Intervista a Michela Volante

Intervista a Michela Volante

Il romanzo di Michela Volante racconta la vita della poetessa Petronilla Paolini Massimi: una storia affascinante e ricca di colpi di scena, sullo sfondo inquietante della Roma barocca.
In questa intervista l'autrice ci spiega perché è importante ridare voce a questa figura femminile coraggiosa e poco conosciuta.

Michela Volante ha 28 anni e Domani andrò sposa è il suo primo libro. Dopo aver dedicato la sua tesi di laurea a Petronilla, Michela ha deciso di scrivere un romanzo per raccontare, attraverso la vicenda biografica di questa poetessa dell'Arcadia, una parte della storia che non è conosciuta né valorizzata: l'altra storia, quella che riguarda le donne.
La storia di Petronilla racconta a quale prezzo le donne della seconda metà  del Seicento potevano ottenere la loro libertà , trovare il loro spazio e affermare finalmente la loro identità . A secoli di distanza, ci fa capire che la vita come possibilità  di scelta non è una cosa scontata.

Rimasta orfana all'età  di quattro anni, a dieci anni Petronilla Paolini Massimi è costretta a sposare un uomo di trent'anni più vecchio, un cugino del papa, che si vuole impossessare della sua dote. Il marito la rinchiude in una stanza senza arredi e le impedisce di dedicarsi alla sua unica ragione di vita: la scrittura. Petronilla continua a studiare opponendosi al marito e infine prende la sofferta decisione di separarsi dai suoi tre figli, nei quali vede già  con terrore l'impronta paterna, e di rifugiarsi nel convento dove è cresciuta. Solo in questo modo può dedicarsi ai suoi studi, intrattenere uno scambio epistolare con alcuni grandi poeti dell'epoca, tra cui Metastasio, e diventare una delle poche donne ad essere accolta nell'Accademia dell'Arcadia.

Nel suo libro Michela Volante fonde rigore storico e capacità  evocativa e integra le notizie tratte dai documenti dell'epoca in una struttura narrativa polifonica, leggendo la storia da un punto di vista femminile.

Io con pallido volto
non mirerò le mie sventure estreme;
soffre il mio cuor, non teme;
e intrepida vedrò sovra il mio crine
dal destino cader stragi e ruine.
S'avventano i disastri
solo all'anime grandi. Io mai non vidi
fulminata dal ciel capanna umile (...)
e se contra di te s'arman le stelle,
tu desta ormai le belle
prove, che in nobil cuor virtù produce...


Petronilla Paolini Massimi
(da "Spieghi le chiome irate" in Rime degli Arcadi, tomo I, 1716, vv. 10-27)

Come hai scoperto Petronilla Paolini Massimi?

Sono andata per puro caso alla presentazione di un'antologia sulle scrittrici italiane dal Quattrocento all'Ottocento. La conferenza era tenuta da Luisa Ricaldone, docente dell'Università  di Torino dove studiavo. Avevo in mente di chiedere a lei la tesi, ma non pensavo di chiedere una tesi sulla letteratura femminile. Sono andata a questa conferenza senza aspettarmi nulla di specifico. All'ultima domanda è stato chiesto quale di queste autrici raccolte nell'antologia era secondo Luisa la più interessante. Lei senza esitare un momento ha detto: "Petronilla Paolini Massimi". A me è rimasto impresso questo nome un po' buffo. E poi Luisa ha raccontato alcune cose su Petronilla: sposata a dieci anni, imprigionata a Castel Sant'Angelo, decisa ad abbandonare il marito per la scrittura... Ho sperato furiosamente che l'argomento fosse libero per una tesi, e la mattina dopo alle otto mi sono presentata nell'ufficio di Luisa, temendo che avesse già  dato cinque o sei tesi su Petronilla; invece non ne aveva mai affidate, e in un secondo tempo mi ha confidato che aspettava qualcuno che le ispirasse fiducia. Era l'inizio del 1997. Da quel giorno ho studiato sugli inediti di Petronilla, nel 1999 mi sono laureata e ho continuato a cercare quello che non si trova: il diario e l'epistolario completo. Non li ho trovati, ho trovato però altre cose inedite. Nel 2000 ho cominciato a scrivere il libro.

E il percorso di scrittura dalla tesi al libro?

Il percorso è stato abbastanza naturale. E' come se nel frattempo avessi metabolizzato tutti i dati che avevo raccolto per la tesi. Da subito ho pensato che ne volevo scrivere un libro, ma non sapevo come strutturarlo. Mi sono presa molto tempo, anche perché facendo un lavoro, quello dell'editor, che usa lo stesso tipo di energie e di scrittura, è molto complicato scrivere un libro e nello stesso tempo lavorare sui libri degli altri. Fatalmente incroci le due cose, travisi un po' il tuo stile o lo stile degli autori su cui stai lavorando: bisogna fare molta attenzione in questo. Tutte le volte che me la sentivo scrivevo il libro, ma sono passati anche cinque o sei mesi senza che lo aprissi. Ogni volta però ho l'abitudine di rileggere daccapo tutto quello che ho scritto: io rileggo sempre dall'inizio, anche se sono a pagina 180. Questo ti permette di riavere in mano la situazione.

Le differenze tra la tesi e il libro, tra il rigore storico e la fantasia?

Io non volevo tradire nulla dei dati che avevo trovato, anche perché mi erano costati così tanta fatica che ci tenevo ad usarli nel modo più fedele possibile. Poi, quando il libro era finito e alcune persone l'hanno letto, c'è stato chi mi ha fatto notare che era fin troppo attento al dato storico e che in fin dei conti era un romanzo, per cui ho provato a distaccarmi un po'. Ma anche adesso sento molto importante la veridicità  storica: quello che voglio è far conoscere una storia vera, che mi sembra abbia un carattere di esemplarità . Perché sia esemplare deve essere controllata nei suoi dati storici. Mi sembra di aver avuto occasione, con questa struttura particolare a più voci, di non tradire troppo. Non so se poi ci sono riuscita davvero, ma mi sembrava un buon compromesso tra il racconto romanzato e l'attenzione alla vicenda storica.

Come hai dato vita alle parti che sui documenti non c'erano?

Per esempio nel caso della Madre Badessa o di Fatima avevo pochissimi dati storici, però ho provato a immaginare come avrebbe potuto comportarsi o quali pensieri potrebbe aver avuto un personaggio con quelle caratteristiche, in quelle condizioni. Poi non sono una storica, ma ho cercato di controllare più cose possibile: anche l'abbigliamento, la ricostruzione dell'ambiente. E poi è sempre una scusa per studiare delle cose in più: ho voluto approfondire la questione dei rapporti familiari, la politica delle doti nel Seicento, la questione dei Monti dei Pegni...

...che poi sono aspetti della storia che normalmente non si studiano...

Sì, e poi scopri che cose che per noi sono assolutamente scontate, non solo la condizione femminile, ma per esempio anche la condizione dell'infanzia, sono concetti che nel Seicento non esistono. Questo personaggio vive tre secoli prima di noi, ma vive a Roma, in posti che si possono ancora riconoscere e frequentare: sembrerebbe di poter ricostruire la sua vita con facilità . In realtà  lei era una donna come noi, ma davanti a un giudice non esisteva. Non aveva la possibilità  di gestire il patrimonio che le veniva dalla sua famiglia. L'educazione dei suoi figli non era assolutamente contemplata. Ci sono differenze molto profonde nella vita quotidiana. E però scopri anche cose particolari: per esempio il fatto che con Petronilla, a Roma, viva questa ragazzina turca, quindi di origine musulmana, forzatamente integrata nella società  del tempo. ChissÍ  con quali violenze e quali soprusi Fatima è stata portata a Roma. E' interessante scoprire che mondo orientale e mondo occidentale erano strettamente intrecciati.

Le libertà  che adesso diamo per scontate sono in realtà  delle conquiste recenti, e in certe parti del mondo non ci sono. Ti sembra che ci sia questa consapevolezza da parte delle giovani donne di oggi?

