L'autrice de "La Masseria delle Allodole", emozionante romanzo sul genocidio degli armeni, finalista al premio Campiello 2004, parla in quest'intervista dell'importanza della memoria storica e degli affetti familiari, e del ruolo, spesso trascurato, delle donne nella storia e in letteratura.
Il primo merito del suo romanzo è di aver fatto conoscere una realtà storica che i più ignoravano. Confesso che, prima di leggere il suo romanzo, non sapevo nulla sul genocidio degli armeni. Immagino che sia così per molte persone. Me ne vuol parlare?
Sì, vedi, era in qualche modo un atto di giustizia dovuto, però io non ho cominciato a scrivere pensando a quello perchè un romanzo lo scrivi perchè è qualcosa di più forte di te, e io l'ho detto forse un po' poeticamente "volevano essere ascoltati", era come sentire delle voci in un certo senso, senza esagerazioni e senza dire stupidaggini, così delle voci interne, qualche cosa che ti diceva "questo ci è successo, questo voglio che sia raccontato", altrimenti scrivevo libri di critica o di saggistica come ne ho scritti tanti. Anche se tanti anni sono passati, in fondo il genocidio è un male che non ha riscatto finchè non viene chiuso perchè in qualche modo la gente lo sa e lo mette in elenco ed è stato domandato un perdono, ecco.
Il silenzio, talvolta la negazione stessa del fatto che ci sia stata una violazione dei diritti umani, quanto male può fare alle persone che sono sopravvissute?
Fa tanto male. Guarda, io sono molto amica di due psichiatri armeno-americani e tu sai che negli Stati Uniti c'è la più grande comunità in diaspora degli armeni - Stati Uniti e Francia sono le due pi` grandi comunità di armeni in diaspora - e lì loro hanno avuto modo di vedere su molte persone questi effetti. Ora, tu pensa, uno studioso ebreo, Finkelkraut, ha detto "gli armeni dovrebbero diventare pazzi, pensate cosa succederebbe a noi se veramente fosse negata l'esistenza della Shoa". Immaginati una persona che è sopravvissuta a questo inferno e che si vede semplicemente costretta a non parlarne perchè nessuno le crede... e in più un grande stato come la Turchia, una grande nazione, non accetta di fare di conti con il proprio passato, che naturalmente non è responsabilità dei governanti attuali, ma essi devono semplicemente fare i conti con quel passato. Se il Papa chiede perdono, se la Germania chiede perdono, il Papa per qualche eccesso del passato, la Germania per la Shoa, non vedo perchè non lo debba fare anche la Turchia. Quindi è gente [i sopravissuti al genocidio armeno, nda] che ha delle profonde ferite intime, interiori, e quindi delle profonde nevrosi.
Perchè si parla molto del genocidio degli ebrei e non di altre realtà che sono avvenute?
Perchè il genocidio degli ebrei è stato commesso da una nazione che poi è stata clamorosamente sconfitta. Nel momento della sconfitta si sono aperti i campi di concentramento, è stato divulgato tutto, tutti sono venuti a saperlo e poi gli ebrei giustamente non hanno permesso che venisse dimenticato, come cerchiamo di fare noi. Ma mentre per loro c'è stata la nascita dello stato d'Israele, quindi una realtà statuale che esisteva, l'Armenia aveva sì uno stato ma era uno degli stati dell'Unione Sovietica e quindi impossibilitato a muoversi per conto proprio. C'è poi il negazionismo della Turchia e il comodo silenzio degli stati occidentali.
I giovani, che rappresentano il futuro, e la memoria storica: quali forme, quali mezzi usare per far incontrare questi due mondi?
L'onestà, e la poca retorica. Purtroppo, no purtroppo, giustamente, i giovani sono sensibili quando si sborda sulla retorica, quelle frasi fatte, quelle celebrazioni un po' inutili, un po' tronfie, in cui gente a cui non gliene importa niente dice parole... Secondo me il modo per raggiungere i giovani, secondo la mia esperienza, una buona esperienza, di tanti anni, e non solo italiana - l'anno scorso ho fatto un ciclo di lezioni di storia del Novecento a un gruppo di studenti americani del Minnesota che me l'hanno chiesto, quindi evidentemente la curiosità c'era - è quello di dare un quadro storico serio, perchè non devi stare solo sul romanticume che dopo non dai neanche la data in cui è successo un fatto, un quadro storico serio, essenziale, col minimo dei dati possibili però corretti, e poi testimonianze, vita vissuta, bambini che hanno vissuto una cosa, adulti, grandi... Non è che il ragazzo giovane vuol sentire solo di giovani, vuol sentire della vita perchè è quella che gli manca ancora, è quella che ha davanti. Vuol sentire delle persone che accettano la loro vita, che sanno di essere più avanti su quella strada e che trasmettono quello che hanno dentro, con onestà, con serietà, con allegria, senza prendersi troppo sul serio, perchè io credo che uno dei danni della nostra epoca è che tutti si prendono orrendamente sul serio.
