Ottonella Mocellin Nicola Pellegrini "Aspettando che l'eco della voce svanisse"

Ottonella Mocellin Nicola Pellegrini "Aspettando che l'eco della voce svanisse"


La video arte protagonista a Padova; la città  accoglie per la prima volta le video proiezioni di Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini, due artisti milanesi i cui lavori hanno suscitato grande interesse anche oltre i confini nazionali.
Mostra organizzata dall'Assessorato alle Politiche Culturali in collaborazione con l'Università  di Padova Dipartimento di Storia delle Arti Visive e della Musica.

Scuderie di Palazzo Moroni, via VIII Febbraio - Padova
15 luglio "€“ 31 luglio 2005
info:+39 049 8204522
Orario: 9.30 - 12.30 / 16.30 "€“ 19.30; dal martedì alla domenica- lunedì chiuso. Ingresso gratuito

La ricerca visiva di Mocellin e Pellegrini, guidata dalla volontà  di raccontare le emozioni, supera la reciproca incomprensione che spesso intercorre tra i linguaggi espressivi contemporanei ed il pubblico non specializzato. Oltre il tema dell'€™immagine, del suo rapporto con il suono e lo spazio che gli fa da cornice, centrale è il ruolo della parola, il cui eventuale effetto straniante deriva proprio dall'€™interpretazione fedele delle emozioni stesse. Il compenetrarsi e la conflittualità  dell'€™universo maschile e di quello femminile rappresentano il tratto unificante dei video presentati nell'€™occasione: in uno di questi, basato su riferimenti letterari, la coppia di artisti riesce a volgere in metafora ed in termini visivamente poetici un tema difficile e scabroso come quello dell'€™incesto. Il catalogo presenta, oltre ad un ricco repertorio fotografico, un testo critico di Guido Bartorelli ed un"€™intervista ai due artisti di Annamaria SandonÍ 

Padova racconta: I luoghi del governo, della storia, della cultura

Padova racconta: I luoghi del governo, della storia, della cultura


dal 2 Agosto al 6 Settembre
L'edizione di quest'anno dei Notturni d'arte è dedicata alle Istituzioni della città , all'€™approfondimento, quindi, dei luoghi del governo, della storia e della cultura particolarmente significativi. Visite guidate, conferenze, musica, teatro.
Info: +39 049 8204501-02



Il racconto sarà  il filo conduttore del tema di quest"€™anno, che intende ripercorrere la storia della città  sia attraverso i documenti storici ufficiali sia attraverso i racconti e le memorie pubbliche e private di personaggi famosi e viaggiatori illustri che hanno soggiornato nella nostra città , quali Galileo, Stendhal, Casanova, Goethe.
Verrà  ripercorsa la storia dei luoghi simbolo della città  dal Duecento ai tempi odierni, a partire dal Palazzo della Ragione, procedendo sulle tracce della signoria ezzeliniana e di quella carrarese, per passare poi ai palazzi e alle fortificazioni espressione dell'€™egemonia della Serenissima, fino a inoltrarci nell'€™attualità  del governo comunale, provinciale e prefettizio.
Saranno oggetto di approfondimento la storia e il ruolo sociale e culturale dell'€™Università , del Caffè Pedrocchi, l"€™istituzione e lo sviluppo progressivo delle raccolte museali civiche e dell'€™Archivio di Stato, la nascita di quelle istituzioni pubbliche e private volte anche alla tutela delle fasce più deboli.
Le viste guidate ai monumenti saranno accompagnate da conferenze, spettacoli musicali e teatrali.
Scarica il programma:
notturni
I luoghi:
Il calendario degli spettacoli è suscettibile di eventuali variazioni.

Remo Bianco . la metamorfosi della materia. Dal geometrico al nucleare, dai collages all'arte elementare

Remo Bianco . la metamorfosi della materia. Dal geometrico al nucleare, dai collages all'arte elementare


SPN 75 Spaziale 1955
Questa ampia retrospettiva presenta più di una centinaia di opere dell'artista milanese, uno dei protagonisti dell'arte italiana tra gli anni Sessanta e Settanta e ripercorre alcune delle tappe più importanti del suo lavoro. E tra i primi artisti italiani a vedere dal vivo le opere di Pollock, a conoscere Tobey, a misurarsi con un panorama artistico così stimolante.
Versatile, imprevedibile, sperimentatore, grande affabulatore della materia, Bianco ha sempre concepito l'arte e la materia con una grande libertà  lucida e espressiva.

10 giugno - 31 luglio 2005
Palazzo del Monte, Piazza Duomo


Ufficio Stampa: Studio Esseci "€“ Sergio Campagnolo tel. 049.663499 info@studioesseci.net

Orario: 10.30-19.30. Lunedi non festivo chiuso


Per informazioni:
Settore Attività  Culturali
Via Porciglia,35
tel. (+39) 0498204537 fax (+39) 0498204503
e-mail: saionic@comune.padova.it



Remo Bianco (1922-1987) è uno dei protagonisti dell'€™arte italiana tra gli anni Sessanta e Settanta. All"€™artista milanese, la città  di Padova dedica ora una ampia retrospettiva al Palazzo del Monte, dal 10 giugno al 31 Luglio 2005. A proporla ed organizzarla sono l"€™Assessorato alla Politiche Culturali e Spettacolo del Comune, l"€™Associazione Remo Bianco con il patrocinio della Regione Veneto e della Provincia di Padova. La mostra è curata da Lorella Giudici e Leo Guerra.

