Il romanzo di Michela Volante racconta la vita della poetessa Petronilla Paolini Massimi: una storia affascinante e ricca di colpi di scena, sullo sfondo inquietante della Roma barocca.
In questa intervista l'autrice ci spiega perché è importante ridare voce a questa figura femminile coraggiosa e poco conosciuta.
Michela Volante ha 28 anni e Domani andrò sposa è il suo primo libro. Dopo aver dedicato la sua tesi di laurea a Petronilla, Michela ha deciso di scrivere un romanzo per raccontare, attraverso la vicenda biografica di questa poetessa dell'Arcadia, una parte della storia che non è conosciuta né valorizzata: l'altra storia, quella che riguarda le donne.
La storia di Petronilla racconta a quale prezzo le donne della seconda metà del Seicento potevano ottenere la loro libertà , trovare il loro spazio e affermare finalmente la loro identità . A secoli di distanza, ci fa capire che la vita come possibilità di scelta non è una cosa scontata.
Rimasta orfana all'età di quattro anni, a dieci anni Petronilla Paolini Massimi è costretta a sposare un uomo di trent'anni più vecchio, un cugino del papa, che si vuole impossessare della sua dote. Il marito la rinchiude in una stanza senza arredi e le impedisce di dedicarsi alla sua unica ragione di vita: la scrittura. Petronilla continua a studiare opponendosi al marito e infine prende la sofferta decisione di separarsi dai suoi tre figli, nei quali vede già con terrore l'impronta paterna, e di rifugiarsi nel convento dove è cresciuta. Solo in questo modo può dedicarsi ai suoi studi, intrattenere uno scambio epistolare con alcuni grandi poeti dell'epoca, tra cui Metastasio, e diventare una delle poche donne ad essere accolta nell'Accademia dell'Arcadia.
Nel suo libro Michela Volante fonde rigore storico e capacità evocativa e integra le notizie tratte dai documenti dell'epoca in una struttura narrativa polifonica, leggendo la storia da un punto di vista femminile.
Io con pallido volto
non mirerò le mie sventure estreme;
soffre il mio cuor, non teme;
e intrepida vedrò sovra il mio crine
dal destino cader stragi e ruine.
S'avventano i disastri
solo all'anime grandi. Io mai non vidi
fulminata dal ciel capanna umile (...)
e se contra di te s'arman le stelle,
tu desta ormai le belle
prove, che in nobil cuor virtù produce...
Petronilla Paolini Massimi
(da "Spieghi le chiome irate" in Rime degli Arcadi, tomo I, 1716, vv. 10-27)
Come hai scoperto Petronilla Paolini Massimi?
Sono andata per puro caso alla presentazione di un'antologia sulle scrittrici italiane dal Quattrocento all'Ottocento. La conferenza era tenuta da Luisa Ricaldone, docente dell'Università di Torino dove studiavo. Avevo in mente di chiedere a lei la tesi, ma non pensavo di chiedere una tesi sulla letteratura femminile. Sono andata a questa conferenza senza aspettarmi nulla di specifico. All'ultima domanda è stato chiesto quale di queste autrici raccolte nell'antologia era secondo Luisa la più interessante. Lei senza esitare un momento ha detto: "Petronilla Paolini Massimi". A me è rimasto impresso questo nome un po' buffo. E poi Luisa ha raccontato alcune cose su Petronilla: sposata a dieci anni, imprigionata a Castel Sant'Angelo, decisa ad abbandonare il marito per la scrittura... Ho sperato furiosamente che l'argomento fosse libero per una tesi, e la mattina dopo alle otto mi sono presentata nell'ufficio di Luisa, temendo che avesse già dato cinque o sei tesi su Petronilla; invece non ne aveva mai affidate, e in un secondo tempo mi ha confidato che aspettava qualcuno che le ispirasse fiducia. Era l'inizio del 1997. Da quel giorno ho studiato sugli inediti di Petronilla, nel 1999 mi sono laureata e ho continuato a cercare quello che non si trova: il diario e l'epistolario completo. Non li ho trovati, ho trovato però altre cose inedite. Nel 2000 ho cominciato a scrivere il libro.
E il percorso di scrittura dalla tesi al libro?
