiello di Wolf Ferrari (in prima esecuzione assoluta) con opere cioè che testimoniano ampiamente, e ancora una volta, la singolare versatilità  dell'€™artista.
Poi ancora Werther a Napoli (1937), sempre con Schipa; Manon ed Il campiello a Roma (1937); Don Giovanni a Torino (1937); TravIata a Milano al Castello Sforzesco (1937); Lohengrin e La Bohème a Genova (1937), ecc..
Il Teatro alla Scala, nel 1938, le riserberà  una delle sue più grandi affermazioni: la messa in scena di Madama Butterfly diretta da De Sabata. L"€™attesa si rivela elettrizzante. C"€™è il ricordo di altre prestigiose protagoniste, come la Storchio, la Pampanini, la Dalla Rizza. Il successo personale è totale. Che cosa c"€™era, in realtà , in questa interpretazione della Corradetti? "€œlnnanzitutto"€ - sottolinea P. Caputo in un suo articolo apparso diversi anni fa su "€œMusica e dischi"€ "€œquesta artista ha saputo acutamente individuare l"€™autentico stile pucciniano; ha avuto il merito di saperlo collocare storicamente e criticamente in una sorta di stile neoromantico, uno stile cioè che, pur non ignorando le conquiste espressive del canto verista, ne mitigava però gli eccessi riallacciandosi ai principi essenziali (il legato, i portamenti, la linearità  del canto, ecc.) del melodramma romantico. Uno stile di canto personale, se si vuole, ma che ha permesso ai studiosi di individuare con maggiore facilità  la personalità  estetica di Puccini, erroneamente ritenuto da sempre un autore verista"€.
Ma sono almeno altri due i personaggi che è d"€™obbligo segnalare e che la Corradetti riuscì ad interpretare in modo egregio, attirando su di sé l"€™attenzione di critici autorevoli ed incondizionati consensi di pubblico. E cioè Francesca e Violetta. Sergio Setti, dopo una recita di Francesca da Rimini nel 1938, scriveva ne"€™ "€œLa gazzetta dell'€™Emilia"€: "€œIris Adami Corradetti, figura ideale per il ruolo di Francesca, maestosa nell'€™incedere, dal gesto stilizzato e dalla maschera mobilissima, ci ha offerto una interpretazione efficacissima ed ha reso vivo e palpitante col virtuosismo del suo canto il personaggio; questa magnifica interprete ha rivelato una potenza di voce eccezionale ed in alcuni punti una delicatezza di emissione tale da raggiungere i pianissimi più sospirati"€.
Interessante pure quanto scrisse Guglielmo Barblan relativamente alla sua interpretazione del personaggio di Violetta: "€œUn equilibrio fra intelletto e cuore di così intensa portata, lo si riscontra difficilmente fra le quinte del nostro teatro d"€™opera: se la si osserva attentamente questa cantante, non c"€™è il caso, una sola volta, che sfugga come sia costantemente vigile a ogni proprio accento, al minimo gesto. Ma nello stesso tempo ti accorgi che quando la vicenda si fa drammatica e l"€™episodio è velato dal manto del dolore, sul suo occhio spunta una lacrima e la sua voce ha il fremito che ti comunica come il cuore batta con maggiore violenza. Una simile maniera di cantare non si improvvisa, ma confessa tutto un processo di indagine artistica e tecnica, nel quale intelligenza, stile e gusto hanno gareggiato con attenta misura"€.
Molto ci sarebbe da dire anche a riguardo delle sue interpretazioni di Fedora, Carlotta Adriana, Lodoletta, Desdemona e delle tante altre opere e personaggi che lo spazio ristretto impedisce di elencare: opere e personaggi con i quali però si dimostrò - come scrisse il severo Bruno Barilli - cantante in possesso di "€œmezzi meravigliosi, di intelligenza e di precisione impeccabili. La sensibilità  e la squisitezza del suo orecchio sono proverbiali, e la sua intonazione immacolata. Essa può servire da diapason a tutti i colleghi. Con il timbro chiaro e senz"€™ombre della sua voce e con il suo dire largo e semplice ella tocca quasi la perfezione. Si vede che la gentile cantatrice non cessa di studiare e di amare la sua arte"€.
Eppure, improvvisamente, nel 1946, questa "€œvivissima, carezzevole ed espressiva soprano e, come sempre, attrice intelligente"€ (come la definì Franco Abbiati) annuncia il suo ritiro dalle scene. Nel 1951, in via eccezionale, partecipa a recite di Butterfly, Otello e Francesca da Rimini in occasione della commemorazione di Zandonai a Trento, e a qualche concerto; ma poi basta.
Quanto è awenuto dal "€˜51 ad oggi è cosa abbastanza nota: l"€™insegnamento in Conservatori e privatamente a Padova ove risiede da più di cinquant"€™anni, la partecipazione a giurie in tantissimi concorsi, le conferenze, i corsi di perfezionamento in Italia ed all'€™estero, le master-classe a Salisburgo su invito di Karajan, gli allievi, le direzioni artistiche, le consulenze, insomma un continuo servizio all'€™arte, a quell"€™arte a cui ha dato tutto, ma da cui ha ricevuto anche tanto.
A simili Artiste, noi amanti dell'€™Opera e della voce, dobbiamo molto e le additiamo ad esempio a quanti, con sacrifici e profondo studio - come fece lei - vogliono ripercorrerne le orme.