Versatile, imprevedibile, sperimentatore, grande affabulatore della materia, Bianco ha sempre concepito l"€™arte e la materia con una grande libertà  ludica e espressiva. Il suo è un cammino da funambolo: sempre in bilico tra l"€™idea e la sostanza, il rigore geometrico e l"€™informità  del magma. Dalla carta alla stoffa, dall'€™olio alla fotografia, dal plexiglas alle sostanze chimiche, dal fumo alla foglia d"€™oro, Bianco non solo scopre che la materia ha un corpo e un volto multiformi, ma ne accentua il suo farsi forma e colore, sostanza immobile o dinamica, deposito o elementare semplicità .
Nella Milano degli anni Sessanta, accanto a Fontana e Manzoni, Bianco è tra gli artisti più interessanti e irrequieti. Fondamentale è stato il suo viaggio in America (è tra i primi artisti italiani a vedere dal vivo le opere di Pollock, a conoscere Tobey, a misurarsi con un panorama artistico così stimolante) da dove, dopo un bagno di action painting ed espressionismo astratto, torna rigenerato: il colore si svincola dalla forma, lo spazio si frantuma in una geometria ritmica. Nascono i collages che sono, accanto ai "€œTableaux dorés"€ tra le sue opere più conosciute.
TD122 Impronta 21, 1961
Questa mostra ripercorre e approfondisce alcune delle tappe più importanti del suo lavoro a partire dai primi lavori figurativi in cui già  il senso euclideo dei perimetri e delle forme che serrano il colore (per certi versi roultiane e per altri picassiane) è forte e preminente. Da lì alle geometrie tracciate su trasparenti fogli di plexiglas (più tardi sovrapposti in complicati e affascinanti giochi formali) il passo è breve. Inoltre, punto fondamentale della sua ricerca sono i Nucleari (diversi esemplari sono stati appositamente raccolti in molte collezioni private), con i loro depositi magmatici, le loro geografie tormentate e polimateriche. Fino all'€™ultimo periodo, definito dall'€™artista stesso "€œArte elementare"€ dove il linguaggio si semplifica, si azzera in una sillabazione da abbecedario scolastico, poiché, alla fine di una vita spesa per l"€™arte e per la comunicazione Bianco sente il bisogno di azzerare tutto ciò che è stato. Sente che l"€™arte si è allontanata dalla vita e l"€™uomo è fuggito dall'€™arte. Per farli rincontrare occorre partire dalle basi: dal linguaggio degli abbecedari. Inoltre, per la prima volta in questa mostra, verrà  riunita una nutrita documentazione (opere, fotografie e scritti) che racconta la stagione dell'€™ "€œArte chimica"€, il cui manifesto viene redatto da Bianco nel 1964.

Tono Zancanaro. La voce del Gibbo Fogli di resistenza e antifascismo.

Tono Zancanaro. La voce del Gibbo Fogli di resistenza e antifascismo.


Il giorno 14 giugno 2005, alle ore 18.00 sarà  inaugurata nel Ridotto del Teatro Comunale Verdi, in Padova, una mostra dedicata al GIBBO, indubbiamente la creazione più importante e famosa di Tono, per ricordare il ventennale della morte di Tono Zancanaro (Padova, 1906-1985) e, insieme, il 60° anniversario della Liberazione.
Padova Ridotto del Teatro Verdi - Via del Livello Padova
Ingresso gratuito,
Orari martedì "€“venerdì dalle 16.00 alle 19.00; sabato e domenica 10.00-12.30 / 16.00-19.00
Info: 049 8204544

Il giorno 14 giugno 2005, alle ore 18.00 sarà  inaugurata nel Ridotto del Teatro Comunale Verdi, in Padova, una mostra dedicata al GIBBO, indubbiamente la creazione più importante e famosa di Tono, per ricordare il ventennale della morte di Tono Zancanaro (Padova, 1906-1985) e, insieme, il 60° anniversario della Liberazione. Il Gibbo è l'incarnazione metaforica del fascismo e del suo duce, colto da Tono nelle sue molteplici apparenze politiche, sociali, militari, mitiche, erotiche, in una sorta di diario quasi quotidiano (i fogli riconducibili al Gibbo sono migliaia, eseguiti nell'arco di poco più di tre anni: 1942, 1943, 1944 e 1945) che ritrae il capo del fascismo in una originale sintesi grafica a tratto dei connotati di Mussolini e della Gaetana , figura del mondo degli emarginati padovani, in cui sono ravvisabili personaggi delle letture di Tono, dal Trimalcione del Satyricon di Petronio all'Asino d'oro di Apuleio, da Gargantua e Pantagruel di Rabelais al Bertoldo di Croce,dai baccanali dionisiaci alla pantomima picaresca, dalle metafore ruantine all' enfatizzazione del maccheronico di Merlin Coccai, dalla parlata del borgo del Portello al gergo militare e avanguardista, dalla pittura da bordelli a Ubu Roi del patafisico Alfred Jarry e molto altro, con scritturazioni a tema e a commento degli eventi, dei discorsi, delle manifestazioni di regime.L'origine, documentata, del Gibbo risale al 1937.
La mostra sarà  accompagnata da un catalogo dove saranno riprodotte tutte le opere in mostra, di cui la maggior parte ancora inedite, messe a disposizione dall'Archivio Storico Tono Zancanaro, con testi di Elio Armano, Guido Bartorelli, Manlio Gaddi e Giorgio Segato.