Il percorso è stato abbastanza naturale. E' come se nel frattempo avessi metabolizzato tutti i dati che avevo raccolto per la tesi. Da subito ho pensato che ne volevo scrivere un libro, ma non sapevo come strutturarlo. Mi sono presa molto tempo, anche perché facendo un lavoro, quello dell'editor, che usa lo stesso tipo di energie e di scrittura, è molto complicato scrivere un libro e nello stesso tempo lavorare sui libri degli altri. Fatalmente incroci le due cose, travisi un po' il tuo stile o lo stile degli autori su cui stai lavorando: bisogna fare molta attenzione in questo. Tutte le volte che me la sentivo scrivevo il libro, ma sono passati anche cinque o sei mesi senza che lo aprissi. Ogni volta però ho l'abitudine di rileggere daccapo tutto quello che ho scritto: io rileggo sempre dall'inizio, anche se sono a pagina 180. Questo ti permette di riavere in mano la situazione.
Le differenze tra la tesi e il libro, tra il rigore storico e la fantasia?
Io non volevo tradire nulla dei dati che avevo trovato, anche perché mi erano costati così tanta fatica che ci tenevo ad usarli nel modo più fedele possibile. Poi, quando il libro era finito e alcune persone l'hanno letto, c'è stato chi mi ha fatto notare che era fin troppo attento al dato storico e che in fin dei conti era un romanzo, per cui ho provato a distaccarmi un po'. Ma anche adesso sento molto importante la veridicità storica: quello che voglio è far conoscere una storia vera, che mi sembra abbia un carattere di esemplarità . Perché sia esemplare deve essere controllata nei suoi dati storici. Mi sembra di aver avuto occasione, con questa struttura particolare a più voci, di non tradire troppo. Non so se poi ci sono riuscita davvero, ma mi sembrava un buon compromesso tra il racconto romanzato e l'attenzione alla vicenda storica.
Come hai dato vita alle parti che sui documenti non c'erano?
Per esempio nel caso della Madre Badessa o di Fatima avevo pochissimi dati storici, però ho provato a immaginare come avrebbe potuto comportarsi o quali pensieri potrebbe aver avuto un personaggio con quelle caratteristiche, in quelle condizioni. Poi non sono una storica, ma ho cercato di controllare più cose possibile: anche l'abbigliamento, la ricostruzione dell'ambiente. E poi è sempre una scusa per studiare delle cose in più: ho voluto approfondire la questione dei rapporti familiari, la politica delle doti nel Seicento, la questione dei Monti dei Pegni...
...che poi sono aspetti della storia che normalmente non si studiano...
Sì, e poi scopri che cose che per noi sono assolutamente scontate, non solo la condizione femminile, ma per esempio anche la condizione dell'infanzia, sono concetti che nel Seicento non esistono. Questo personaggio vive tre secoli prima di noi, ma vive a Roma, in posti che si possono ancora riconoscere e frequentare: sembrerebbe di poter ricostruire la sua vita con facilità . In realtà lei era una donna come noi, ma davanti a un giudice non esisteva. Non aveva la possibilità di gestire il patrimonio che le veniva dalla sua famiglia. L'educazione dei suoi figli non era assolutamente contemplata. Ci sono differenze molto profonde nella vita quotidiana. E però scopri anche cose particolari: per esempio il fatto che con Petronilla, a Roma, viva questa ragazzina turca, quindi di origine musulmana, forzatamente integrata nella società del tempo. ChissÍ con quali violenze e quali soprusi Fatima è stata portata a Roma. E' interessante scoprire che mondo orientale e mondo occidentale erano strettamente intrecciati.
Le libertà che adesso diamo per scontate sono in realtà delle conquiste recenti, e in certe parti del mondo non ci sono. Ti sembra che ci sia questa consapevolezza da parte delle giovani donne di oggi?
Questo è stato un motivo molto forte nella scelta di scrivere questo libro. Noi abbiamo un abisso di diritti in più. Abbiamo il divorzio, abbiamo la possibilità di seguire una carriera, di farci una famiglia, di scegliere la contraccezione, l'interruzione di gravidanza: la libertà di poterlo fare. Il divorzio in Italia ha compiuto 30 anni. Noi, che abbiamo trent'anni, non ci poniamo assolutamente il problema di come doveva essere la vita senza. E invece sarebbe il caso che ci ricordassimo, ogni tanto, non solo di Petronilla che ha trecento anni più di noi, ma semplicemente anche delle nostre nonne, che hanno rischiato di vedersi la vita rovinata perché non avevano la libertà di scegliere. Questa mi sembra una cosa importante che ci dimentichiamo sovente. E poi senti dei discorsi fastidiosi. Qualcuno ti provoca dicendo: "dimmi il nome di una letterata o di una pittrice! In fondo sono poche rispetto al grandissimo numero degli uomini". Il motivo c'è, e Petronilla è uno degli esempi per capire come mai. Poi ci sono quei rarissimi esempi di donne artiste, come Artemisia e Faustina Maratti Zappi, che era una coeva di Petronilla, nate in famiglie di artisti e comunque osteggiate e sottoposte a violenze. C'è una letterata del Seicento, Maria Luisa Cicci, che pur di scrivere spremeva gli acini dell'uva e intingeva il pennino nel succo d'uva, perché le era stato sottratto l'inchiostro. Era comunissimo che alle donne fosse vietato di accedere veramente all'arte. Le donne potevano imparare a suonare tanto per intrattenere gli ospiti; imparare a pitturare tanto per fare il ritratto del cagnolino. Ma non potevano fare veramente le artiste, perché è una condizione di semidivinità , di tramite tra l'uomo e dio che alle donne non viene consentito.