Questo è stato un motivo molto forte nella scelta di scrivere questo libro. Noi abbiamo un abisso di diritti in più. Abbiamo il divorzio, abbiamo la possibilità  di seguire una carriera, di farci una famiglia, di scegliere la contraccezione, l'interruzione di gravidanza: la libertà  di poterlo fare. Il divorzio in Italia ha compiuto 30 anni. Noi, che abbiamo trent'anni, non ci poniamo assolutamente il problema di come doveva essere la vita senza. E invece sarebbe il caso che ci ricordassimo, ogni tanto, non solo di Petronilla che ha trecento anni più di noi, ma semplicemente anche delle nostre nonne, che hanno rischiato di vedersi la vita rovinata perché non avevano la libertà  di scegliere. Questa mi sembra una cosa importante che ci dimentichiamo sovente. E poi senti dei discorsi fastidiosi. Qualcuno ti provoca dicendo: "dimmi il nome di una letterata o di una pittrice! In fondo sono poche rispetto al grandissimo numero degli uomini". Il motivo c'è, e Petronilla è uno degli esempi per capire come mai. Poi ci sono quei rarissimi esempi di donne artiste, come Artemisia e Faustina Maratti Zappi, che era una coeva di Petronilla, nate in famiglie di artisti e comunque osteggiate e sottoposte a violenze. C'è una letterata del Seicento, Maria Luisa Cicci, che pur di scrivere spremeva gli acini dell'uva e intingeva il pennino nel succo d'uva, perché le era stato sottratto l'inchiostro. Era comunissimo che alle donne fosse vietato di accedere veramente all'arte. Le donne potevano imparare a suonare tanto per intrattenere gli ospiti; imparare a pitturare tanto per fare il ritratto del cagnolino. Ma non potevano fare veramente le artiste, perché è una condizione di semidivinità , di tramite tra l'uomo e dio che alle donne non viene consentito.

Per Petronilla il mondo della poesia e della letteratura è un modo per conoscere e ri-conoscere se stessa. Però questo mondo è maschile...

E' un mondo per la maggior parte maschile, ma forse è l'unico mondo dove l'elemento maschile la accoglie veramente e la riconosce come grande, perché è un mondo dove uomini e donne stanno alla pari. Come un'isola separata, dove non valgono le regole sociali. Per esempio l'Arcadia crea nuove regole sociali all'interno dell'accademia. Come dicevi, Petronilla torna alla scrittura per conoscersi: nelle sue opere è fortissimo l'impegno autobiografico. Scrive due o tre odi autobiografiche e le memorie per il processo, e ha un tratto autobiografico che non esiste nelle autrici laiche di quell'epoca, e forse neanche negli autori uomini. E' una novità  assoluta. Petronilla ha un'idea classica della poesia, come possibilità  di superare l'oblio, di eternarsi. E per certi versi lo realizza: se siamo noi qui a parlare ancora di lei vuol dire che ce l'ha fatta. Racconta di sé non per piangersi addosso, ma per raccontare la propria forza, per dire "nonostante tutto quello che mi è capitato ho ancora la forza di scrivere e di scrivere bene, per farvi sapere che si può sopravvivere a queste avversità ". Quindi la poesia è una forma di confessione e di autoriconoscimento.

Quindi non fuga ma emancipazione?

Sì, non è un rifugio separato dal mondo. E' anzi una protesta di sé davanti a tutti.

Femminista ante litteram?

Petronilla scrive: "Sol del nostro valor l'uomo è tiranno". Più femminista di così... E' vero che Petronilla bada a se stessa, al proprio caso singolo. Però lei dice "Sol del nostro valor": nostro, di noi donne. Quindi ha consapevolezza del fatto che anche le altre donne vivono una condizione disgraziata. La sua condizione è disgraziata, ma fino a un certo punto: comunque lei è aristocratica e ha la poesia che la salva. La figura che a me fa più pena nel libro è quella della domestica, della governante. La governante, che è una donna del popolo, schiavizzata come tutte le altre, alla fine non ha nessuna consolazione. Accetta la sua condizione perché non ha come Petronilla la possibilità  di ribellarsi. Non è potente come la Madre Badessa, non è rassegnata come la madre di Petronilla. E' la figura più triste.

La stanza di Petronilla e la Stanza tutta per sè di Virginia Woolf...

C"€™è una frase di Virginia Woolf che avevo utilizzato già  ai tempi della tesi e che mi viene sempre in mente. Virginia Woolf scrive che molto spesso basta il rumore di un pennino per turbare la quiete domestica. Effettivamente è così, e nel caso di Petronilla basta il rumore di quel pennino, che il marito concretamente le sottrae, a distruggere un"€™esistenza coniugale. Il marito toglie dalla stanza tutti i mobili e arriva ad inchiodare le persiane delle finestre perché lei non possa scrivere.
Ciononostante Petronilla scrive lo stesso, si ritaglia uno spazio nelle sue stanze e poi nella stanza del convento. E io me la sono immaginata, a un certo punto, davvero sollevata del fatto di potersi finalmente dedicare ai suoi studi. Lei stessa, nelle sue memorie, parlando di quelle stanze di Castel Sant"€™Angelo in cui il marito la richiude, scrive che lei "€œsi stava ritirata e quieta"€. In quelle stanze stava bene, ma avevano un unico difetto: il soffitto era così basso che poter toccare il cielo con un dito non era sinonimo di cosa piacevole. Quindi era anche una donna spiritosa e ironica...

Virginia Woolf parlava anche di indipendenza economica.

Petronilla non ha l"€™indipendenza economica, però ci prova in tutti i modi. L"€™unica possibilità  per riavere la dote che gli è stata sottratta dal marito è quella di intentare causa contro di lui davanti alla Sacra Rota. Ancora adesso è complicato: figuriamoci allora, attirandosi addosso gli occhi di tutta Roma e dei potenti dell'€™entourage papale! Ciononostante Petronilla non si tira indietro e prova ad ottenere la restituzione della dote. Non ci riesce, ma ci prova: questo è il gesto di sfida più grande che potesse fare.

Mi viene in mente che molto spesso è la donna stessa suo malgrado a riproporre dei modelli di dominio maschile, anche attraverso l"€™educazione dei figli.

Non è il caso di Petronilla, che non ne ha avuto occasione, visto che i figli le sono stati tolti. Però per esempio è il caso di sua madre, che accetta di concedere la figlia in sposa a un uomo di trent"€™anni più vecchio. Non la si può giudicare, io non ho voluto giudicarla nel libro e anzi c"€™è un punto in cui Petronilla la assolve. E d"€™altra parte alle donne non erano concesse tante alternative, per cui il modello che proponevano alle loro figlie era una condizione di sottomissione e di inferiorità . Pensa che per moltissimi secoli, ancora nel Seicento, la scienza medica crede che le donne fisiologicamente siano uomini incompleti. A me sembra pazzesco, perché credo che di autopsie ne siano state fatte, e quindi si sia capito che in realtà  erano due corpi completamente diversi. Eppure era un preconcetto radicatissimo in tutti gli ambiti della vita. Di fronte a tutto questo, a maggior ragione sembra strano che Faustina Maratti Zappi, quella contemporanea di Petronilla di cui ti parlavo prima, abbia invece una vicenda coniugale felicissima. Lei è figlia di un pittore della fine del Seicento, il Maratta, ritrattista molto noto a Roma. In questa famiglia di artisti Faustina diventa poeta e si sposa con un poeta che è Giambattista Zappi, uno dei fondatori dell'€™Arcadia. Tutte le sue rime, molto sentite e belle, le scrive su questo grandissimo amore per il marito. Però è un unicum straordinario, mai successo prima. E non ti so citare una poetessa di fine Settecento, inizio Ottocento... è vero che, come Petronilla, sono poco conosciute: ci sono infinite donne poete, scrittrici, studiose, scienziate, pittrici, scultrici, che noi non conosciamo. ͈ come se noi conoscessimo il 50 per cento di tutte le discipline: ci sono interi universi da scoprire. Ora finalmente qualcosa si muove: comincia ad esserci qualche seminario di storia delle donne o di letteratura femminile. Altrove ci sono anche i corsi di laurea, per noi è chiedere troppo...

Mi parli del tuo rapporto con la scrittura?

Il mio rapporto con la scrittura è un rapporto viscerale, molto sentito: io vivo di scrittura, nel senso che non vivo solo dei miei libri "€“ non sarebbe possibile! "€“ ma lavoro in una casa editrice, quindi la scrittura è in ogni cosa che faccio. In questo condivido molto la necessità  di scrittura di Petronilla, perché sento che per me scrivere è qualcosa che mi fa sentire completa, mi fa esprimere al mio meglio, o almeno così mi sembra. ͈ la cosa che mi riesce più semplice ed è qualcosa di cui non posso fare a meno. Svevo diceva che la scrittura è una pratica igienica. Io credo che sia così: e come per Petronilla, scrivere permette di riconoscersi, di capirsi. Anche di fissarsi, proprio: è una questione pratica, di fissarsi su un foglio, su quattro punti. ͈ questo il valore della scrittura.