Il giorno 16 giugno si terrà  nella Sala dei Giganti, concessa per l'occasione dall'Università  di Padova, una tavola rotonda sul
GIBBO
FOGLI DI ANTIFASCISMO E DI RESISTENZA

Comitato scientifico: Elio Armano, Guido Bartorelli, Manlio Gaddi, Giorgio Segato .

de sphaera ori e lacche di Erico Nagai dalla serialità  ritmica dell'oriente alla visione cosmica della sfera

de sphaera ori e lacche di Erico Nagai dalla serialità  ritmica dell'oriente alla visione cosmica della sfera

de sphaera ori e lacche di Erico Nagai dalla serialità  ritmica dell'oriente alla visione cosmica della sfera



Una personale di Erico Nagai di circa cento gioielli. Dalla combinazione atipica di materiali quali oro, argento, ferro, avorio, madreperla e lacca giapponese nasce un gioiello dalle forme nette ed eleganti, di estremo fascino e sensuale bellezza.
Padova, Oratorio di San Rocco, via Santa Lucia
27 maggio "€“ 3 luglio 2005

Orario: 9.30-12.30, 15.30-19.00, lunedì chiuso
Ingresso: intero 3 euro, ridotto 2 euro

Ancora una volta l"€™Assessorato alle Politiche Culturali e Spettacolo del Comune di Padova propone una mostra di gioielleria contemporanea nella sede cinquecentesca dell'€™Oratorio di San Rocco, ormai divenuta sede deputata ad ospitare le ultime tendenze dell'€™arte orafa in campo internazionale. Vengono presentate le creazioni di un"€™importante artista giapponese,
Erico Nagai, che da 30 anni vive in Europa continuando però a coltivare le profonde radici che la legano al suo paese d"€™origine. L"€™artista, infatti, crea gioielli che fondono la cultura tradizionale giapponese con quella europea, dando origine ad un proprio originalissimo linguaggio espressivo, che in forme minimaliste coniuga le due diverse anime all'€™insegna della naturalezza, semplicità  e armonia.
Dalla combinazione atipica di materiali quali oro, argento, ferro, avorio, madreperla e lacca giapponese nasce così un gioiello dalle forme nette ed eleganti, di estremo fascino e sensuale bellezza. L"€™abilità  manuale della lavorazione dei metalli, che in Giappone ha un"€™antica e nobile tradizione, viene utilizzata dall'€™artista per sperimentare soluzioni innovative e originalissime, con commistioni di metalli nobili "€œmacchiati"€ e impoveriti da materiali poveri come il ferro, il rame, il bronzo e l"€™ottone.
I gioielli che nascono da questa nuova concezione formale vengono forgiati in forme geometriche semplici, quasi primitive, riflettendo in questo modo i concetti di arte contemporanea europea assorbiti dall'€™artista negli anni di formazione e di apprendistato in Svizzera e Germania.
In questo confronto continuo tra la cultura europea e orientale è comunque rintracciabile l"€™eredità  delle tradizioni artistiche giapponesi nella scelta delle tecniche lavorative e nella preferenza dei materiali quali la lacca, che viene applicata direttamente sull"€™oro e l"€™argento dando vita a effetti suggestivi di nebbia stellata.
La mostra è curata da Mirella Cisotto Nalon e Paolo Marcolongo.


Biografia
Erico Nagai nasce a Tokyo nel 1947. Il padre è un illustre pianista e la madre una violinista. Si trasferisce a Basilea e poi a Monaco dove frequenta i corsi di pittura, grafica e arte tessile e orafa alla Akademie der Bildenden Künste di Monaco e consegue il diploma. Partecipa con le sue creazioni orafe a molte mostre internazionali in Europa, Stati Uniti, Australia e Giappone e ottiene molti riconoscimenti nel campo della gioielleria. Ha insegnato all'€™Accademia di Design di Schwäbisch Gmünd e Pforzheim e alla Internationale Sommerakademie di Salisburgo.

Vangi Sculture e Disegni

Vangi Sculture e Disegni


Padova ospita , nel Salone del Palazzo della Ragione, una grande personale di Giuliano Vangi, lo scultore italiano che pone l'Uomo al centro della propria ricerca artistica.

Padova, Palazzo della Ragione
21 maggio 2005 "€“ 24 luglio 2005

Orario 9.00 "€“ 19.00, lunedì chiuso. Ingresso (comprensivo dell'€™ingresso al monumento):
"‚€ 8,00 ridotti "‚€ 5,00.

Vernice per la Stampa: 21 maggio dalle ore 11.00 alle ore 16
Presentazione di apertura ore 11.30

Ufficio Stampa: Studio Esseci "€“ Sergio Campagnolo tel. 049.663499 info@studioesseci.net

Per informazioni:
Biglietteria Palazzo della Ragione, tel. 049-8205006,
e-mail: scarpaf@comune.padova.it
Ufficio Stampa: Studio Esseci "€“ Sergio Campagnolo tel. 049.663499 info@studioesseci.net
La mostra voluta dall'Amministrazione comunale e realizzata dall'Assessorato
e Politiche Culturali in collaborazione con lo Studio Copernico di Milano.
Per Vangi questo è un ritorno: già  nel 1997,aveva approntato il presbiterio con ambone, cattedra vescovile e un crocifisso alto tre metri per il Duomo cittadino.
In questa ampia esposizione l'artista toscano presenta le sue ultime realizzazioni, connotate da uno struggente senso della contemporaneità , capaci di narrare nel bronzo e nel marmo i disagi e le violenze dei nostri tempi, dalle guerre al senso di solitudine che assedia l'animo umano.