Presentazione del romanzo "Ballando ad Agropinto"

Presentazione del romanzo "Ballando ad Agropinto"

L'Associazione dei Lucani nel Veneto "P. Setari" di Padova organizza la presentazione del romanzo di Giuseppe Lupo "Ballo ad Agropinto"; la manifestazione rientra nelle attività  in occasione della "Giornata Lucana per la cultura regionale".Interverranno , oltre all'autore: Arnau Francesco, Presidente Associazione Lucani nel Veneto; e Ramat Silvio, Docente di Letteratura Italiana dell'Università  di Padova.

Venerdì 23 aprile , ore 18.00
Sala ex Sinigoga, Palazzo Antico Ghetto
Via delle Piazze, 20 - Padova

Giuseppe Lupo, nato nel 1963 ad Atella (PZ), svolge attività  di ricerca presso l'Università  Cattolica di Milano.
Con il romanzo "L'Americano di Celenne" (Marsilio, 200) ha vinto il Premio Giuseppe Berto 2001, il Premio Mondllo opera prima 2001 e, in Francia, il Festival du Premier Roman 2002.
E' autore inltre di alcuni saggi sulla letteratura italiana del Novecento, tra cui i volumi "Sinisgalli e la cultura utopica degli anni trenta" (Premio Basilicata per la saggistica 1998), " Poesia come pittura. De Libero e la cultura romana" (2002) e "Le utopie della ragione. Raffaele Crovi inteletuale e scrittore" (2003).

Romanzo corale e antropologico, Ballo ad Agropinto ripercorre un periodo di Novecento, in cui, tra illusioni e disincanto, la memoria contadina cede alla società  di massa e le rivalse economiche, che fanno da prologo all'€™esodo degli emigranti meridionali verso il Nord Italia, sconfinano nei sogni dell'€™utopia. Nell"€™arco di un quindicennio, dal 1943 al 1957, si snoda l"€™epopea picaresca di una comunità  dell'€™appennino meridionale, composta da stravaganti figure di avventurieri e filosofi, di inventori e disoccupati, di politicanti e venditori ambulanti, sempre in bilico tra una Lucania magica e depressa e il desiderio di ricchezze. In sottofondo scorre la grande storia: dalle mace-rie del dopoguerra alle lotte agrarie, dalle battaglie politiche del 1948 alla stagione della ricostruzione che conduce agli anni del boom economico.

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