Mi hai detto che lavori nell'€™ambito dell'€™editoria. Qual è oggi la situazione per una donna che vuole dedicarsi alla scrittura, quali consigli daresti?

Fortunatamente è una situazione più semplice di quella di Petronilla! In generale, e questo vale per uomini e donne, penso che serva soprattutto una grandissima convinzione in quello che si fa. Mancano, secondo me, le belle storie: quelle che uno ha piacere di ascoltare. A volte mi sembra che manchino in generale, anche nel cinema. Quindi credo che si debba scrivere un libro quando si è veramente convinti di avere una bella storia da raccontare. Poi penso che una pagina scritta sia sempre migliorabile, quindi ci vuole un lungo lavoro. Dopodiché, si hanno molti pregiudizi nei confronti dell'€™ambiente editoriale. Quello che posso dire io è che è un ambiente poverissimo dal punto di vista economico: non si diventa ricchi facendo lo scrittore. Ma se un libro è bello, non c"€™è motivo per cui una casa editrice non dovrebbe pubblicarlo. Anzi, le grandi case editrici leggono tutto quello che arriva. Di questo bisogna avere fiducia.

Laura Lazzarin

Intervista a Emilio Rentocchini

Intervista a Emilio Rentocchini


In questa intervista Emilio Rentocchini parla della sua poesia in dialetto sassolese.
Una lingua morbida e musicale che risuona in profondità  e si adatta "a tutte le pieghe del dire".

Sono andata a sentire Emilio Rentocchini che leggeva le sue poesie al pubblico di Padova Incontra la Poesia. Non lo conoscevo e non sapevo cosa aspettarmi. Quando la sua voce ha cominciato a risuonare nella Sala Rossini dello Stabilimento Pedrocchi, sono rimasta incantata. Una voce dolce e fragile leggeva in una lingua altrettanto dolce e molto musicale: il dialetto di Sassuolo.
Rentocchini racchiude le parole in una forma poetica elegante e cristallina: l"€™ottava. Sono otto versi endecasillabi, cui se ne aggiungono altri otto, perché Rentocchini prosegue sempre con la "€˜variante"€™ in italiano. Ma la raffinatezza della composizione non è mai formalismo vuoto: l"€™equilibrio è continuamente minacciato da una vertigine che toglie il fiato. Pulsano le immagini del paesaggio emiliano, i ricordi del mondo contadino: schegge di una quotidianità  che brucia, colta in un soffio, nel suo "€˜mentre"€™, e mai conclusa.

In al drop prà ns: in ch"€™l"€™òura ch"€™ogni lus
l"€™as fa piò chiéta, armÍ gner fèirem, stèr
segrét damÍ nd i sas: tà³tt a s"€™ardà¹s
e un sél tratgnÍ» ma alsér, un fil ed fèr
ch"€™al sdèndla tra du mur, un léter sfus
col sÍ´ bicér atà ch i èin lè a neghèr,
perfèt, al mèl ch"€™as mͳv, al tèimp ch"€™al vòula,
la sbrùsia "€˜d ciamèr tà³tt na volta sòula.

Nel pomeriggio: in quell"€™ora in cui ogni luce
si fa più quieta, rimaner fermi, stare
segreti come i sassi: tutto s"€™addensa
e un cielo trattenuto ma leggero, un fil di ferro
che oscilla tra due muri, un litro sfuso
col bicchiere accanto son lì a negare,
perfetti, il male che si muove, il tempo che vola,
la smania di dar nome a tutto una volta sola.

Come ha cominciato a scrivere poesie?

Ho cominciato in italiano, molto piccolo, a dieci undici anni. E anche in dialetto ho cominciato molto presto, però non ho mai pubblicato. Ho pubblicato il primo libro nel 1986, proprio nel mezzo del cammino. Ho sentito finalmente la necessità  di pubblicare. Riguardo allo scrivere, credo che tutti scrivano, e a un certo punto molti smettano. Io invece ho continuato.

Qual è il suo rapporto col dialetto?

Abitualmente non parlo il dialetto, se non a monosillabi o a frasi fatte. Però l"€™ho proprio introiettato nell'€™infanzia. Era la lingua della famiglia, perché i miei genitori tra loro parlano dialetto, e anche i nonni parlavano in dialetto. Ricordo ancora con grande piacere il fatto che mia madre negli anni "€™50 ascoltava sempre alla radio, alla domenica pomeriggio, un programma della sede regionale dell'€™Emilia Romagna, tutto in dialetto.
Questa lingua mi è rimasta dentro profondamente e anche inconsapevolmente. A quindici sedici anni lo usavo in maniera più tradizionale. Dopo ho capito che per me era qualcosa di più: mi serviva come sonda per attingere in profondità  dentro di me. Mi portava in zone non controllate dalla ragione, dalla luce e neanche dalla scuola. Quindi più libere, più pericolose, più sdrucciolevoli ma anche più ricche. Ho cominciato a trascrivere quello che trovavo dentro di me, così come risaliva alla luce.

Come lavorano insieme l"€™italiano e il dialetto nelle sue poesie?

L"€™origine della poesia è il dialetto e il grosso del lavoro, soprattutto a livello emotivo, viene fatto in dialetto. Ho pensato fosse giusto costruire una seconda poesia con l"€™italiano. C"€™è una prima operazione di recupero, attraverso il dialetto, e una seconda di rielaborazione e di schiarimento, attraverso l"€™italiano.
In un elzeviro sul Corriere della Sera di qualche anno fa, Giovanni Giudici scrisse una cosa su una mia poesia, e questo mi dimostrò che lui aveva letto anche tutto il dialetto, e non solo l"€™italiano. Lui disse che le mie non erano traduzioni ma erano piuttosto delle varianti. L"€™ho trovata una definizione molto precisa: io non mi limito a tradurre le singole parole ma cerco sempre di aggiungere qualche cosa a quello che è già  stato detto in dialetto, naturalmente senza tradire.
Faccio coesistere nella stessa pagina italiano e dialetto, e per me la poesia è una sola. Mi servono sedici versi, anziché otto, per fare una poesia, e se questi sedici versi sono divisi in due lingue è un arricchimento.

Cosa c"€™è di simile e di diverso tra il sassolese delle sue poesie e il sassolese parlato oggi?

Tra il sassolese delle mie poesie e il sassolese parlato c"€™è sicuramente differenza. Credo che ogni autore pieghi a sé la lingua e la faccia diventare sua, e credo che anche la mia lingua sia diventata più mia. In questa operazione credo di avere compiuto dei cambiamenti che non possono piacere a tutti quelli che parlano il dialetto.
Innanzitutto è una forzatura il fatto di scrivere il dialetto, perché è una lingua orale. E poi siccome tu cerchi di significare, come dice Dante, qualche cosa, usi questa lingua come uno strumento che scaldi col corpo e che in questo modo diventa più adatto a tutte le pieghe del dire. Alla fine viene fuori una lingua "€˜nuova"€™.
C"€™è differenza tra il mio dialetto e il dialetto parlato a Sassuolo nei decenni scorsi e anche oggi. Secondo me oggi il dialetto è molto italianizzato e io non ho avuto remore a seguire questa corrente. Io uso anche le parole nuove: non credo che questo possa fare male a una lingua. In questo modo continui a farla vivere, a farla sentire viva, mettendo dentro le parole nuove che a lei non appartenevano perché non appartenevano alla realtà  contadina, alla dimensione del passato. Per me il dialetto è una lingua estremamente chiusa, con parole forti che hanno una grande storia. Nello stesso tempo continua ad essere una lingua viva nel momento in cui accetti che l"€™italiano entri in essa.

La musicalità  e il ritmo sono molto importanti nelle sue poesie. Mi racconta della sua ispirazione musicale?