La poetica di Vangi, sviluppata attraverso opere dal potente impatto figurativo, aderisce con forza ai tempi del nostro vissuto contemporaneo; la sua arte è denotata da un potente impulso a rinnovarsi, tramite una ricerca principalmente basata sulla scelta dei materiali e dalle linee di deformazione che a volte scarnificano o ricompattano o feriscono la "carne" di opere sempre elegantemente costruite e con fisionomie riconoscibili come cifra stilistica propria di Vangi.

In quella che è la più estesa sala pensile affrescata al mondo, Vangi presenta quindici sculture e una trentina di disegni: studi preparatori che documentano alcune fasi creative delle opere. Tra le sculture selezionate, tese a illustrare il percorso artistico e umano compiuto negli anni da Vangi oltre che essere un importante paradigma per la lettura dello sviluppo dell'arte italiana del secondo Novecento, è da rilevare la suggestiva presenza della "Donna che ride", opera in alluminio policromo del 1968. Si passa poi alle opere degli anni '70 (come "Iacopo" esposto nel 1980 a Firenze al Giardino delle Oblate e nel 1995 alla fondamentale mostra fiorentina di Forte Belvedere), fino a giungere al gruppo di sculture composto nel 2003/2004, realistica presa di posizione - umana e filosofica - contro la belluina violenza e l'oppressione dell'uomo da parte dell'uomo.

"C'era una volta", opera inedita e mai presentata al pubblico eseguita nel 2005, vuol rappresentare la sintesi-denuncia contro un mondo sempre più culturalmente approssimativo, malvagiamente aggressivo e con poca speranza di resurrezione. La scultura policroma è realizzata in fibra di carbonio e altre speciali leghe, con l'innesto di inserti estremamente realistici, come protesi oculari e dentali.

Il progetto di allestimento è dello Studio Barato, eseguito da "L'artigiana" . Il catalogo, edito dalla Bandecchi e Vivaldi di Pontedera, contiene saggi introduttivi di Sergeij Androssov e Giorgio Segato.



Scheda di approfondimento,

Appuntamenti del Pedrocchi

Appuntamenti del Pedrocchi

L"€™enigma di benedetto XVI, quale papa per quale chiesa ?
Incontro - dibattito

Il Libro di Giancarlo Zizola dedica per la prima volta un ampio studio sulla personalità  del nuovo pontefice, sia dal punto di vista del suo percorso teologico che della sua politica dottrinale come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede per quasi un quarto di secolo, braccio dottrinale di Papa Wojtyla.

Partecipano :

Prof. Giancarlo Zizola, vaticanista, autore del libro I papi del XX e XXI secolo
(Newton & Compton Editori)
Mons. Luigi Sartori, teologo
Prof. Enrico Berti, filosofo
Moderatore: Gian Antonio Stella, giornalista del Corriere della Sera

1 giugno 2005, alle ore 18:00, Sala Rossini, Caffè Pedrocchi

Giancarlo Zizola, veneto di origine, è docente di Etica della Comunicazione e dell'€™Informazione, Facoltà  di Scienze della Formazione "€“ Università  di Padova, scrittore e giornalista, corrispondente con l"€™estero specializzato nelle questioni religiose. Attualmente "€œvaticanista"€ del Sole 24 ore, cura il Vaticano anche per la rete televisiva Rai News 24.
Nel 1976 ha fondato il Centro culturale per l"€™informazione religiosa ed è attualmente consigliere nazionale dell'Unione Cattolica della stampa italiana.
Ha collaborato alla sceneggiatura del film sul Papa Giovanni-Paolo II per Rai Uno. Numerose le sue pubblicazioni.

Il libro: Da Leone XIII a Benedetto XVI, i papi del XX e XXI secolo interpretano il tentativo drammatico della chiesa cattolica di misurarsi con la società  moderna cercando di ricuperare la forza spirituale del cristianesimo nella crisi di secolari forme politiche e sociali.
Un racconto appassionante, che ci fa rivivere dall'interno le grandi scelte politiche, etiche e spirituali della Chiesa del secolo scorso e ci introduce alle sfide della fede del nuovo millennio, in un affresco che ha per teatro il mondo intero.

Giuliano Vangi

Giuliano Vangi

Approfondimento
GIULIANO VANGI:

L"€™UOMO, LA MATERIA, LE RADICI
IL GESTO, IL COLORE. LO SPAZIO, LA LUCE

L"€™uomo contemporaneo è il soggetto privilegiato delle sculture e dei grandi disegni di Giuliano Vangi: l"€™uomo del nostro tempo, noi, egli stesso, considerato nel rapporto con la condizione esistenziale, con lo spazio vivibile, di relazione, ma ancora di più, o, ancora meglio, con lo spazio interno, psichico, con l"€™Í nemos pulsante intimo, che urge nel corpo, ne tende la superficie espressiva, gli detta il tempo di azione, la stasi riflessiva, la dinamica, il gesto.