Per Petronilla il mondo della poesia e della letteratura è un modo per conoscere e ri-conoscere se stessa. Però questo mondo è maschile...
E' un mondo per la maggior parte maschile, ma forse è l'unico mondo dove l'elemento maschile la accoglie veramente e la riconosce come grande, perché è un mondo dove uomini e donne stanno alla pari. Come un'isola separata, dove non valgono le regole sociali. Per esempio l'Arcadia crea nuove regole sociali all'interno dell'accademia. Come dicevi, Petronilla torna alla scrittura per conoscersi: nelle sue opere è fortissimo l'impegno autobiografico. Scrive due o tre odi autobiografiche e le memorie per il processo, e ha un tratto autobiografico che non esiste nelle autrici laiche di quell'epoca, e forse neanche negli autori uomini. E' una novità assoluta. Petronilla ha un'idea classica della poesia, come possibilità di superare l'oblio, di eternarsi. E per certi versi lo realizza: se siamo noi qui a parlare ancora di lei vuol dire che ce l'ha fatta. Racconta di sé non per piangersi addosso, ma per raccontare la propria forza, per dire "nonostante tutto quello che mi è capitato ho ancora la forza di scrivere e di scrivere bene, per farvi sapere che si può sopravvivere a queste avversità ". Quindi la poesia è una forma di confessione e di autoriconoscimento.
Quindi non fuga ma emancipazione?
Sì, non è un rifugio separato dal mondo. E' anzi una protesta di sé davanti a tutti.
Femminista ante litteram?
Petronilla scrive: "Sol del nostro valor l'uomo è tiranno". Più femminista di così... E' vero che Petronilla bada a se stessa, al proprio caso singolo. Però lei dice "Sol del nostro valor": nostro, di noi donne. Quindi ha consapevolezza del fatto che anche le altre donne vivono una condizione disgraziata. La sua condizione è disgraziata, ma fino a un certo punto: comunque lei è aristocratica e ha la poesia che la salva. La figura che a me fa più pena nel libro è quella della domestica, della governante. La governante, che è una donna del popolo, schiavizzata come tutte le altre, alla fine non ha nessuna consolazione. Accetta la sua condizione perché non ha come Petronilla la possibilità di ribellarsi. Non è potente come la Madre Badessa, non è rassegnata come la madre di Petronilla. E' la figura più triste.
La stanza di Petronilla e la Stanza tutta per sè di Virginia Woolf...
C"è una frase di Virginia Woolf che avevo utilizzato già ai tempi della tesi e che mi viene sempre in mente. Virginia Woolf scrive che molto spesso basta il rumore di un pennino per turbare la quiete domestica. Effettivamente è così, e nel caso di Petronilla basta il rumore di quel pennino, che il marito concretamente le sottrae, a distruggere un"esistenza coniugale. Il marito toglie dalla stanza tutti i mobili e arriva ad inchiodare le persiane delle finestre perché lei non possa scrivere.
Ciononostante Petronilla scrive lo stesso, si ritaglia uno spazio nelle sue stanze e poi nella stanza del convento. E io me la sono immaginata, a un certo punto, davvero sollevata del fatto di potersi finalmente dedicare ai suoi studi. Lei stessa, nelle sue memorie, parlando di quelle stanze di Castel Sant"Angelo in cui il marito la richiude, scrive che lei "si stava ritirata e quieta". In quelle stanze stava bene, ma avevano un unico difetto: il soffitto era così basso che poter toccare il cielo con un dito non era sinonimo di cosa piacevole. Quindi era anche una donna spiritosa e ironica...
Virginia Woolf parlava anche di indipendenza economica.