Il mio dialetto è, secondo la definizione di Gian Paolo Biasin, un dialetto "€˜ispido e duro"€™. Molto ruvido: non è come il veneto che è dolce, delicato, levigato, soprattutto in bocca alle donne. Il nostro è un dialetto aspro. E allora, non so perché, forse per la mia natura profonda, l"€™operazione che ho compiuto sul dialetto è stata innanzitutto quella di alleggerirlo, di renderlo più delicato, più morbido. Ho provato a smussarne gli spigoli, a creare un impasto sonoro che corrispondesse più o meno al verso, cioè all'€™endecasillabo classico, e che rendesse una morbidezza, una bellezza sonora.
C"€™è stato un critico che dopo avermi sentito leggere ha trovato un accostamento che condivido del tutto: ha parlato di mantra. Credo che questo suono, morbido e ripetuto "€“ perché l"€™ottava è una forma chiusa e circolare "€“ sia quello che suona profondamente dentro di me. Mentre l"€™italiano è la lingua che esce da me, il dialetto è entrato in me, mi è piovuto dalle zone circostanti, mi è finito dentro come per sbriciolamento. Se dovessi immaginare visivamente questa situazione, vedrei dei coriandoli che cadono. In questo senso è una lingua essenzialmente sonora: una lingua che hai ascoltato, non avendola parlata. Hai preso questo insieme di suoni, che per te diventavano un suono solo, un suono dolce, probabilmente materno.

Il gruppo Segrè Ensemble ha messo in musica i suoi versi. Com"€™è stato questo incontro tra la musica e le sue parole?

In questo gruppo di jazzisti suona gente in gamba. La cantante è bravissima e si chiama Sandra Cartolari. Tutto è partito da un ragazzo di Vignola che suona l"€™armonica. Aveva letto il mio libro precedente che si intitolava Segrè (raccolta che è stata inserita nell'€™ultimo libro Ottave): in quel periodo lavorava molto negli Stati Uniti e se lo teneva sempre in tasca. Gli è piaciuto talmente tanto che ha raggruppato gli altri musicisti e si sono trovati d"€™accordo in questo progetto.
͈ un"€™operazione un po"€™ rischiosa per un pubblico tradizionalista; un"€™operazione diversa dalle solite che trova riscontri entusiastici oppure negativi, però a mio avviso è molto valida. C"€™è chi dice che la mia poesia non ha nulla a che vedere con il jazz. Invece io non porrei questi limiti. Hanno fatto questo lavoro con passione e il risultato è ottimo. E, come in tutti i CD, dipende dai pezzi. Ci sono alcuni pezzi, tipo La gèra la gira, che sono per me assoluti, anche per l"€™interpretazione della cantante.

Lei è anche insegnante. Come propone e come si può proporre la poesia a scuola?

Il problema dei problemi. La poesia secondo me sopravvive perché ce l"€™hanno insegnata a scuola. Ma come ce l"€™hanno insegnata a scuola? Ce l"€™hanno insegnata spesso in maniera antipoetica. Allora cosa dobbiamo fare a scuola quando insegniamo poesia? A questo punto della mia carriera sono giunto ad insegnarla soltanto in prima media. La faccio studiare a memoria. Dico: io non voglio che voi capiate niente di quello che leggete. Voi dovete impararla a memoria e basta.
Poi, in seconda e in terza, chiudo con la poesia, per un motivo molto semplice. Ci sono due situazioni che si guardano in faccia. La prima è che a loro non interessa la poesia, e questo mi fa soffrire. La seconda è che a me interessa troppo, e questo mi fa soffrire. Non riesco più a reggere questa doppia sofferenza.
A volte cerco delle soluzioni diverse: una cosa che faccio di solito è partire da quella che per loro è poesia. Per loro credo che poesia sia innanzitutto la canzone, la canzonetta. Dico: portatemi la più bella canzone d"€™amore che avete sentito in vita vostra. La ascoltiamo tutti, loro trascrivono il testo, lo leggiamo e arriviamo alla conclusione che sono tutte uguali. E allora lì posso inserire la poesia, come qualcosa che agisce contro la medietà . La poesia come eccezione della parola e non come normalità  della parola. E a volte qualche piccolo risultato c"€™è: nella scoperta di questa altra dimensione, qualche sorriso nello sguardo di qualcuno lo trovo.
Però credo sia difficile ottenere dei risultati partendo dalla poesia. Loro sono invasi di canzoni, guardano tutti Mtv. Perfino una poesia di Prévert, che ai nostri tempi "€“ ai miei tempi "€“ nella sua immediatezza era quasi banale, a loro risulta un po"€™ ostica. Questo mi fa pensare al modo che loro hanno di sentire la poeticità  delle parole, delle frasi e della vita intorno. Sono giunto alla conclusione che il rock ha fatto terra bruciata. ͈ una musica elementare, e quindi non ti insegna a salire. E"€™ una musica tutta in battere, tutta di forza, di ritmo, di rumore. Lo dice uno che ha seguito il rock. Ci sono delle immense eccezioni: io volevo fare la tesi su Bob Dylan, ma Bob Dylan per me è un poeta. Quelli che ascoltano i ragazzini di oggi non so cosa sono: in fondo non sono neanche dei musicisti. Se noi stacchiamo la musica dalle parole, le parole in sé non sono poesia e la musica in sé non è musica. Ma è talmente veicolata dai mass media che diventa soffocante. ͈ difficile che nascano i fiori dove non c"€™è aria, e credo che il rock anziché aggiungere aria la tolga. Ma la mia non è una conclusione drastica o assoluta, non è nel mio carattere: domani potrei avere un"€™opinione diversa.

L"€™altra sera mi parlava di sincerità : ha detto che la cosa più importante è non imbrogliare le persone. Cosa vuol dire questo quando si scrivono poesie?

Il poeta è un fingitore, come dice Pessoa. Io parlo di verità  sul piano umano. Ma nello stesso tempo aggiungo che ci vuole sincerità  in campo artistico. Per me la sincerità  in campo umano è il rispetto dell'€™altro. In campo artistico la sincerità  è il fatto di non credersi chissÍ  chi e misurare ogni passo con una certa obiettività .
Faccio due esempi. Il primo: io non so bene cosa sia la poesia, non l"€™ho mai capito: la sento come qualcosa di indefinibile, di imprendibile e sfuggente. ͈ un po"€™ come la sapienza, la filosofia: qualcosa che tu cerchi sempre. Allora ho cominciato a pubblicare solo quando mi sono sentito almeno un artigiano. Non vado a vendere cose che non so cosa siano, gusci vuoti. Almeno posso dire che, se non sono un poeta, sono un artigiano. La svolta è stato il fatto di prendere questa lingua pesante, greve, che è il dialetto, di lavorarla con pazienza, con ripetizione, fino a farla diventare l"€™essenza di se stessa. Tenendola dentro a una struttura e dimostrando che la tecnica c"€™era. Il grande cantante di musica classica è padrone assoluto della tecnica: ma ne è talmente padrone, che da lui esce qualcos"€™altro, rispetto alla tecnica. ͈ quel di più, quell"€™alone, che va oltre: che può essere magia del canto e può essere anche poesia.
Quando mi sono reso conto che possedevo la tecnica, che lavoravo quotidianamente e che quello che facevo, lo facevo utilizzando una pietra umile ma tangibile, che era il dialetto, allora ho detto: posso pubblicare, posso espormi, posso rischiare e non imbroglio nessuno. In questo senso parlavo di sincerità  e di serietà .
Secondo esempio: una volta ho fatto una lettura accompagnato da un suonatore di fisarmonica che non conoscevo. Alla fine lui mi ha detto solo una cosa. Mi ha detto: l"€™artista deve sempre strisciare col petto sul pavimento. Era quindici anni fa e me lo ricordo ancora. Quando lui disse quella frase, io ricordo benissimo cosa immaginai: vidi un pavimento rugoso. Il pavimento di una basilica, una cosa del genere.

Laura Lazzarin

Intervista a Vasco Graça Moura

Intervista a Vasco Graça Moura

La poesia di Vasco Graͧa Moura filtra i frammenti del passato, creando uno spazio interiore dove l'incontro tra la tradizione classica e il mondo contemporaneo dà  senso all'esperienza quotidiana.
Traduttore di Dante e deputato europeo, il poeta portoghese racconta in questa intervista da dove nasce l'ispirazione della sua poesia.

Presentato da Silvio Ramat e accompagnato da Giulia Lanciani, sua traduttrice e massima esperta italiana di letteratura portoghese, nel marzo 2004 il poeta di Oporto Vasco Graͧa Moura è stato ospite ai martedì del Pedrocchi per "Padova incontra la poesia".