La scultura di Vangi avverte e comunica la minaccia di riduzione dello spazio di vita e il contrarsi dello spazio psicologico con straordinaria immediatezza, e non soltanto nelle sue inflessioni più stravolte e più dolenti, ma in una davvero sorprendente varietà  di situazioni, di punti di vista (e di ascolto) che ora esaltano la materia, l"€™imporsi della fisicità , della corporeità  come architettura nello spazio, ora la tensione comunicativa in forti scansioni espressioniste o anche in movimenti intensamente neobarocchi, ora impone l"€™articolarsi di un gesto che attiva lo spazio/ambiente, ora una luce che sembra intervenire a percorrere, levigare, rastremare le superfici, riducendone la massa, il peso, la "€˜corazza"€™ e guidando la percezione sempre più esplicitamente verso il "€˜core"€™, il nucleo più interno, segreto. La materia è la materia del corpo e varia a seconda dell'€™energia che Vangi intende esprimere, concentrare, implodere, racchiudere o liberare, proiettare: legni policromi, marmi e pietre in composizioni variegate, bronzi, luminose fusioni in nichel, avori, con una sensibilità  per il dialogo (nonostante le sue figure siano quasi sempre isolate; ma, è chiaro che il riferimento siamo noi astanti: è a noi osservatori che parla, in rapporto a noi che agisce, guarda, corre, fissa, si volge, gonfia mostruosamente i muscoli, spalanca gli occhi in dolorosi, stupiti e muti interrogativi, o li rinserra ad
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ogni luce esterna ed interna in sforzi disumani) che il materiale interviene a facilitare, a rendere più disinvolto e più efficace, più drammatico e di una plasticità  teatralmente più asciutta ed incisiva. E, quasi sempre, la materia uomo appare in Vangi ben "€˜radicata"€™ al suolo, ben piantata nella terra o 'abstracta' dal masso di origine, dalla materia mater della quale si nutrono la sua carne e la sua forza e dalla quale si disgiunge per realizzarsi come progetto individuale, unico. Si sente, in molte sculture, il peso con cui toccano il suolo, lasciando impronte decise e scavate, facendoci sentire Vangi più prossimo al Masaccio del Tributo che a Giotto degli Scrovegni (tanto per continuare un riferimento proposto da Pier Carlo Santini e ripreso da Maurizio Calvesi, il quale poi indugia a citare tutti i possibili richiami, consci e inconsci, che la vasta e qualificata letteratura critica vangiana è venuta via via elencando, chiarendo, commentando, a testimonianza non di eclettismo dell'€™autore quanto dell'€™eccezionale quantità , e varietà , di punti di vista, interni ed esterni, emotivi e razionali, intuitivi , emotivi e anche concettuali, di compenetrazione psicologica e storica, con cui Vangi da decenni si rapporta all'€™umano).
Nell"€™eccezionale intensità  (e densità ), anche iconica di queste opere più recenti, le pulsioni intime e le inquietudini più gravi si impongono come temi centrali di eventi plastici di imponente concentrazione ed espressione energetica, dove la normalità  degli schemi figurali adottati in precedenza risulta aggredita da violente alterazioni, da sommovimenti, entasi ed enfasi potentemente narrative, teatralmente tragiche nell'€™occupare lo spazio scenico, nel senso migliore e veramente catartico dei termini. Perché ben sa, Vangi, come l"€™arte possa essere un mezzo privilegiato per capire i fantasmi interiori, i retaggi istintivi e per esercitare un certo dominio su di essi, guidare a controllarli e cercare di capovolgere l"€™angoscia esistenziale nel piacere della manipolazione e del
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racconto, della scansione plastica della materia, riuscendo "€“ e Vangi in ciò è autentico maestro "€“ a far prevalere il valore estetico, la forza della forma, del ritmo delle forme sui contenuti resi espliciti. Non c"€™è dubbio che oggi, come forse mai in passato, imperversi la follia distruttiva della civiltà  del consumo, dell'€™effimero e passeggero, con modelli di vita, di comportamento e di sviluppo "€˜incompatibili"€™ per quanto (ma forzatamente) sostenibili, e non v"€™è alcun dubbio che tale follia faccia sentire l"€™esistenza sempre più precaria, relativa, turbata, angustiata, schiacciata nella dimensione temporale di un presente che sembra non aver origine (senza memoria storica) né progetto (prefigurazione e attesa di futuro). Vangi è bene avvertito, istintivamente, naturalmente allarmato, di questa situazione e la traspone direttamente nell'€™evento plastico, nell'€™evento scultoreo, ora modellando per progressiva aggiunta di materia, ora scolpendo per via di togliere con una varietà  e felicità  di esiti che non finisce di sorprendere e di attrarre: varietà , certo, eppure anche immediata riconoscibilità . "€œVangi è dunque inconfondibile "€“ scrive Giorgio Soavi "€“ La sua scultura, le sue sculture, hanno una carta di identità  che è l"€™attestato del volto, del carattere e dello slancio "€“ di marmo o di legno "€“ che