Prima parlava di voci che chiedevano di essere ascoltate. Si sente molto forte nel suo libro l'importanza degli affetti familiari. Lei vede la famiglia come un messaggio di speranza?
Senz'altro. La famiglia viene tante volte data per morta, no?, o all'interno di essa i rapporti possono essere tesissimi, però ricordiamoci sempre che nessuno pretende che genitori e figli siano perfetti, giusto? Semplicemente la struttura genetica ha fatto sì che a quei genitori siano capitati quei figli. È per tutti e due una scommessa, genitori e figli, e tutti noi perdoniamo delle cose ai nostri genitori, come loro devono perdonare a noi come figli, non è vero? All'interno di una famiglia, se si vuole capirla con un pizzico di serenità , ci sono delle potenti forze positive che chiedono solo di essere espresse.
Forse per questo motivo il prologo del libro m'è parso così bello. Alla presentazione del suo romanzo in Sala Giganti il pubblico ha imposto che lei lo leggesse. Se n'è stupita?
No, perché è l'unico pezzo del libro che era già conosciuto. Diverse persone che sono venute lo conoscevano perché l'avevano letto quando era stato pubblicato con le edizioni Messaggero. È dedicato a Padova, al Santo di Padova, ed è forse un'angolatura un po' nuova, il Santo visto da una bambina e da una bambina che non è del tutto padovana, però che ha il nome del Santo. E poi è un pezzo che tutto sommato incontra molto, forse anche per quella chiusura in chiave di morte, vedere la morte come un passaggio, un passaggio che non conosciamo, di cui abbiamo paura, ma in fondo come dice Dino Buzzati "la morte è cosa semplice e conforme a natura".
Vuole parlarmi del suo rapporto con nonno Yerwant?
Oh sì, volentieri. Io il nonno lo conoscevo poco perchè avevo dei cugini più grandi di me e mi portavano di più dalla nonna, che aveva il mio nome. Però a nove anni mi sono ammalata di una malattia misteriosa, che non hanno mai capito cosa fosse, era una specie di febbre che mi consumava, veniva ogni tanto e mi consumava. Mi hanno curata con la penicillina, le prime penicilline, i primi antibiotici. Quando sono guarita però ero debolissima, e il nonno disse a mio padre: "Tu non sei capace di governare questa bambina, che è troppo indipendente, me la prendo io" e mi ha portata un mese in montagna e in quel mese siamo diventati proprio amici.
Vuole parlarmi della sua identità armena, come l'ha scoperta o riscoperta, come l'ha vissuta e la vive oggi dopo il successo del libro?
Questa è un'ottima domanda, grazie. L'identità armena intanto non è affatto in conflitto con l'identità italiana: io sono nata in Italia, sono italiana, mi sento italiana in tutti i sensi, però è un arricchimento. Avevo sempre raccolto le cose riguardanti gli armeni, non so un articolo una canzone, così in modo un po' romantico. A un certo punto ho scoperto che potevo fare qualcosa, che potevo tradurre questo grande poeta che ho tradotto dieci anni fa, che potevo...che c'era qualcosa dentro di me che era ancora inespresso. Ecco, io credo che non si finisca mai di imparare, né di svilupparsi, capisci? Non importa l'età che hai. Ad un certo punto, quindici anni fa, ho cominciato a sentire che mi piaceva, che mi sentivo soddisfatta, che mi faceva crescere, e così prima ho tradotto il poeta, il successo del poeta mi ha confortato, poi ho scritto il libro "Hushèr: La memoria " sui sopravvissuti armeni in Italia e poi pian piano ho iniziato a ri-ricordarmi queste cose, a raccontarmele, a raccontarle agli amici, e poi una mia amica americana mi ha detto "guarda, tu queste cose le devi scrivere". Lei e il professor Zecchian di Venezia mi hanno spinto a cominciare. Quando ho cominciato non ho più smesso.
Dal saggio al romanzo è un salto difficile?
Certo. Ed è un salto che non fai mica di volontà . Se tu ti metti lì e dici "adesso scrivo un romanzo" secondo me fai uno dei tanti fallimenti che purtroppo succedono. L'esperienza di tanti anni di insegnamento e di scrittura mi ha fatto capire che ... vedi, quando ho cominciato a scrivere mi sono detta "se continuo a scrivere con questa intensità , con questa gioia di scrivere bene, se mi stufo chiudo e basta". Era una cosa che doveva andare avanti con la ricchezza, la serenità e la gioia di farla. Io mi sono divertita moltissimo a scriverlo, anche i momenti più tragici. Era come un esercizio di amore che facevo. Scrivevo tre-quattro pagine al giorno e poi mettevo gi๠la penna e il giorno dopo ricominciavo. Era come tessere un tappeto.
Lei scrive a penna?
Ho scritto una parte al computer, l'inizio, e l'ho messa lì, dopo a un certo punto ho scritto a penna perché me lo portavo dietro dove andavo.