E, dopo averlo ascoltato leggere i suoi testi e parlare della sua arte, di politica e cultura (Vasco Graͧa Moura non è 'solo' poeta, romanziere, drammaturgo, saggista, critico letterario e traduttore di Dante e Petrarca in rima, ma anche deputato europeo, vicepresidente a Bruxelles della Commissione Cultura) resta la sensazione di aver incontrato un mostro di bravura nel senso etimologico del termine: un prodigio, un portento, anche se non ha dato sfoggio di alcuna erudizione.

Graͧa Moura parla della sua poesia come del proprio modo verbale di stare al mondo. Per lui la parola poetica è un cortocircuito fra il quotidiano e i frammenti del passato, un misto di cultura e archetipi mitologici che affiorano come i relitti di un naufragio. Nel quotidiano si fanno strada, per affiorare nello spazio interiore, quei frammenti significativi di mitologia, cultura e tradizione.
Il passato e la contemporaneità  restano a galla e si fondono generando una letteratura moderna, opere nuove che comprendono svariati elementi: storia e miti classici, ricordi e aneddoti autobiografici. Perché il passato è un patrimonio attivo che dà  senso alla quotidianità  ed ogni esperienza è filtrata dalla nostra tradizione culturale, per questo possiamo passare dall'occasionalità  alla Storia e restare collegati al grande circuito del tempo mitico di cui facciamo tutti parte.

Dopo avere letto alcuni testi da "Poemas com pessoas" (tradotti dalla Lanciani e tratti dall'antologia Inchiostro nero che danza sulla carta da lei curata, pubblicata negli Oscar Mondadori 2002) il poeta precisa che la sua tecnica è voluta, cercata:

"Non credo alla poesia come ispirazione, ma come traspirazione - spiega con un filo d'ironia - è manipolazione della parola, lavoro, risultato di un processo che ha alcuni momenti iniziali spontanei a cui però seguono delle regole. L'autore deve proporre al lettore una struttura ben organizzata e dotata di sonorità . Nel mio caso, devo fare come diceva Pasolini, devo organizzare il caos. Ho bisogno di ordine, per questo rivisito i classici."

Cosa c'entrano i classici e la tradizione con la modernità ?

"Anche senza che ce ne accorgiamo, la mitologia e la cultura classica sopravvivono e irrompono nei nostri giorni, oggi possiamo ad esempio incontrare anche noi figure come quelle di Paolo e Francesca o Achille e Pentesilea, magari visitando il museo del Louvre. Io li rivedo e li ripropongo attualizzati nei miei testi, dove però entrano anche temi sociali e lirici, legati ai paesaggi, alla rappresentazione di opere d'arte, pittura, cinema, fotografia, dipende..."

Quali problemi ha incontrato nel tradurre in portoghese Dante e Petrarca?

"Mi sono organizzato e mi sono dato delle regole: prima di tutto fedeltà  totale al testo, nel rispetto della metrica e delle rime, alterne e interne. Basta trovare la chiave iniziale e dopo il meccanismo si mette in moto e la macchina parte. Con Dante, ad esempio, mi ero prefissato di tradurre un canto a notte. Sembra tanto, vero? In realtà  quella traduzione è stato un lavoro sottocosciente di quarant'anni. Per me la traduzione è come una foto in bianco e nero: se anche non vi distinguo più i colori, comunque riconosco i visi delle persone immortalate. Benché in bianco e nero, la fotografia mantiene una corrispondenza col soggetto originale."

Perché ultimamente ha voluto tradurre proprio il Canzoniere del Petrarca?

"Petrarca è citato e ripreso da tutti, se ne sente sempre parlare, ma finora in Portogallo esistevano le traduzioni di pochi sonetti, il primo a occuparsene fu il grande Camoes, ora possiamo dire che c'è il Canzoniere tradotto in portoghese."

Lei ha spiegato cosa è per lei la poesia. Cosa non è la poesia?

"Non è un linguaggio senza tensione. In ogni caso deve avere tutti gli ingredienti: ritmo, prosodia, espedienti formali, capacità  di simulazione, invenzione, autobiografia, riferimenti culturali, citazioni, attualità , anche ironia e autoironia, tutti elementi difficili da reperire a uno a uno perché sono disseminati nel testo."

Maurizia Rossella

Intervista a Titos Patrikios

Intervista a Titos Patrikios

Il poeta Titos Patrikios racconta in un'intervista il suo percorso poetico e politico.
Esponente di spicco della poesia greca contemporanea, è stato ospite della rassegna Padova Incontra la Poesia.

Da quest'anno la rassegna "Padova incontra la poesia", curata da Silvio Ramat per l'Assessorato alla Cultura, è divenuta internazionale.
Il primo ospite che ha letto i suoi testi davanti al numeroso e attento pubblico della Sala Rossini del caffè Pedrocchi è stato Titos Patrikios, il più celebre poeta greco contemporaneo, nato nel 1928 ad Atene, una vita densa di vicende umane e di importanti esperienze politiche e culturali che in gioventù lo hanno posto nelle file della Resistenza contro i nazifascisti che avevano invaso la Grecia.
La sua militanza politica all'interno della sinistra gli comportò il confino alle isole Macrònisos, dove conobbe il grande poeta Ghiannis Ritsos, il quale ne scoprì il talento e gli fece conoscere Neruda e Majakovskij.
Una volta libero, tornato ad Atene, il giovane Titos pubblicò la sua prima raccolta di poesie, esattamente cinquant'anni fa.

Alla Sala Rossini Patrikios ha letto in greco alcuni testi significativi tratti dal ciclo "L'epopea e i ritratti", affiancato nella versione italiana dal suo traduttore, l'editore italiano Nicola Crocetti, direttore della rivista "Poesia", che sta per pubblicarne un'antologia.
In perfetto italiano, il poeta greco ha subito chiarito quanto l'eredità  della cultura ellenica sia stato un pesante fardello per la sua generazione: se da un lato infatti il mito e la tradizione arricchiscono, dall'altro impediscono di sentire il presente. "A suo tempo - spiega Patrikios - abbiamo dovuto rompere con l'antichità  per trovare la nostra voce."

Lei ha militato nella sinistra, ha fatto la Resistenza ed è stato deportato. In che modo ritiene che la storia e il vissuto personale siano testimoni e giudici del presente?

Il passato e la storia fanno più ricca la nostra esistenza, senza memoria non possiamo esistere, ma sono assai pericolosi come giudici, poiché un giudizio molto severo può condannarci ad essere docili di fronte al passato.
Ma, come ci insegnano le avanguardie, i post-futuristi e i post- surrealisti che abbandonarono la metrica e la rima per cercare forme nuove, l'arte e la poesia non possono essere docili, la logica interna della poesia è una logica di estremi, non di mezzi termini.
Da una parte stanno la storia e la politica, dall'altra stanno l'arte e la poesia che sono fondamentali per la vita ma hanno logiche diverse. La logica dell'arte è quella dei rovesciamenti, delle rotture e degli estremi senza i quali non può continuare, diventa ripetizione. Noi possiamo sottostare al giudizio della storia senza essere docili: dobbiamo giudicare anche il giudice.

Si riferisce a una presa di posizione di tipo politico?

Una persona che parla in pubblico deve prendere posizione, non può nascondere quel che pensa, ma ciò non significa che debba essere inserito nell'ingranaggio, può anche essere indipendente rispetto alle formazioni politiche.
Nel secolo scorso c'è stata molta poesia politica, ma quest'impegno ha fatto prevalere il bersaglio politico rispetto alla scrittura, in tal modo la poesia perde la sua indipendenza e lo spirito critico. In ogni caso questo è sempre un grande dilemma: senza interesse politico la poesia diviene insipida, con troppo intento politico diviene linguaggio giornalistico, propaganda.

Negli anni Cinquanta, durante l'esilio, lei ha conosciuto il grande poeta Ghiannis Ritsos. Quanto ha significato questa amicizia?

Il legame con Ritsos mi ha influenzato molto, gli devo molto e gli sarಠsempre riconoscente, ma, dopo un rapporto molto intenso con l'amico e maestro, ho avuto bisogno di uccidere simbolicamente il padre, una rottura che si è risolta dopo 25 anni, del resto io dovevo fare la mia strada.
Gli elementi biografici sono importanti ma non coincidono con la scrittura. Alcune mie poesie, ad esempio, sono state come delle premonizioni e sono andate davanti al mio vissuto, altre invece sono giunte in ritardo rispetto al mio vissuto.
L'importante è vedere il cammino che ha fatto un poeta, lasciare stare il passato e continuare. Stendhal diceva "Mi dà  malinconia leggere i miei libri." E poi, più imparo la letteratura, più fatico a scrivere, non è come in gioventù che non ci pensi...
Adesso vedo tutti i problemi che ci sono nello scrivere, ma continuo, con una certa forma di autoironia che mi permette di vedere le mie straordinarie debolezze.