sta in quei corpi"€ (Vangi, Sei sculture a Milano, Mazzotta ed. 2003). Ma cosa le rende così diverse e insieme così connotate? Evidentemente il fatto che Vangi conosce bene ed esprime egregiamente se stesso, il proprio rapporto col mondo, con la società , l"€™ambiente, la terra, l"€™uomo come individuo poliedrico ed irripetibile. Ha a che fare con tutto questo anche il fatto che le sue opere non hanno repliche, restano pezzi unici. Egli si conosce e conosce l"€™umano nella sua ricchezza enigmatica, che si svela e si cela, mantenendo sfaccettature misteriose, insondate e insondabili, che si affacciano alla sua intuizione d"€™artista, alla sua fervida immaginazione ampiamente dotata di una visionarietà  irrimediabilmente e irrinunciabilmente coniugata a un"€™emozione
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esistenziale forte, intensa, libera da preconcetti, dalle panie intriganti di sintassi anatomiche, di modelli e di moduli, eppure sempre capace di inventare una misura aurea, di volta in volta diversa, ma immediatamente riconoscibile, sulla quale enunciare un discorso, comporre un racconto.
Così l"€™uomo e la donna di Vangi appaiono all'€™artista ora come spazio chiuso, trincerato con decisa allusività  espressiva concentrata nello sguardo, nel sorriso appena accennato, nelle mani colte in gesti articolati o aderenti al corpo, leggermente solcate nella materia, e nel modo di far risaltare nei movimenti di superficie i moti dell'€™Í nemos, pneuma, anima della materia vivificata dalla carezza della luce; oppure la figura si apre come scrigno o come abbraccio accogliente sotto lo scudo protettivo di un guscio psichico, che diventa sempre più materia luminosa che espande nello spazio la grazia effusiva di un magico sorriso nato dall'€™ ascolto interiore (Ragazza e poesia, 2002 in bianco statuario di Carrara). Nei rari gruppi di figure si intuisce che Vangi ricorda Les Bourgeois de Calais di Rodin, ma ne sviluppa autonomamente le suggestioni compositive ed espressive, specialmente nei marmi politi e quasi traslucidi. In altre opere la figura diventa "€˜erma"€™ luminosa costantemente "€˜dilavata"€™ e levigata dalla luce, immersa nello spazio/luce che esalta la politezza della materia, rendendola nuvola leggera.
I bronzi recenti si affrancano presto da un iniziale tributo e riferimento alla drammatica e straordinaria sequenza di Cavallo e Cavaliere di Marino Marini come dialogo e "€˜contrasto"€™ tra istinto e ragione, tra ordine e caos, tra eros e thanatos, intensificando, Vangi, una teatralizzazione d"€™ambiente che subito coinvolge, perché diventa tragico "€˜paesaggio"€™ di figure in una tensione che sembra assorbire, inghiottire lo spazio, e assorbire, dentro, anche la nostra sofferta attenzione, resa partecipe di una indicibile sofferenza, di un "€˜largo"€™ (proprio in senso musicale) sgomento
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esistenziale che monta ai livelli più alti di incontrollabile inquietudine e di paura di fronte ad una violenza (Il vincitore, Ares ) così esplicita, così incombente e così ineluttabile."€œIn questa situazione di strapotenza, di totale brutalità  animalesca, il vincitore "€“ mi dice Vangi con aria meditativa in un colloquio nel suo studio di Pietrasanta "€“ non è più la massa che sovrasta, ma la figura atterrata che conserva umanità , sentimenti, pur nella sua incondizionata sconfitta"€. Le scansioni plastiche si fanno per davvero prepotenti, rigonfie e tese di un quasi incontenibile pneuma, che espande le membra segnalando un"€™aggressività , una ferocia che letteralmente stravolgono e annullano in pura e gratuita belluinità  la maschera espressiva dell'€™uomo, irrigidiscono in autentici, inamovibili massi le articolazioni dei corpi. E tutto lo spazio intorno riverbera di questo peso, e sembra bloccato, raggelato, risucchiato nel gesto che continua e non si risolve. Le dimensioni sono tali da non consentire una lettura immediata di insieme e da rendere quindi necessari più punti e momenti di visualizzazione, più prospettive, ciascuna delle quali rivela una parte del dramma che si compie, in un crescendo dal basso all'€™alto (Il Vincitore, 2004, bronzo) o lungo il tunnel architettonico creato dai corpi in impari lotta (Ares, 2004, bronzo), o dall'€™esterno all'€™interno, dove si svela l"€™orrore della testa decapitata (C"€™era una volta, terrecotte policrome, 2005). La scultura diventa elemento del paesaggio mentale, qui sì come la roccia che fa da cornice e da impianto formale alla Vergine col bambino sull"€™asinello della Fuga in Egitto di Giotto (Grande racconto, 2004, in marmo bianco di Carrara, ma anche le tre figure sulla scala dell'€™opera per la chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, in pietra di Apricena, 2004, o il bronzo Uomo e animale, 2004, in cui il peso della bestia sembra vincere e sovrastare le forze dell'€™uomo). La metamorfosi dal reale al mentale, il passaggio di introiezione