Petronilla non ha l"indipendenza economica, però ci prova in tutti i modi. L"unica possibilità per riavere la dote che gli è stata sottratta dal marito è quella di intentare causa contro di lui davanti alla Sacra Rota. Ancora adesso è complicato: figuriamoci allora, attirandosi addosso gli occhi di tutta Roma e dei potenti dell'entourage papale! Ciononostante Petronilla non si tira indietro e prova ad ottenere la restituzione della dote. Non ci riesce, ma ci prova: questo è il gesto di sfida più grande che potesse fare.
Mi viene in mente che molto spesso è la donna stessa suo malgrado a riproporre dei modelli di dominio maschile, anche attraverso l"educazione dei figli.
Non è il caso di Petronilla, che non ne ha avuto occasione, visto che i figli le sono stati tolti. Però per esempio è il caso di sua madre, che accetta di concedere la figlia in sposa a un uomo di trent"anni più vecchio. Non la si può giudicare, io non ho voluto giudicarla nel libro e anzi c"è un punto in cui Petronilla la assolve. E d"altra parte alle donne non erano concesse tante alternative, per cui il modello che proponevano alle loro figlie era una condizione di sottomissione e di inferiorità . Pensa che per moltissimi secoli, ancora nel Seicento, la scienza medica crede che le donne fisiologicamente siano uomini incompleti. A me sembra pazzesco, perché credo che di autopsie ne siano state fatte, e quindi si sia capito che in realtà erano due corpi completamente diversi. Eppure era un preconcetto radicatissimo in tutti gli ambiti della vita. Di fronte a tutto questo, a maggior ragione sembra strano che Faustina Maratti Zappi, quella contemporanea di Petronilla di cui ti parlavo prima, abbia invece una vicenda coniugale felicissima. Lei è figlia di un pittore della fine del Seicento, il Maratta, ritrattista molto noto a Roma. In questa famiglia di artisti Faustina diventa poeta e si sposa con un poeta che è Giambattista Zappi, uno dei fondatori dell'Arcadia. Tutte le sue rime, molto sentite e belle, le scrive su questo grandissimo amore per il marito. Però è un unicum straordinario, mai successo prima. E non ti so citare una poetessa di fine Settecento, inizio Ottocento... è vero che, come Petronilla, sono poco conosciute: ci sono infinite donne poete, scrittrici, studiose, scienziate, pittrici, scultrici, che noi non conosciamo. Í come se noi conoscessimo il 50 per cento di tutte le discipline: ci sono interi universi da scoprire. Ora finalmente qualcosa si muove: comincia ad esserci qualche seminario di storia delle donne o di letteratura femminile. Altrove ci sono anche i corsi di laurea, per noi è chiedere troppo...
Mi parli del tuo rapporto con la scrittura?
Il mio rapporto con la scrittura è un rapporto viscerale, molto sentito: io vivo di scrittura, nel senso che non vivo solo dei miei libri " non sarebbe possibile! " ma lavoro in una casa editrice, quindi la scrittura è in ogni cosa che faccio. In questo condivido molto la necessità di scrittura di Petronilla, perché sento che per me scrivere è qualcosa che mi fa sentire completa, mi fa esprimere al mio meglio, o almeno così mi sembra. Í la cosa che mi riesce più semplice ed è qualcosa di cui non posso fare a meno. Svevo diceva che la scrittura è una pratica igienica. Io credo che sia così: e come per Petronilla, scrivere permette di riconoscersi, di capirsi. Anche di fissarsi, proprio: è una questione pratica, di fissarsi su un foglio, su quattro punti. Í questo il valore della scrittura.
Mi hai detto che lavori nell'ambito dell'editoria. Qual è oggi la situazione per una donna che vuole dedicarsi alla scrittura, quali consigli daresti?
Fortunatamente è una situazione più semplice di quella di Petronilla! In generale, e questo vale per uomini e donne, penso che serva soprattutto una grandissima convinzione in quello che si fa. Mancano, secondo me, le belle storie: quelle che uno ha piacere di ascoltare. A volte mi sembra che manchino in generale, anche nel cinema. Quindi credo che si debba scrivere un libro quando si è veramente convinti di avere una bella storia da raccontare. Poi penso che una pagina scritta sia sempre migliorabile, quindi ci vuole un lungo lavoro. Dopodiché, si hanno molti pregiudizi nei confronti dell'ambiente editoriale. Quello che posso dire io è che è un ambiente poverissimo dal punto di vista economico: non si diventa ricchi facendo lo scrittore. Ma se un libro è bello, non c"è motivo per cui una casa editrice non dovrebbe pubblicarlo. Anzi, le grandi case editrici leggono tutto quello che arriva. Di questo bisogna avere fiducia.
Laura Lazzarin