A tutta prima, le sue poesie sembrano facili e chiare, comprensibili. Come ci riesce?

La chiarezza è un risultato, non ci si arriva subito, io ho scritto anche poesie oscure. Spero che le mie poesie siano chiare ma non semplici, che abbiano molti livelli da scoprire.
Al campo, Ritsos mi ha insegnato che dovevo scrivere e riscrivere, anche cinque volte, e, se occorre, buttare via anche la metà  del lavoro. Gli ultimi miei testi mitologici, ad esempio, sembrano semplici, ma sono stati rielaborati una ventina di volte, perché è difficilissimo mettere insieme due-tre parole e se le parole non sono messe in quel certo modo la poesia non tiene. Bisogna avere un notes per prendere appunti. Anche se non servono. Ma intanto bisogna prendere appunti.

Di cosa deve occuparsi la poesia?

La poesia risponde a questioni che ancora non sono poste in essere.
La grande poesia prevede le domande dando piacere, attraverso il piacere della lingua, come fa Dante che anticipa fin dai primi versi Nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai in una selva oscura/ che la diritta via era smarrita...
La grande poesia prevede le domande, però mi piacerebbe dire che cosa non è la poesia, ma non ho abbastanza tempo per spiegarlo, intanto posso dire che non è psicologia né filosofia, dato che ci sono quelli che già  vi si dedicano...

Maurizia Rossella

Il codice Vaticano latino 3196

Il codice Vaticano latino 3196

La straordinaria presenza del codice Vaticano latino 3196, il codice forse più prezioso della lirica italiana in quanto contenente, autografe, 20 carte scritte dalla mano del Petrarca in tempi diversi (dal 1336 alla sua morte), costituisce la preziosa testimonianza della storia del canzoniere e consente di spiare il Petrarca nel suo laboratorio poetico, osservandone gli scritti in uno stadio ancora non definitivo, le correzioni ed i ripensamenti.

È stato recentemente pubblicato da Laura Paolino, Il codice degli abbozzi. Edizione e storia del manoscritto Vaticano latino 3196, Milano- Napoli, Ricciardi 2000. Raccoglie alcune delle carte che il poeta utilizzava per i suoi primi abbozzi e che gli servivano per le prime correzioni, sino a quando di qui egli non trasferiva i suoi componimenti in un supporto diverso e più adatto.

La maggior parte di questi abbozzi è costituito da poesie o frammenti che poi passarono nel Canzoniere, alcune direttamente nel codice oggi Vatic. Lat. 3195: il gemello d"€™oro della Vaticana, ovvero la "€˜copia"€™ nella quale il Petrarca fece trascrivere dal copista Giovanni Malpaghini la sua opera lirica, e che egli stesso condusse a termine, avvicendandosi al suo copista e trascrivendo si suo pugno il testo.

Siccome il Petrarca, in queste carte non ufficiali ed esposte, segnalava anche i tempi di stesura o di correzione, e talvolta anche l"€™ora precisa in cui aveva ripreso in mano la penna, ed il tempo intercorso dall'€™ultima stesura, il codice ha offerto una miniera di notizie per la ricostruzione della elaborazione dei testi nei loro insiemi (varie redazioni, o "€“come sono state chiamate- "€˜forms"€™, del Canzoniere, studiate per la prima volta da Ernest H. Wilkins e, in Italia, da Arnaldo Foresti).

Con le poesie del Canzoniere sono presenti altre rime di corrispondenti, risposte di Petrarca a loro, lacerti poetici non finiti nel Canzoniere, stralci di epistole latine (della raccolta delle Familiares) e, dei Trionfi, parti di quello d"€™Amore (Triumphus Cupidinis), quello dell'€™Eternità.

Siccome la maggior parte di queste carte erano all'€™origine piegate, e alcune di esse lacerate, è evidente che il poeta usava per i suoi primi assaggi di prova, o prime scritture, carte di servizio, destinate poi, normalmente, alla distruzione, cioè veri e propri scartafacci: donde propriamente ai testi del Vat. Lat. 3196 si attaglia l"€™etichetta di "€˜critica degli scartafacci"€™, che, applicata all'€™esame delle correzioni d"€™autore, fu importantissima nella cultura italiana del primo Novecento, opponendo al grande Croce, i fautori, come Giuseppe de Robertis e Gianfranco Contini, della filologia delle "€˜varianti"€™ ovvero "€“appunto- la "€˜critica degli scartafacci"€™. Petrarca stesso fu il primo critico dei propri scartafacci perchè talvolta vi lasciò cadere note che riguardano le motivazioni dei propri cambiamenti ( «non videtur satis triste principium»).

Il codice finì nella mani di Pietro Bembo, ma è forse una leggenda ch"€™esso fosse stato trovato presso un "€˜pizzicaruolo"€™; dai libri del Bembo passò alla Biblioteca di Fulvio Orsini, e di qui alla Biblioteca Vaticana (con lo stesso percorso, del "€˜fratello"€™ in bella copia, Vat. Lat. 3195).

L"€™uscita dalla Biblioteca Vaticana, per evidenti motivi, è occasione rarissima, e anche per ciò la sua presenza a Padova costituisce un fatto eccezionale, meritando il codice di essere considerato il cimelio più prezioso di questa mostra.

Gino Belloni

Petrarca a Padova

Petrarca a Padova

Il Petrarca giunse per la prima volta a Padova nel 1349, su invito di Iacopo II da Carrara, signore della città . Aveva 45 anni ed era celebre in tutta Europa come storico, filosofo e poeta latino. Nel 1341, rifiutata l'offerta fattagli dall'Università  di Parigi, era stato incoronato poeta a Roma in Campidoglio.

Petrarca ospite di Jacopo II


A Padova Petrarca fu accolto con grandissimi onori da autorità  e popolo e venne ospitato nella splendida reggia carrarese. Qui egli ritrovava in qualiÍ  di vescovo il nobile romano Ildebrandino Conti, conosciuto alla corte papale ad Avignone, durante la sua giovinezza. Fu quindi lieto di accettare il canonicato che Iacopo II gli offerse, prendendone possesso il 18 aprile. Il rito solenne fu celebrato in cattedrale, alla presenza di una gran folla, dal cardinale legato Gui de Boulogne. Il mese seguente fu assegnato al poeta un beneficio annuo di 200 ducati d'oro e una casa adiacente alla cattedrale. L'abitazione, disposta su due piani, comprendeva otto camere, tre granai, due "caneve", una stalla e un orto, con un bel pozzo d'acqua.

Ma a Padova il Petrarca non si fermò. Riprese il suo peregrinare, tornando solo di tanto in tanto per assolvere ai suoi doveri di canonico. Era in città  il 15 febbraio 1350 per assistere alla traslazione del corpo di s. Antonio nell'arca in cui si trova ancora oggi nella Basilica del Santo.

Il 19 dicembre 1351 Iacopo II da Carrara veniva assassinato da un congiunto. Il figlio e successore Francesco chiamò il Petrarca a Padova. Il poeta scriverà  all'amico Giovanni Boccaccio, l'autore del Decameron: «La Fortuna, dopo aver mietuto intorno a me tanti amici ed avermi privato di tanti conforti, mi ha rapito con improvvisa, orribile e veramente indegna morte il migliore, il più caro, il più dolce sostegno e decoro dei miei giorni». Per la tomba di Iacopo II, opera dello scultore Andreolo de'; Santi, il Petrarca compose una commossa epigrafe, che si può ancora leggere nella chiesa degli Eremitani.

Petrarca ospite di Francesco da Carrara


Il Petrarca tornò a Padova per risiedervi stabilmente nel 1361, ma già  l'anno successivo la peste lo costringeva a trasferirsi a Venezia. Qui visse sette anni in un palazzo sulla riva degli Schiavoni, che la Repubblica gli aveva concesso in cambio del lascito della sua ricchissima biblioteca.