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psicologica, risulta subito evidente quando si guardino i grandi disegni preparatori a carboncino, anch"€™essi concepiti e realizzati in
uno spazio concavo, a grandezza naturale, che ci chiama dentro a fianco dell'€™artista che agisce con il gesto misurato dalla lunghezza del braccio: i volti e i corpi sono disegnati con grande cura e attenzione anatomica e somatica, ed appartengono alla galleria di personaggi che Vangi in molte sculture chiama per nome (Clelia, Simone, Jacopo, Elena), oppure definisce sottolineando confidenzialmente un gesto o l"€™abito (Donna che ride, Uomo seduto, Donna con ampio vestito, Figura vestita di giallo,Uomo con le mani in tasca, Donna che si gira) ; nelle più recenti trasposizioni in bronzo, invece, volti e corpi diventano maschere brutali: l"€™energia animalesca, l"€™esaltazione dell'€™istinto, la follia omicida deformano la naturale espressività  di superficie aggredendola e caricandola con tutte le paure, le tensioni intime. La materia in Vangi è sempre animata, è sempre mater, origine, natura, indifferentemente vegetale e animale, da cui l"€™umano nasce, deriva, si forma, si raffina come corpo e come intelligenza, spirito (Varcare la soglia del terzo millennio, nell'€™atrio del nuovo ingresso dei musei vaticani, 2000, in bianco Carrara, verde cipollino, onice e oro). La forte individualità  che Vangi sottolinea nelle sue opere è stata spesso sentita come espressione di disagio, di solitudine dell'€™uomo sulla scena del mondo. Non c"€™è dubbio che nella sua poetica ci sia questo sentimento, e vissuto con dolore, ma anche con capacità  di resistenza e volontà  di valorizzazione dello spazio largo che la solitudine crea attorno e dentro la figura. Dai cubi in plexiglas degli anni Settanta, emblemi della costrizione, dell'€™asfissia psicologica, Vangi sa trascorrere a visioni paesaggistiche di grande suggestione e liberazione, nelle quali i rapporti spaziali e luministici esaltano il momento dell'€™immersione nel dato naturale, il sentirsi natura nella natura, e storia nella storia, piccola creatura straordinariamente ricca di
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risonanze interne, di emozioni, di sentimenti da far crescere come fossero piante. Ed è come se Vangi ribaltasse verso l"€™esterno il vasto spazio di luce e di accoglienza creato all'€™interno, nella mente e nel cuore, dalla condizione esistenziale e dalla meditazione, dalla disponibilità  a pensare e a pensarsi: un vuoto energetico in cui si manifestano e si materializzano i tesori intimi della memoria, delle radici, dei riferimenti etici. Così è, ad esempio, nella grande composizione dell'€™altare e del presbiterio di Padova che necessariamente va citata come parte integrante di questa mostra. Vangi ha creato una spianata di venti metri di larghezza sotto la grande cupola dalla lucerna luminosa e, in questo largo spazio che invita ad espandere la percezione interna, ad abbattere i confini psicologici per accogliere tutta la luce possibile, ha scolpito le figure della memoria religiosa padovana: lasciando risuonare la memoria di Daniele, celebrato nella cripta sottostante dai bronzi di Tiziano Aspetti, ha posto Antonio come evocazione, tesoro prezioso della fede (il primo miracolo, la predica ai pesci sulla spiaggia di Rimini, al cospetto e a dispetto degli eretici), e a destra Gregorio Barbarigo con il busto concavo ad accogliere i giovani per farne testimoni di Cristo; a sinistra gli altri due protomartiri protettori della città , Giustina esaltata dal bagno di luce del martirio che purifica la materia e Girolamo che si offre come soglia che si apre per consentire di entrare, col battesimo, nell'€™ecclesia. Accanto a loro l"€™Angelo della parola, del vangelo, radice e pianta che collega terra e cielo, natura e spirito. L"€™elemento vegetale, fogliame in marmo laguna chiude da una parte e dall'€™altra la vasta scena che accompagna lo sguardo verso il centro, verso la grande mensa del sacrificio in marmo bianco di Carrara, sostenuta da quattro angeli musicanti scolpiti a tutto tondo, così da alleggerire con la forma e con il movimento la spessa lastra del tavolo. Dietro si vede l"€™alto schienale della "€˜cattedra"€™ del vescovo, ornata di semplici foglie incise. Sopra la
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cattedra risplende in una chiara fusione di nichel e interventi a oro il Cristo in croce, già  risorto, in un gesto che ho più volte avuto occasione di definire atletico, come quello di un centometrista al traguardo, con la piena consapevolezza della meta raggiunta, non la sofferenza ma la conquista della salvezza dell'€™uomo. Il suo sguardo limpido si apre tutto alla luce, alla conoscenza e alla comunicazione diretta con i fedeli. L"€™insieme a me pare armonioso nonostante la novità  e la diversità  dell'€™innesto contemporaneo in un contesto di austera linearità : mi pare che davvero funzioni la sollecitazione ad aprire spazi interiori a una rinnovata luce di consapevolezza e di conoscenza. I ritmi plastici sono quelli di Vangi, originali ed inconfondibili, come già  si è detto, e da leggersi come episodi di un unico racconto bene orchestrato in direzione di una precisa, e intimamente vissuta, testimonianza di forte radicamento naturalistico, di umanità  in cammino e di fede. L"€™oro, i marmi policromi, gli avori degli occhi e dei denti, i movimenti della materia a larghe ante aperte o richiuse, gli andamenti delle figure nella luce, le pieghe che diventano larghe marezzature in fibrillazione, sono gli elementi che Giuliano Vangi modula sapientemente nello spazio per attualizzare le sue riflessioni sull"€™uomo contemporaneo e le sue "€˜rappresentazioni"€™ degli atteggiamenti, delle tensioni, delle aspettative di un"€™umanità  che è molto difficile tradurre in racconto plastico convincente, fuori da retoriche celebrative, da rivisitazioni monumentali. Vangi ci riesce con estrema naturalezza e sincerità , senza forzature gratuite, semplicemente coltivando ed assecondando una sua istintiva capacità  di "€˜mise en scène"€™ come "€˜mise en ab^ime"€™, riproponendo il colore non soltanto come citazione della scultura classica colorata e in marmi policromi, ma come restituzione di sollecitazioni materiche e cromatiche del nostro tempo (della fotografia e del cinema oltre che della pittura, che hanno colorato