Nella storia che lei racconta, e nella realtà storica, le donne hanno avuto un ruolo molto importante, che però dai manuali scolastici viene spesso trascurato.
Oh sì, assolutamente trascurato. Invece nel caso armeno specifico la salvezza è affidata alle donne perché gli uomini vengono uccisi. Lo dico anche ad un certo punto, che il padre di Shushanig aveva detto "Noi vorremmo salvarvi ma non possiamo", perché? perchè in tutti i massacri armeni sono soprattutto gli uomini a essere uccisi. Le donne casomai vengono uccise in altro modo, culturalmente, perché vengono portate negli harem e lì scompaiono, ma fisicamente gli uomini vengono uccisi. In tutti i campi, sai, il ruolo della donna, non il ruolo del piagnisteo, ma il ruolo formativo, culturale, propositivo della donna è stato trascurato. A volte anche per colpa delle donne stesse, che pensano troppo magari a certe piccole rivincite formali e non alle cose sostanziali. Io non voglio dire che sia solo colpa degli uomini. Dico che effettivamente il ruolo, l'importanza della donna nella salvezza delle culture, non parlo neanche solo di cultura armena, è fondamentale.
A questo proposito, Lei ha scritto un libro sulla "galassia sommersa"delle scrittrici italiane. Me ne vuol parlare?
Sì, volentieri, perché c'è una connessione intima su queste cose. In un certo modo anche per le scrittrici dell'Ottocento italiano c'è un silenzio dei manuali, un silenzio della storia, un silenzio delle cose ufficiali, accademiche, che non meritano. Voglio dire, ogni ragazza italiana conosce chi è Virginia Woolf, per esempio. Nessuno sa chi è Neera, e Neera è una delle grandi scrittrici italiane, ha scritto dei libri stupendi. Non tutti, ma nell'Ottocento si mantenevano scrivendo i romanzi, e perché ogni romanzo dev'essere un capolavoro? Questo è sempre successo nella letteratura, neanche Tolstoj ha scritto tutti capolavori, neanche Shakespeare, neanche nella Divina Commedia ogni canto è un capolavoro... Accettiamo il fatto e parliamo di grandissimi geni, figurati uno scrittore, una scrittrice che si mantiene col suo lavoro, deve pur consegnare, deve pure scrivere l'articolo. Scriverà trecento novelle, di cui dieci sono bellissime. Quindi, da un lato sono state accusate di scrivere in modo popolare, ma scrivevano per la gente che le leggeva, anche D'Annunzio scriveva in modo popolare, voleva essere letto. Scrivono negli stessi anni, ma loro sono state cancellate dai manuali scolastici, quindi in fondo sono anch'esse delle vittime.
Io iniziai a studiarle parecchi anni fa, quando mi sono occupata del romanzo popolare italiano, e poi ho scavato, scavato, soprattutto su Neera, perché di lei avevo in mano l'archivio. C'è uno splendido archivio privato a Milano che contiene tutto quello che lei ha lasciato, è uno spaccato sulla vita dell'Ottocento inestimabile. E poi anche altre, la Marchesa Colombi, Contessa Lara, Vittoria Ganur, che poi è mezza armena come me ed è una poetessa nata a Padova, casualmente, è curioso, vero? queste voci femminili meritano di essere riportate sullo stesso piano degli uomini, degli scrittori della loro epoca. Luigi Capuana, Verga, Neera, Marchesa Colombi, D'Annunzio, si conoscevano, si scambiavano lettere, e la critica letteraria dell'epoca li stimava tutti, perché adesso le donne devono essere totalmente cancellate? Non ha proprio senso se ci pensi.
Come vede invece la situazione della letteratura femminile contemporanea?
Beh, diciamo che oggi una donna ha assolutamente le stesse opportunità di pubblicare di un uomo, anzi quasi di più, guarda quante scrittrici ci sono. Bisogna stare attenti a una certa facilità di scrittura che c';è in giro, a un certo scambiare magari le proprie fantasie per storie. Il romanzo, se vuoi scriverlo, è una storia, deve esserci una storia dietro, con un principio, uno svolgimento e una conclusione. I romanzi senza conclusione, insomma, bisogna essere Joyce per scriverli! Teniamoci alle cose sensate, utili. L'essere umano adora le storie, gli piace che gli si raccontino storie, da Omero in poi, fossero orali, fossero scritte, siano televisive, siano alla radio, l'essere umano adora le storie, è una sua caratteristica, e attraverso le storie impara un sacco di cose. A un ragazzo fai imparare molto più in fretta se tu gli dai un piccolo quadro storico e poi gli racconti alcuni episodi, lui si fa un'idea. Come i ragazzi sono gli adulti, sono quelli delle università della terza età dove vado spesso a tenere conferenze, e che sono appassionatissimi anche loro. Allora, oggi io credo che c'è una grande opportunità per la scrittura femminile, perché ti ascoltano, perché ti seguono e ti pubblicano, e dobbiamo stare attente a sfruttarla bene.
Arianna Pellegrini