Durante gli anni veneziani, Francesco da Carrara, che amava il poeta di affetto filiale e lo voleva presso di sé, non mancò di invitarlo con insistenza a Padova. Nell'aprile del 1368 quando si recò a Udine per rendere omaggio all'imperatore Carlo IV, sceso in Italia per la seconda volta, il Carrarese volle che il poeta fosse al suo fianco. Commosso da tante attenzioni il Petrarca decise di lasciare Venezia e stabilire la sua definitiva residenza a Padova. «Qui a Padova sono sicuro di essere amato» avrebbe dichiarato qualche anno più tardi a Matteo Longo, arcidiacono di Liegi e suo caro amico.

La città , che si gloriava di una delle Università  più prestigiose d'Europa, gli offriva, oltre alla potente protezione del principe carrarese, un soggiorno piacevole e una numerosa cerchia di amici vecchi e nuovi:
  • Giovanni Dondi, medico e astronomo

  • Pietro da Moglio, maestro di grammatica e retorica

  • Bonaventura Badoer da Peraga, futuro patriarca di Aquileia e cardinale

  • il pittore Guariento, che in quel tempo lavorava alla reggia carrarese e agli Eremitani

  • il letterato Lombardo Della Seta, suo devoto segretario


Nella casa canonicale, dove aveva riunito la sua preziosissima biblioteca, il Petrarca visse serenamente, lavorando ad alcuni dei suoi capolavori tra i quali l'Africa, il Canzoniere e i Trionfi. Su invito di Francesco da Carrara, al quale sarebbe stato dedicato, il Petrarca riprese il De viris illustribus, raccolta delle biografie di 36 celebri personaggi dell'antichità ;. L'opera, su diretto suggerimento del poeta, fu alla base della vasta decorazione pittorica, oggi perduta, voluta dal Carrarese per 'ampio salone della sua reggia, poi detto "Sala dei Giganti".

La casa di ArquÍ 


Il poeta aveva ormai superato la sessantina e il suo stato di salute, indebolito da febbri e da vari malanni, era precario. Sicchè quando Francesco da Carrara, sempre premuroso nei suoi riguardi, gli donò un terreno ad ArquÍ  sui colli Euganei, Petrarca decise che quello sarebbe stato il miglior rifugio per i suoi ultimi anni. E scrisse all'amico Moggio Moggi: «Potessi mostrartelo! ͈ il mio secondo Elicona, che ho preparato per te e per le Muse. Sono certo che se tu lo vedessi non te ne vorresti più allontanare».

Nei primi mesi del 1370 la casa di Arquà era già  pronta. Il Petrarca vi si trasferì nel marzo. Aveva al suo servizio alcuni servi, ai quali si aggiungevano quattro o cinque copisti, ed era visitato da amici ed ammiratori. Così descriveva la sua vita ad ArquÍ  qualche anno dopo al fratello Gherardo: «Per non allontanarmi troppo dalla mia chiesa, qui fra i colli Euganei, a non più di dieci miglia da Padova, mi sono costruito una casa piccola ma deliziosa, cinta da un oliveto e da una vigna, che danno quanto basta ad una famiglia numerosa, ma modesta. E qui, benché ammalato, vivo pienamente tranquillo, lontano da ogni confusione, ansia e preoccupazione, passando il mio tempo a leggere e a scrivere».

Nel 1367 il papa Urbano V aveva provvisoriamente riportato dopo 64 anni la sede papale da Avignone a Roma. Il Petrarca, che tanto aveva sollecitato con le sue lettere la fine del «turpe esilio avignonese», era stato invitato alle solenni celebrazioni, ma violenti attacchi di febbre ne avevano rinviato più volte la partenza. Al rinnovato invito del papa, che gli scrisse personalmente, nel 1370 decise di mettersi in viaggio. Ma a Ferrara venne colto da una violenta sincope, che lo fece credere morto. Ad Arquà, dove era tornato dopo qualche tempo, lo raggiunsero la figlia Francesca e il genero Francescuolo da Brossano con la piccola Eletta. Petrarca morì nella notte fra il 18 e il 19 luglio 1374, giorno del suo settantesimo compleanno. Stava lavorando al Compendio del De viris illustribus. Al Boccaccio, che, avuta notizia delle sue non buone condizioni di salute, gli consigliava di mettere da parte gli studi e la fatica dello scrivere, Petrarca aveva ribattuto: «Non c'è peso più leggero della penna, nè più dolce. Gli altri piaceri svaniscono e dilettando fanno male, la penna invece dà  gioia quando la si prende in mano e soddisfazione quando la si posa, riuscendo utile non solo a chi la usa, ma spesso anche a molti altri che sono lontani, anche a coloro che vivranno dopo migliaia di anni».

Mostra "Petrarca e il suo tempo"

Mostra "Petrarca e il suo tempo"

Mostra "Petrarca e il suo tempo"

Sulle tracce di una presenza divenuta un simbolo per la città, Padova organizza una grande esposizione, che fa riemergere la memoria del poeta, della sua attività , delle sue relazioni.

Musei Civici agli Eremitani
8 Maggio - 31 Luglio 2004

2004: a 700 anni dalla nascita di Francesco Petrarca, Padova organizza un evento espositivo con il quale si propone di ripercorre il legame tra il Poeta e la città . Un legame unico, per l'importanza degli anni nei quali si svolse, l'intensità  delle relazioni umane e intellettuali, la preziosa eredità  culturale.
A Padova Francesco Petrarca fu a più riprese; quasi ininterrottamente dal 1368 al 1374 (anno della morte), ospite di Francesco il Vecchio da Carrara, per il quale svolse anche incarichi pubblici. In questi anni Padova andava assumendo un ruolo prestigioso di grande centro culturale e polo di attrazione per gli intellettuali e gli studiosi dell'epoca e la casa del Poeta divenne meta di amici e visitatori illustri, come ad esempio Giovanni Boccaccio.

Leggi la scheda Petrarca a Padova
Vai al sito ufficiale http://www.petrarca2004.it a cura della Provincia di Padova.

Il programma di "Petrarca e il suo tempo" comprende

  • una mostra presso il Museo Civico Eremitani: articolata in diverse sezioni, presenta circa 170 opere tra codici, manoscritti, illustrazioni, pitture, incisioni, riproduzioni
  • un itinerario all'interno della città : tracce della presenza del Petrarca e del clima culturale del tempo
  • celebrazioni petrarchesche: incontri e spettacoli dedicati all'uomo e al poeta
  • Informazioni pratiche


 

LA MOSTRA

 

 

Le opere

 


La mostra propone raffinatissimi codici provenienti da prestigiose istituzioni quali la Biblioteca Nazionale di Parigi, la Biblioteca Apostolica Vaticana, la Biblioteca Marciana di Venezia, il Victoria & Albert Museum di Londra e da altre prestigiose raccolte italiane e straniere.

In particolare sarà  presente il manoscritto Vaticano latino 3196, che uscirà  eccezionalmente dalla Biblioteca Apostolica Vaticana. E' il codice forse più prezioso della lirica italiana perché contiene, autografe, 20 carte scritte dalla mano del Petrarca in tempi diversi (dal 1336 alla sua morte).
Si tratta dei fogli che il poeta utilizzava per i suoi primi abbozzi e che gli servivano per le prime correzioni. La maggior parte di questi abbozzi è costituito da poesie o frammenti che fecero poi parte del Canzoniere.

Saranno inoltre presentati il catalogo della Raccolta petrarchesca conservata presso la Biblioteca Civica e i primi due Album dei visitatori di Casa Petrarca, riprodotti in forma digitale e accompagnati da un'antologia di testi apposti da visitatori illustri sugli album stessi.

Uno spazio di rilievo sarà  riservato ai "Trionfi", illustrati da opere provenienti dall'Albertina di Vienna e dalla Galleria degli Uffizi di Firenze.

Non mancheranno alla mostra opere delle cosiddette "arti minori", nelle quali si potrà  cogliere l'eco immediata delle immagini, delle emozioni, delle meditazioni del poeta.

E ancora: un aspetto poco noto è il rapporto più o meno diretto di Petrarca con la musica durante la sua permanenza a Padova. La mostra esplora questo rapporto nel riflesso della posizione europea del poeta, nella cultura della sua epoca e della postuma diffusione e fortuna dei suoi testi, attraverso opere quali fonti musicali, lettere scritte dal Petrarca ai suoi musici, codici di teoria musicale, strumenti musicali dell'epoca ricostruiti da artigiani contemporanei.
Sono previste stazioni di ascolto.