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ormai tutta la nostra cultura visiva) affinché davvero la scultura torni ad essere lingua viva che ci parla dell'€™uomo, dei suoi problemi con lo spazio esterno, vivibile, di relazione e con lo spazio interno, psichico, che urge di dentro e individua, cioè rende del tutto singolare, la nostra forma, il nostro sguardo e il nostro gesto. Giustamente, da questo punto di vista, si è collocata la mostra temporanea nel Palazzo della Ragione, nello spazio (la grande piazza coperta, autentica agorà  patavina) e nel luogo che più diffusamente e meglio parla dell'€™uomo, dei suoi caratteri, dei suoi comportamenti (il grandioso ciclo zodiacale di affreschi) e più e meglio parla anche della scultura (il grande cavallo in legno che richiama il Gattamelata di Donatello del sagrato del Santo, considerata la più bella ed armoniosa scultura equestre) e sede espositiva di quasi tutte le edizioni della prestigiosa Biennale Internazionale del Bronzetto.

Giorgio Segato

Vauro Mostra Antologica (1993-2002)

Vauro Mostra Antologica (1993-2002)

Vauro Mostra Antologica (1993-2002)


Una mostra dedicata al giornalista e vignettista de Il Manifesto, Nigrizia, Corriere della Sera e di numerose testate straniere.
Duecento vignette per ripercorre con l"€™ironia sferzante di uno dei più apprezzati autori italiani di satira dieci anni della nostra storia nazionale, da tangentopoli al secondo governo Berlusconi, e riflettere sui controversi rapporti tra satira, libertà  di stampa e informazione.

27 maggio-12 giugno 2005
Sala Samonà , Banca d"€™Italia Via Roma
Inaugurazione il 27 maggio alle ore 18:00
Vauro incontrerà  il pubblico durante l'inaugurazione e alle 21:00 in Sala Palladin, Palazzo Moroni

Prodotta dall'€™editore Squilibri, che ha pubblicato anche l"€™omonimo libro con prefazione di Daniele Luttazzi e introduzione di Curzio Maltese in vendita nelle migliori librerie, la mostra è un"€™occasione per ripercorrere la lunga carriera di Vauro la cui attività , sorretta da una fervida coscienza civile, si segnala per la capacità  di imporre al lettore una riflessione che, amara e spesso indigesta, lo obbliga a prendere in considerazione anche l"€™altra faccia della medaglia, svelandogli per intero la complessità  e le contraddizioni di determinate situazioni.

Con prese di posizione mai banali, al di là  della dichiarata scelta di campo, nelle sue vignette Vauro offre una rappresentazione in presa diretta di un decennio di storia nazionale, colta nella tragicità  del contesto internazionale, dalla disgregazione della Jugoslavia alla guerra in Iraq, dagli attentanti contro le torri gemelle in America alle ritorsioni statunitensi contro l"€™Afghanistan, seguendo di tappa in tappa l"€™affermazione di una nuova sensibilità  pacifista nel mondo.

Il vero simbolo del suo lavoro, infatti, non appartiene al teatrino della politica nazionale: è la colomba della pace, la povera colomba sforacchiata, fatta saltare in aria, annerita dalle bombe ma capace, tuttavia, di riprendere il volo, nella speranza di posarsi prima o poi da qualche parte del mondo senza essere accolta a colpi di kalashinikov e granate.
Nel lavoro sulla guerra, le guerre che ha visto da vicino, la sua satira offre uno sguardo unico che esprime il massimo di libertà  possibile: la libertà  di guardare alla guerra dal punto di vista dell'€™Altro perché ad essere rappresentati nelle sue vignette sono bambini, donne, derelitti e deboli, le vittime designate del furore bellico animato da pretestuosi aneliti di giustizia.

http://www.broderie.it/pages/pagesPolis/vauro.htm
http://vauro.dynds.org

Aida: Stagione Lirica 2005

Aida: Stagione Lirica 2005

5a Stagione Lirica dell' Associazione P. Mascagni

AIDA

Auditorium Modigliani (presso Liceo Artistico)
Via degli Scrovegni, 30


Sabato 21 maggio 2005
Inizio ore 21.00

Prosegue la 5a Stagione Lirica dell'€™Associazione P. Mascagni con la rappresentazione dell'€™"€Aida"€, opera lirica in quattro atti, su libretto di Antonio Ghislanzoni.
"€œAida"€ venne rappresentata per la prima volta al Cairo, Teatro dell'€™Opera, il 24 dicembre 1871, diretta dal Maestro Giovanni Bottesini; protagonista fu il soprano Antonietta Pozzoni Anastasi, con il tenore Pietro Mongini, il mezzosoprano Eleonora Grossi, ed il baritono Francesco Steller.
Verdi non fu presente alla prima, ma si guadagnò lo stesso il prestigioso titolo di Commendatore dell'€™Ordine Ottomano. L"€™anno successivo si tenne la prima italiana, nella cornice del Teatro alla Scala di Milano, la sera dell'€™8 febbraio 1872, diretta da Franco Faccio.

INFORMAZIONI

Biglietti d'€™ingresso
Interi: ‚€ 12,00
Ridotti: € 10,00

Prevendita biglietti e abbonamenti
"€œMUSICA MUSICA"€  Via Altinate (Tel. 049/8761545)
"€œGABBIA"€ Via Dante (Tel. 049/8751166)


ASSOCIAZIONE P. MASCAGNI
Tel.: +39 49 628168
e-mail: assomascagni@libero.it
Web: digilander.libero.it/coromascagni


ASSESSORATO ALLE POLITICHE CULTURALI E SPETTACOLI
SERVIZIO MANIFESTAZIONI E SPETTACOLI

Vicolo Pedrocchi, 11 €“ Padova
Tel. +39 49 8205607 -€“ 5611 - 5619
e-mail: comunepadovamanifestazioni@comune.padova.it
Web: padovacultura.padovanet.it

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