 

 

 

 

 

 

Le sezioni

 


Nel dettaglio, la mostra si articola in sei sezioni:

I Carraresi e l'ambiente padovano
La sezione vuol fare conoscere la famiglia che governò la città di Padova per tutto il Trecento e presso cui Petrarca fu ospite durante il suo soggiorno padovano.

La cultura al tempo del Petrarca
La sezione è pensata per dare un'idea del contesto in cui visse e operò Petrarca: arte e libri, musica, cultura latina e storiografia locale, cultura scientifica.

Patavinitas classica
La presenza del Petrarca nella Padova carrarese si inserisce nel contesto di un vivace ambiente culturale, decisamente orientato in senso umanistico, con una particolare vocazione "archeologica", che testimonia una precoce valorizzazione delle vestigia del mondo antico, poi destinata a svilupparsi in forme sempre più articolate nei secoli della Rinascenza.

La sezione ripercorre le tappe più significative di questo percorso intellettuale.

Codici e 'fortuna' delle opere di Petrarca in Europa
La sezione presenta manoscritti e incunaboli delle biblioteche tedesche per documentare la tradizione manoscritta da Padova all'Europa e il ruolo degli studenti tedeschi all'Università .

La tradizione iconografica dei Trionfi
Il poema allegorico del Petrarca diede vita a una importante tradizione iconografica che durò fino al Seicento nella pittura, nella stampa e nella bronzistica in Italia e Oltralpe.

La sezione offre importanti testimonianze di questa tradizione.

Petrarchismo e petrarchisti
La fortuna del Petrarca, già  considerevole, crebbe dopo la sua morte. Padova divenne il centro di diffusione delle sue opere, richieste dal papa, dall'imperatore e da vari intellettuali italiani ed europei. Il culto petrarchesco rimase vivo nei secoli, rinnovandosi, anche e soprattutto nel campo dell'editoria.

La sezione vuole testimoniare la fortuna delle opere del Poeta sullo sfondo del Veneto, attraverso documenti originali e editoria petrarchesca.

 

 

 

 

 

ITINERARIO


L'itinerario porta alla scoperta di alcune tracce della presenza del Petrarca in città , quali la casa presso cui soggiornò a Padova (in parte conservata), ritratti del poeta, iscrizioni. Segnala inoltre mionumenti e opere che testimoniano il clima culturale del tempo, in particolare il rinnovato interesse per la classicità  che influenzò il Petrarca.

Da non perdere nella deliziosa cittadina di ArquÍ , sui colli euganei, la Casa del Petrarca, recentemente risistemata. Il nuovo allestimento è stato voluto ancora più rispettoso della suggestione del luogo e delle testimonianze della quotidianità  di vita del Petrarca che la Casa conserva integre da secoli.

Scarica l'itinerario completo in formato pdf.

 

INFORMAZIONI PRATICHE

 


Musei Civici agli Eremitani
Piazza Eremitani
orari: tutti i giorni 09:00 - 19:00; giovedì 21:00 - 23:00
chiusura: lunedì

come arrivare: dalla stazione ferroviaria autobus 3, 8, 10, 12, 18

Biglietti

in orario 09:00 - 19:00
- intero 10 euro (comprende ingresso mostra e museo)
- biglietto cumulativo 12 euro (comprende ingresso mostra, museo e Cappella degli Scrovegni)
- Padova Card 14 euro + 1 euro per la prenotazione della visita alla Cappella degli Scrovegni
- ridotto gruppi (10-25 persone) 8 euro
- ridotto speciale, scolaresche e carta giovani 5 euro

in orario 21:00 - 23:00 (solo di giovedì)
- intero solo mostra 8 euro
- intero mostra e Cappella degli Scrovegni (fino alle 22:00) 12 euro
- ridotto solo mostra 5 euro
- ridotto mostra e Cappella degli Scrovegni (fino alle 22:00) 8 euro
- ridotto speciale mostra e Cappella degli Scrovegni (fino alle 22:00) 5 euro
- Padova Card 14 euro + 1 euro per la prenotazione della visita alla Cappella degli Scrovegni

Esibendo il biglietto della mostra si ha diritto ad un ingresso ridotto a:
Palazzo della Ragione: 4 euro
Battistero: 1,50 euro
Museo Diocesano: 2 euro
Oratorio di San Giorgio: 1,50 euro
Casa del Petrarca: ridotto 1,50; scuole 1 euro (gratuito fino a 6 anni e oltre i 65, residenti a Padova e provincia, possessori Padova Card e portatori di handicap)

Visite guidate su prenotazione
ImmaginArte tel. +39 049 9330176
Guide ASCOM tel. +39 049 8209741, fax +39 049 8209726
Assoguide Veneto tel. +39 049 8698601, fax +39 049 8698614

Visite guidate gratuite: giovedì ore 21:00

Per informazioni
Musei Civici
tel. 049 8204551

Telerete Nord-Est srl
tel.049 2010020

Turismo Padova Terme Euganee
tel.049 8767918
info@turismopadova.it


Ufficio stampa
Studio ESSECI - Padova Sergio Campagnolo
tel.049 663499
fax 049 655098
e-mail info@studioesseci.net
sito http://www.studioesseci.net

 

 

Millo Bortoluzzi jr. 50 anni di pittura a Padova

Millo Bortoluzzi jr. 50 anni di pittura a Padova

Omaggio ad uno dei più importanti paesaggisti padovani e veneti.
La mostra antologica comprende una quarantina di opere ad olio di varie dimensioni.

30 aprile - 13 giugno 2004
Oratorio di San Rocco
Ingresso gratuito

Dagli anni '60 in poi Millo Bortoluzzi jr. è stato cantore delle valli, dei colli e della laguna veneta, interprete di una tradizione figurativa ereditata dal nonno, quel Millo Bortoluzzi senior che fu docente all'Accademia di Belle Arti di Venezia e allievo, come il nipote, del grande pittore espressionista austriaco Kokoschka.

Oratorio di San Rocco
Ingresso gratuito
Orari: 9:30 - 12:30 / 15:30 - 19:00
chiuso il lunedì
visite guidate: tutti i martedì, ore 18:00

Transito di Venere sul Sole

Transito di Venere sul Sole

Transito di Venere sul Sole

Il Gruppo Astrofili sarà  in Prato della Valle con i suoi strumenti per mostrare il transito di Venere sul Sole: si vedrà  un puntino nero camminare sulla faccia del sole.

Prato della Valle - Isola Memmia
martedì 8 giugno

Il transito di Venere sul Sole è un fenomeno raro che in passato servì a misurare la distanza Terra-Sole.
Avviene nel 2004, poi nel 2012, e la volta successiva dopo 105 anni!

Prato della Valle - Isola Memmia
martedì 8 giugno
09:00 - 12:00
Ingresso gratuito

Per info:
Gruppo Astrofili di Padova
tel. +39 049 8022606

Per saperne di più
- visita le pagine dell'Osservatorio Astronomico di Bologna

Progetti e Oggetti di Scuola Italiana Design

Progetti e Oggetti di Scuola Italiana Design

Mostra dei progetti e degli oggetti realizzati dagli studenti di Scuola Italiana Design, istituto che si occupa della formazione di giovani designer nelle aree specifiche del product, packaging, visual e web design.

Galleria La Rinascente - Piazza Garibaldi
6 maggio - 6 giugno 2004

Informazioni


Fondata nel 1991 dalla Camera di Padova, Scuola Italiana Design è confluita nel 2001 all'interno del Parco Scientifico e Tecnologico Galileo la cui missione consiste nel favorire la competitività  delle imprese attraverso l'innovazione.
Oggi Scuola Italiana Design, per la sua continua ricerca nel campo della creatività  applicata al design, rappresenta un prestigioso punto di riferimento nel panorama della formazione specifica e dei servizi alla imprese.

Una sezione della mostra è dedicata ai materiali innovativi per l'architettura e il design di MATECH, centro specializzato nella selezione e classificazione dei materiali ad alto titolo di innovazione e nella consulenza per il trasferimento tecnico.
MATECH offre a progettisti, designer e aziende che per i loro progetti pongono forte attenzione all'impiego di materiali innovativi.

La mostra è organizzata dal Comune di Padova - Assessorato alla Cultura e dal Parco Scientifico Tecnologico Galileo di Padova.





Informazioni



Galleria La Rinascente
Piazza Garibaldi Padova
dal 6 maggio al 6 giugno 2004
orario: da martedì a venerdì 09:00 - 21:00; lunedì 13:00 - 21:00

Ingresso gratuito

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